Le tecniche additive e la patologia non cariosa: caso clinico

tecniche additive
Fig. 36
Scopo del lavoro: È sempre più frequente, oggi, riscontrare forte perdita di tessuto dentale a causa di lesioni non  cariose. Le ragioni di questo fenomeno sono diverse, alcune di natura meccanica, altre di natura biochimica. Un approccio restaurativo convenzionale richiede il puntuale rispetto di forme di ritenzione e resistenza dei monconi preparati; di conseguenza, in presenza di elementi dentari la cui corona clinica risulta fortemente ridotta in altezza, si rendono  spesso necessarie terapie endodontiche e chirurgiche al solo fine protesico. Viene di seguito presentato un caso clinico che dimostra come l’applicazione di tecniche adesive consenta di riabilitare una situazione di dentatura gravemente compromessa ottenendo la massima conservazione di tessuto dentale sano residuo.
Materiale e metodi: Si riporta il caso di un paziente, uomo, 65 anni, che si presenta alla nostra osservazione lamentando diffusa sensibilità, instabilità occlusale ed insoddisfazione estetica causate da estese abrasioni e biocorrosioni dentali. Dopo il trattamento in urgenza di 12 e 22 necrotici il paziente ha incominciato la fase terapeutica iniziando, come di norma, dalla preparazione iniziale parodontale. A seguito del montaggio dei modelli di studio in articolatore viene prospettato un rialzo della dimensione verticale di occlusione, in posizione di relazione centrica, per consentire una raibilitazione pressoché completamente additiva. Nella prima fase terapeutica vengono stampati dei rialzi posteriori provvisori in composito col fine di valutare la nuova dimensione verticale prospettata in fase di studio; successivamente si è proceduto con la ricostruzione finale dei sestanti anteriori e subito di seguito si sono sostituiti i restauri provvisori posteriori con quelli indiretti definitivi. I restauri finali sono stati realizzati in disilicato di Litio, sono state eseguite faccette nei sestanti anteriori e overlay sugli elementi posteriori, eccezion fatta per l’elemento 25, già precedentemente protesizzato con una corona completa, per il quale è stata realizzata una nuova corona.
Risultati: Le tecniche adesive, a differenza delle convenzionali, permettono il massimo rispetto del tessuto sano residuo; consentono, di conseguenza, la massima preservazione dell’integrità strutturale oltreché della resistenza meccanica degli elementi protesizzati, il mantenimento della vitalità della grande maggioranza di questi, il rispetto in modo semplice della salute parodontale ed un più facile mantenimento igienico domiciliare e professionale nel tempo.

L’allungamento della vita media, il miglioramento del livello di igiene da parte dei pazienti, il miglioramento delle terapie odontoiatriche e di conseguenza il maggior periodo di permanenza in bocca degli elementi dentari ha comportato il progressivo diffondersi di problemi diversi da quelli strettamente legati alla carie ed alla parodontite.
Sebbene la carie rimanga la principale patologia dentale, hanno acquisito maggior peso rispetto al passato lesioni non cariose dei tessuti dentali.
Queste sono lesioni multifattoriali che si manifestano principalmente a causa di frizione, stress occlusale e biocorrosione; tutti questi fattori, ovviamente, possono nello stesso paziente coesistere e concausare danni di natura non batterica.
Possiamo definire la “frizione” come la vera causa di usura delle superfici dentali (tab. 1).

MECCANISMO PATODINAMICO
FATTORE EZIOLOGICO
Frizione
Endogeno (attrito)Parafunzione
Deglutizione
Esogeno (abrasione)Masticazione di cibi secchi
Manovre di igiene orale
Abitudini viziate
Deviazioni professionali
Apparecchiature dentali
Tab. 01
Per frizione di natura endogena si intende l’attrito non funzionale tra le superfici dentali, principalmente determinato da parafunzioni (clenching - bruxismo) ma che pure è conseguenza del contatto tra le arcate alla fine della deglutizione (figg. 1, 2 e 3).


Le cause esterne di frizione (frizione esogena) prendono il nome di abrasioni; tra queste dobbiamo annoverare lo spazzolamento (figg. 4 e 5), specie se eseguito non correttamente, l’uso di strumenti di igiene interdentale quali gli stuzzicadenti, le abitudini viziate come l’onicofagia o i comportamenti di natura occupazionale (ad esempio il tenere frequentemente tra i denti aghi da cucito o il becco di uno strumento a fiato); anche i ganci delle protesi rimovibili possono causare abrasione delle superfici dentali.

MECCANISMO PATODINAMICOFATTORE EZIOLOGICO
Stress - abfraction
Parafunzione
Occlusione
Deglutizione
EsogenoMasticazione di cibi duri
Abitudini viziate
Deviazioni professionali
Apparecchiature dentali
tab. 02
Lo stress occlusale origina l’abfraction. Come vediamo dalla tabella 2 le cause di abfraction sono sovrapponibili a quelle di frizione e quindi riconducibili ad un sovraccarico occlusale.


A differenza dell’usura delle superfici occlusali e dei margini incisali, l’abfraction consiste nella microfrattura dello smalto dentale in aree non direttamente sottoposte al carico occlusale (dunque non in contatto con l’antagonista), bensì in zone cervicali nelle quali avviene una concentrazione di stress comunque conseguente al carico occlusale.
L’abfraction rappresenta quindi un evento più repentino e traumatico rispetto alla progressiva usura identificabile con la frizione. Questa differenza non è accademica, poiché appare più facile, una volta identificata la natura dello stress causale, ad esempio un precontatto o meglio una interferenza sia in relazione centrica che in posizioni eccentriche, agire ed eliminarne il motivo.


La biocorrosione è definita come “degradazione chimica (figg. 6 e 7), biochimica ed elettrochimica delle superfici dentali”, ed ha basi endogene o esogene (tab. 3). La presenza di batteri acidogeni nella placca, l’acidità del fluido crevicolare gengivale e patologie quali il reflusso gastroesofageo o la bulimia costituiscono cause endogene, mentre fattori dietetici come il consumo di bevande carbonate o succhi di frutta acidi costituiscono la causa principale di biocorrosione su base esogena.

MECCANISMO PATODINAMICOFATTORE EZIOLOGICO
Biocorrosione
EndogenaBatteri acidogeni della placca
#rowspan# Fluido crevicolare
#rowspan# Succhi gastrici (RGE - bulimia)
EsogenaConsumo di bevande acide,
agrumi e succhi di frutta
#rowspan# Esposizione professionale
a gas acidi industriali
o ad altri fattori ambientali
ProteoliticaLisi enzimatica (carie)
#rowspan# Proteasi (lisina e tripsina)
#rowspan# Fluido crevicolare
Elettrochimica
Effetto piezoelettrico sulla dentina

Comunemente ci si riferisce alla biocorrosione con il termine “erosione”; questa accezione non è però appropriata, poiché l’erosione consiste in un ben distinto fenomeno fisico, non chimico, conseguente ad usura determinata dalla frizione di un liquido su di una superficie solida (1).
Questi meccanismi possono portare a lesioni importanti del tessuto duro dentale, sia direttamente che indirettamente. A livello cervicale le lesioni non cariose costituiscono la principale causa di perdita di tessuto; in queste aree la lesione cariosa si instaura spesso in un secondo momento ed è comunque meno frequentemente riscontrabile. È possibile ipotizzare che lesioni nello smalto su base meccanica o biochimica possano favorire l’insorgenza di lesione cariosa anche a livello occlusale o interprossimale (1).
Ancora, lo stress occlusale o l’instaurarsi di abitudini viziate possono portare a fratture di varia gravità degli elementi dentali, fino a comportarne l’estrazione.

tab. 04
tab. 04

L’azione combinata di frizione, stress occlusale e biocorrosione (tab. 4) può da ultimo compromettere progressivamente gli elementi di entrambe le arcate, configurando quadri di perdita di tessuto duro anche grave (fig. 8).

Fig. 8
Fig. 8

Sebbene per effetto della eruzione passiva la dimensione verticale possa, probabilmente, restare immutata (2, 3), la riabilitazione restaurativa di queste situazioni, spesso impone la necessità clinica di un rialzo della dimensione verticale al fine di ristabilire guide corrette, un tavolato occlusale parallelo al piano di Camper ed equilibrati piani incisali in armonia con la cornice labiale ed il viso del paziente (4).
Un approccio protesico convenzionale richiede il rispetto di forme di ritenzione e resistenza dei monconi preparati, oltreché la garanzia di uno spessore di almeno 1,5-2 mm in occlusione per il restauro protesico (tutto ciò specie con la tecnica metallo-ceramica ma anche, seppur un poco meno con i restauri metal-free). Soddisfare questi requisiti in queste condizioni cliniche impone grande invasività, rendendo spesso necessari trattamenti endodontici e chirurgici (vedi chirurgia ossea resettiva nel contesto di un intervento di allungamento di corona clinica) a solo fine protesico (5, 6).
Un moderno approccio a queste situazioni cliniche invece si basa sulla cementazione adesiva di restauri che garantiscono funzione ed estetica anche in spessori ridotti riducendo al massimo l’invasività per prediligere l’addizione.
Le procedure restaurative infatti spesso causano un incremento della flessione delle cuspidi sotto carico occlusale determinato dall’indebolimento delle strutture residue .
Tutto ciò può esitare in riduzione della resistenza residua dell’elemento, maggiore frequenza di fratture e sindromi del dente incrinato (7) (fig. 9).

Fig. 9
Fig. 9

Tale opportunità, facciamo riferimento alle moderne tecniche di restauro prevalentemente additive, ci permette di preservare al massimo l’integrità dei tessuti residui garantendo un ripristino non solo della forma ma anche, in parte, della loro resistenza strutturale.
Tutto ciò è oggi possibile grazie a due fondamentali aspetti che la ricerca ci ha apportato: l’adesione e i nuovi materiali.

Adesione

L’adesione ai tessuti duri dentali si basa su legami di natura micromeccanica o chimica, a seconda che il sistema adesivo scelto comporti la rimozione o la dissoluzione del fango dentinale. Sebbene tutti gli odierni sistemi adesivi garantiscano elevati valori di adesione a breve termine, nel lungo periodo l’efficacia di tale legame si riduce per cause fisiche e chimiche. Le forze infatti che entrano in gioco durante la funzione e la parafunzione insieme alla differenza tra i coefficienti di espansione termica esistente tra i materiali da restauro ed i tessuti dentali comportano stress fisico all’interfaccia dente/restauro.
Le sostanze acide, invece, contenute in cibi e bevande, gli enzimi salivari, nonché i prodotti di derivazione batterica degradano il legame adesivo chimicamente.
Per contrastare al meglio i fattori fisici che possono portare al fallimento del legame adesivo è necessario:

  • disegnare cavità che consentano agli adesivi di lavorare quanto più possibile in compressione, evitando di mantenere cuspidi non sostenute che, oltre a presentare un maggior rischio di frattura, tendono a flettere sotto sforzo, sollecitando l’interfaccia dente/restauro;
  • evitare di porre il confine tra dente e restauro, a livello occlusale, in corrispondenza di uno “stop di centrica” per prevenire lo scarico delle forze masticatorie direttamente sul legame adesivo (8).

Per combattere le cause chimiche di deterioramento del legame adesivo è fondamentale la creazione di un eccellente strato ibrido. Uno strato ibrido già inizialmente imperfetto infatti, comporta:

  • degradazione della resina per idrolisi;
  • degradazione delle fibre collagene dentinali non adeguatamente impregnate;
  • mancato controllo dell’attività collagenolitica intrinseca della dentina (9).

Questi fattori lasciano dei vuoti che vengono infiltrati dall’acqua, la quale degrada sempre maggiormente il legame adesivo, fino al suo fallimento (10).
Vediamo quali strategie pratiche mettere in atto per garantire il raggiungimento di un’ottima adesione.

  • Preferire l’uso di sistemi etch&rinse tre passaggi o self-etch due passaggi ai sistemi adesivi semplificati. Scegliere infatti sistematiche adesive in cui primer e bonding non siano separati comporta la formazione di uno strato ibrido semipermeabile, soggetto a mostrare più rapidamente i problemi sopra elencati, oltreché valori di adesione già in partenza inferiori.
  • Migliorare l’impregnazione delle fibre collagene. Per evitarne al massimo la degradazione è necessario che tutte le fibre collagene siano impregnate di primer e successivamente di adesivo. Per ottenere questo risultato è importante, qualora si adotti un sistema etch&rinse, non mordenzare la dentina oltre i 15 secondi, per evitare di esporre uno spesso strato di fibre collagene che non sarebbe poi possibile impregnare adeguatamente. Ed ancora, alcuni autori hanno proposto di prolungare il tempo di applicazione del primer o strofinare con forza il fondo della cavità.
  • Aumentare i tempi di polimerizzazione dell’adesivo. Dato che la degradazione della resina avviene per idrolisi e l’aumento dei tempi di polimerizzazione consente un abbassamento della permeabilità dello strato ibrido, raddoppiare il tempo di polimerizzazione dell’adesivo rappresenta un metodo efficace per ottenere una adesione migliore e più stabile.
  • Inibire l’attività collagenolitica intrinseca degli enzimi dentinali. Si è visto che le fibre collagene non bene impregnate possono andare incontro a degradazione anche da parte di metallo-proteasi presenti nella dentina stessa. Queste non sono inibite dalla mordenzatura acida, ma lo sono, pare, dalla clorexidina in bassa concentrazione. Utilizzare una soluzione acquosa al 10% di clorexidina dopo il mordenzante per 20 secondi per poi asciugarla e procedere con le successive fasi della adesione può risolvere questo problema (10, 11).

Nuovi materiali

Dopo avere visto come ottenere una adesione efficiente e quanto più possibile stabile nel tempo, passiamo in rassegna alcuni dei materiali, oggi a disposizione del clinico, utilizzabili al fine di restaurare situazioni che presentano diffuse lesioni sia di origine batterica che non determinate dalla carie; tutto ciò è possibile seguendo un flusso di lavoro analogico, come pure sfruttando le tecniche digitali CAD/CAM.
Tra i materiali che possiamo annoverare in funzione restaurativa, elenchiamo di seguito i principali con le relative caratteristiche.
Il composito è sicuramente efficace nei settori posteriori ma, per garantire il miglior risultato estetico, nei sestanti anteriori è bene utilizzare materiali ceramici (12, 13, 14).
In questo senso il disilicato di Litio (e-max, Ivoclar Vivadent, Schaan, Liechtenstein) ed il silicato di Litio rinforzato con ossido di zirconio (Celtra Duo, Dentsply, York, PA, USA) si presentano come i materiali tra i più versatili oggi a nostra disposizione. Lo spettro di indicazioni a cui si prestano è ampio, potremmo infatti utilizzare tali materiali nel realizzare i seguenti restauri: faccette, corone, intarsi (overlay, onlay, inlay, occlusal veneer).
Essendo possibile realizzare manufatti in disilicato a spessori minimi anche in corrispondenza della superficie occlusale (possibile arrivare a spessori anche inferiori ad 1 mm), si configura come una delle indicazioni principali la riabilitazione adesiva full-mouth di pazienti che presentano patologia erosiva; in queste situazioni il disilicato garantisce funzione, massima preservazione di tessuto sano, facile mantenimento igienico ed elevato risultato estetico (15).
Il disilicato di Litio può anche essere utilizzato come core sul quale stratificare una ceramica vetrosa.
Questo materiale è commercializzato in due formati: uno è utilizzabile mediante pressofusione nel contesto di un flusso di lavoro analogico (e.max Press Ivoclar), il secondo (e.max CAD Ivoclar), si impiega per fresatura dal pieno di un ingot in un flusso di lavoro completamente digitale. I due formati differiscono leggermente per caratteristiche meccaniche; e.max Press, ad esempio, raggiunge una resistenza alla flessione di 390 MPa, mentre e.max CAD presenta una resistenza alla flessione di 360 MPa.
Celtra Duo è un materiale sviluppato per un flusso di lavoro digitale con una resistenza alla flessione, dopo caratterizzazione e glasatura, di 370 MPa.
Altri materiali recentemente introdotti sul mercato e sviluppati per un flusso di lavoro digitale combinano una matrice resinosa simile a quella presente nei materiali compositi con riempitivi ceramici, al fine di migliorarne le caratteristiche strutturali ed estetiche.
Lava Ultimate (3M Espe, St. Paul, MN, USA), ad esempio, è una resina nano ceramica, costituita da una matrice resinosa rinforzata con nano particelle ceramiche per l’80% in peso. Questo materiale non necessita di sinterizzazione, per cui una volta fresato deve solamente essere rifinito e lucidato ed, eventualmente, caratterizzato. Tale peculiarità lo rende particolarmente adatto ad un flusso di lavoro CAD/CAM chair-side, col quale si intende fornire al paziente un restauro indiretto adesivo in un’unica seduta. Trova le sue indicazioni per inlay, onlay e faccette, ma non per corone complete nè corone parziali.
Cerasmart (GC, Tokyo, Japan) è un materiale ceramico composto da una matrice resinosa e riempitivi ceramici ultrafini (di granulometria inferiore rispetto a Lava Ultimate) che prevengono la formazione di schegge in fase di molaggio, a vantaggio di precisione marginale e resa estetica. Non necessita di sinterizzazione e presenta una gamma di indicazioni ampia per il restauro del dente singolo, che comprende intarsi, corone e corone su impianti (tab. 5).

 flusso di lavorocoronepontifaccetteinlay/onlayoverlayfaccette
occlusali
CompositoAnalogico+/--+/-++-
Disilicato di LitioAnalogico/
Digitale
++/-++++
Lava UltimateDigitale--+++-
CerasmartDigitale+-++++/-
Celtra DuoDigitale+-+++/-+/-

tab 5

Caso Clinico

Fig. 10
Fig. 10

Un paziente di sesso maschile dell’età di 65 anni si presenta alla nostra osservazione lamentando sensibilità termica diffusa, mancanza di stabilità occlusale ed insoddisfazione dal punto di vista estetico (fig. 10) per le diffuse abrasioni a carico di entrambe le arcate dentarie (figg. 11, 12 e 13).


All’anamnesi non viene riferito nulla di rilevante sia per quanto concerne la salute generale che la salute orale in particolare.
L’analisi endorale evidenzia la presenza di un deep-bite; tutti gli elementi risultano abrasi con ampie isole di dentina esposte al cavo orale.
Il gruppo incisivo-canino superiore presenta bordi incisali estremamente assottigliati; in corrispondenza della superficie palatina non è quasi più possibile reperire smalto se non a livello della zona iuxta-gengivale e a livello della cornice più periferica degli elementi dentari stessi.
Gli incisivi laterali superiori vengono trattati in urgenza in quanto necrotici a causa dell’esposizione pulpare all’ambiente orale, in conseguenza della abrasione-biocorrosione diffusa.
Anche gli elementi 13 e 23 mostrano in trasparenza la cavità pulpare, tanto è assottigliata la dentina residua a livello della concavità palatina.
Sono presenti numerosi restauri in amalgama preesistenti, carie in sede interprossimale sia a carico di superfici mai restaurate sia di recidive (figg. 14 e 15).


In sede 25 è presente una corona in metallo-ceramica che non denuncia problemi di sorta , mentre in sede 26 si può osservare un overlay in composito piuttosto abraso.
L’elemento 46 è già stato trattato endodonticamente con successo e ricostruito con un perno presumibilmente in fibra di carbonio.
Tutti gli elementi anteriori denunciano invece notevole perdita di sostanza dentale di natura non cariosa presumibilmente dovuta ad abitudini parafunzionali e bruxismo.
Tra le aspettative del paziente dobbiamo annotare la assoluta avversione nei confronti di qualsiasi terapia chirurgica; nel recente passato allo stesso alcuni colleghi avevano prospettato un intervento che prevedeva la protesizzazione di tutti gli elementi residui abbinando anche fasi di chirurgia parodontale presumibilmente da ricondurre al recupero di altezza di corona clinica per fini protesici (allungamento di corona clinica).
Lo stato di salute parodontale risulta buono nonostante una diffusa gengivite determinata da una scarsa collaborazione domiciliare da parte del paziente: non sono presenti tasche di profondità significativa, ma solo infiammazione e sanguinamento al sondaggio.
Da un attento colloquio e alcune sedute durante la terapia causale (vedi preparazione iniziale parodontale), si riesce a risalire ad una delle potenziali cause che hanno provocato tale situazione.
Dal colloquio con il paziente infatti si capisce che una parte della patologia non cariosa non è solo riconducibile ad “attrition” (conseguente al bruxismo) ma anche ad un inusuale consumo di agrumi avvenuto nel passato.
Il paziente infatti, dopo numerose sollecitazioni, riporta di un periodo di particolare stress vissuto nel passato durante il quale di consuetudine consumava considerevoli quantità di agrumi (anche dieci arance al giorno).
Da qui si può risalire alle cause meccaniche e biocorrosive che hanno portato alla situazione presente.

Fase terapeutica

Dopo aver eseguito uno status radiografico completo (figg. 16-22),

un sondaggio dei tessuti parodontali ed una volta terminata la terapia causale (preparazione iniziale) abbiamo rilevato, come di consueto in casi similari, i modelli di studio montandoli in articolatore semi-individuale in posizione di relazione centrica.
Abbiamo pure ipotizzato, nel rilevare le cere di relazione centrica, un aumento di dimensione verticale al fine di creare uno spazio tra le arcate che ci permettesse di intervenire quasi esclusivamente addizionando quanto abrasione, stress e biocorrosione avevano tolto a livello di smalto e dentina.
Mediante l’indispensabile ausilio offertoci dalle fotografie è stato realizzato un wax-up diagnostico (fig. 23)

in laboratorio che prevedesse, per l’appunto, un aumento della dimensione verticale in posizione di relazione centrica riorientando pure il piano occlusale ed in particolare il piano incisale superiore.
Lo studio di laboratorio, tramite un mock-up (figg. 24 e 25), è stato poi trasferito in bocca e mostrato al paziente, documentando fotograficamente i possibili cambiamenti che erano stati ipotizzati.
All’epoca non ci siamo avvalsi di una pre-visualizzazione digitale del restauro ipotizzato prima di realizzare il wax-up ed il mock-up diagnostico, mentre oggi partiremmo con lo studio del caso in digitale per poi passare, sulla guida di questo, alla fase analogica convenzionale sempre e comunque insostituibile.
La pre-visualizzazione del nostro intervento mediante il posizionamento del mock-up, quasi completamente additivo, ha suscitato nel paziente una notevolissima aspettativa vista l’ottima integrazione nella cornice labiale e l’armonizzazione di quanto ipotizzato con il resto del viso (fig. 25).
Seguendo quanto suggerito dalla tecnica Three Step, salvo alcune modifiche delle procedure proposte in letteratura, abbiamo dunque stampato dei rialzi posteriori in resina composita a livello dei sestanti posteriori aumentando la dimensione verticale in funzione di quanto desunto dalla fase di studio (alcune modifiche sono state ovviamente apportate sulla guida della prova endorale) (16, 17, 18).
Tutto ciò in posizione di relazione centrica (19).
I rialzi posteriori in composito sono stati volutamente realizzati di colore molto differente da quello dei denti presenti al fine di agevolare la loro rimozione nell’intento di preservare al massimo le strutture dentali residue in vista dei restauri adesivi definitivi previsti quasi interamente additivi (figg. 26-29).


Nel periodo “di prova” della nuova situazione abbiamo sbiancato con la tecnica “home bleaching” i denti delle due arcate per ottimizzare il restauro estetico finale visto che il croma di partenza era molto intenso ed il valore piuttosto basso (figg. 30 e 31).


Dopo all’incirca 45 giorni dall’inserimento dei rialzi in composito provvisori siamo passati alla fase finale di riabilitazione adesiva.
Lo spazio, piuttosto considerevole, creatosi a livello interincisivo è stato colmato seguendo le indicazioni desunte dalla fase di studio e di prova, restaurando con 6 faccette, completamente additive, la superficie palatina del gruppo incisivo-canino superiore.
Le faccette sono state realizzate in composito ipotizzando, già in questa fase, un nuovo bordo incisale al fine di verificare la sua integrazione estetica e fonetica (figg. 32 e 33) .


In sede incisivo-canina inferiore, invece, sono state cementate 6 faccette realizzate in disilicato di Litio (e-max Ivoclar) cementate in modo adesivo (figg. 34 e 35); sarebbe stato auspicabile riportare coronalmente i tessuti parodontali in sede 33-34, ma il paziente sin dall’inizio aveva espresso la ferma volontà di non sottoporsi ad alcuna fase chirurgica già in passato prospettata ed ancora proposta senza successo.
Terminata la fase di riabilitazione dell’intero tavolato occlusale, abbiamo sostituito i restauri provvisori posteriori passando alla cementazione di overlay singoli a carico di tutti gli elementi posteriori fatto salvo il dente 25, già protesizzato, e per il quale si è stati ovviamente obbligati a sostituire la precedente corona completa con una nuova corona.


Le parti vestibolari biocorrose e soggette ad abfraction sono nello stesso tempo state ricostituite con l’impiego di compositi diretti sempre nell’ottica della massima preservazione dei tessuti residui.
Da ultimo abbiamo realizzato sei faccette in disilicato di Litio in regione incisivo-canina superiore (figg. 36-39);

nel preparare in modo mini invasivo i denti in vista delle faccette, abbiamo ovviamente rimosso, per sostituirlo con la ceramica, il bordo incisivo temporaneamente ricostituito in composito al fine di provarne la propria integrazione estetico funzionale (figg. 40, 41, e 42).


Come sempre abbiamo eseguito un controllo radiografico dei restauri inseriti e consegnato un bite di Michigan notturno al fine di evitare sovraccarichi determinati dalle parafunzioni presenti.

Risultati

Il paziente si dimostra molto soddisfatto del risultato conseguito sia per quanto riguarda l’aspetto estetico del sorriso e del viso “ricondizionato” dalla nuova dimensione verticale, che per quanto riguarda l’aspetto funzionale, vedi stabilità occlusale, armonizzazione delle guide anteriori ed aspetti fonetici (figg. 43-48).


Il risultato è più che mai soddisfacente anche a medio termine come evidenziato dalle immagini rilevate a 4 anni di distanza in occasione di un richiamo di igiene periodico (fig. 49, 50 e 51).

conclusioni

Le tecniche adesive, l’evoluzione merceologica dei materiali insieme alla possibilità di previsualizzazione del risultato finale in fase di studio ci permettono attualmente di riabilitare in modo estremamente conservativo pazienti notevolmente compromessi sia dal punto di vista estetico che funzionale.
Tutto ciò a favore dei tessuti residui che in tal modo, sempre più preservati, potranno resistere al meglio ai carichi occlusali ed alle sollecitazioni funzionali. ●

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To cite: Doctor Os • febbraio 2016 • XXVII 02
Autore: Stefano Patroni*, Francesco Salati**
Istituzione: *Università degli Studi di Parma, Cattedra di Protesi Fissa Presidente Accademia Italiana di Conservativa Libero professionista, ** Università degli Studi di Parma Libero professionista