Impianti sottoperiostei: le implicazioni della progettazione virtuale e dell’osteosintesi rigida

    Paradigm shift in subperiosteal implants: the implications of virtual design and rigid osteosynthesis

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    impianti sottoperiostei
    Fig. 1 Ortopantomografia di inizio trattamento.
    Scopo del lavoro: Superfici sempre più favorevoli all’osteointegrazione e il riconosciuto valore dell’interfaccia osso-impianto hanno permesso negli anni di produrre protocolli riabilitativi alternativi, con impianti inclinati o extramascellari. Ad ogni modo l’applicazione dei suddetti protocolli non è sempre possibile. Si descrive una metodica implanto-protesica che rivisita il concetto di impianto iuxtaperiosteo, sviluppato secondo i moderni dettami di fissazione rigida, carico “load bearing”, progettazione virtuale e realizzazione custom computer-assistita.
    Materiali e metodi:

    Per la riabilitazione di un settore mandibolare posteriore, con scarsa dimensione verticale e impossibilità all’aumento del volume osseo, è stata realizzata, partendo da riferimenti occlusali ed attraverso la progettazione virtuale, una griglia sottoperiostea in lega di titanio, successivamente fissata alla mandibola mediante viti di osteosintesi.

    Risultati:

    A differenza che in passato, la riduzione ad un tempo chirurgico, la precisa produzione custom, il fit ottimale ed il materiale favorevole all’osteointegrazione possono portare ad un risultato protesico ottimale, stabile anche a distanza.

    Conclusioni:

    I vantaggi dell’ingegnerizzazione digitale in un progetto protesicamente guidato si propongono come efficace risposta, plastica, totalmente customizzabile e suscettibile di veloci adattamenti, a numerose situazioni di difficile se non impossibile protesizzazione.

    Il protocollo in oggetto vuole quindi proporsi come design per casi limite e può inoltre risultare meno tecnicamente impegnativo per il clinico, con minori tempi chirurgici e più agevole protesizzazione.

    Ulteriori studi, con adeguato follow up, potranno poi esprimersi sulla validità nel lungo termine di questa metodica.

    Una possibile svolta negli impianti sottoperiostei: le implicazioni della progettazione virtuale e dell’osteosintesi rigida

    Il successo di una riabilitazione implanto-protesica si basa, oltre che su di una corretta e conforme protesizzazione, su di un supporto ottimale dei tessuti scheletrici, sulle caratteristiche del manufatto implantologico e su una favorevole rappresentazione dei tessuti molli perimplantari.

    Tali presupposti sono infatti necessari per definire una pianificazione implantare ed un successo riabilitativo stabile nel lungo termine, riducendo quanto più possibile l’instaurarsi di complicanze quali la perimplantite.

    Questa patologia colpisce infatti fino al 56% dei pazienti trattati (1), spesso in maniera non clinicamente controllabile (2), aggravando sovente una situazione di pre-esistente atrofia ossea.

    Lo sviluppo di superfici più favorevoli all’osteointegrazione, unitamente a studi che hanno sottolineato il valore dell’interfaccia osso-impianto, hanno permesso negli anni di produrre protocolli riabilitativi atti a gestire atrofie ossee sempre più gravi con la riduzione della lunghezza delle fixtures; l’introduzione di nuovi protocolli chirurgici ha determinato il ricorso sempre minore ad interventi mirati ad aumentare il volume osseo, con il conseguente posizionamento degli impianti secondo direttrici anatomiche precedentemente precluse.

    Si è così assistito all’elaborazione dei protocolli “all-on-six” con impianti distali inclinati, “all-on-4”, “pterigo” e “quad zygoma”.

    Esistono ad ogni modo situazioni cliniche in cui l’applicazione dei suddetti protocolli non è possibile, sia per ragioni anatomiche locali, sistemiche o nondimeno logistiche ed economiche.

    Risposte a tali problematiche sono state proposte già nel corso del 2017 da alcuni Autori (3-4) sviluppando nella riabilitazione implanto-protesica i concetti di fissazione rigida e “custom made device”, propri dei distretti traumatologici e ricostruttivi della chirurgia maxillo-facciale.

    Il presente articolo descrive un protocollo chirurgico implanto-protesico che nelle sue varianti rivisita il concetto di impianto iuxtaperiosteo o iuxtaosseo, sviluppato secondo i moderni dettami di fissazione rigida, carico “load bearing”, “digital workflow” di progettazione virtuale a partenza dal piano occlusale e realizzazione custom computer-assistita.

    Materiali e Metodi

    Il caso in oggetto è rappresentato da un soggetto maschio di 65 anni, caratterizzato da un’edentulia del primo, terzo e quarto settore con atrofia verticale, particolarmente marcata in quest’ultimo (fig. 1).

    impianti sottoperiostei
    Fig. 1 Ortopantomografia di inizio trattamento.

    Non si fa menzione, in anamnesi, di fattori di rischio per la riabilitazione implantare. Il progetto chirurgico protesico ha previsto protesi fissa nei tre settori edentuli: in particolare nel primo settore dopo la rimozione di 13, compromesso parodontalmente e della fixture di 14 non integrata, è stato rimosso 18 per poter posizionare, unitamente a 2 impianti tiltati in sede 13 e 14 un impianto pterigoideo dx a completare l’ancoraggio osseo di struttura protesica avvitata. Nel terzo settore, grazie ad un volume osseo sufficiente, sono stati posizionati impianti endossei tradizionali per protesi avvitata.

    Infine, a causa della severa atrofia della cresta ossea edentula mandibolare dx e della scarsa predisposizione del paziente, in seguito ad una precedente esperienza, a sottoporsi ad intervento di chirurgia ossea ricostruttiva, si è deciso di eseguire una protesi cementata a manufatto in titanio CAD-CAM costruito con i principi, rivisitati, della griglia sottoperiostea.

    Per la gestione del caso clinico a livello dell’emimandibola destra, il protocollo sviluppato prevede inizialmente la definizione spaziale sia del volume protesico sia dei pilastri implantari; la posizione di questi ultimi è infatti difficilmente correggibile per le caratteristiche intrinseche della metodica.

    La progettazione della porzione protesica, con la determinazione della dimensione verticale e dei relativi rapporti occlusali, deve rispondere ai consueti canoni di fisiologica protesizzazione.

    L’iniziale e tradizionale ceratura diagnostica è servita, nel presente caso, a “guidare” e controllare la successiva “ceratura diagnostica virtuale”: per fare ciò è stata prodotta su modelli in gesso una dima radiologica che il paziente ha portato durante l’esecuzione della TC cone beam e che è stata contestualmente scansionata da sola, sempre con CBCT.

    I files DICOM sono stati successivamente trasformati in formato STL e fusi per unire i dati relativi alla configurazione ossea con quelli legati all’occlusione dentaria (figg. 2, 3);

    basandosi sulle scansioni ottenute si sono poi determinate, durante la fase di progettazione virtuale e sui volumi protesici fissi prestabiliti, le sedi di emergenza implantare e la lunghezza dei monconi (fig. 4).

    Determinazione dei volumi protesici
    Fig. 4 Determinazione dei volumi protesici e delle conseguenti emergenze implantari.

    Ottenuta la posizione spaziale finale dei pilastri protesici si può realizzare virtualmente la struttura di ancoraggio, come precedentemente già descritto da Gellrich (4); essa consiste in uno scaffold tridimensionale che ripercorre le linee di resistenza ossea (i pilastri ossei facciali descritti da LeFort per quanto riguarda il mascellare, le linee di Champy per quanto concerne la mandibola), con particolare riguardo, grazie alla guida della CBCT, di sfruttare le opportune sedi ove sia presente un buon spessore osseo (fig. 5).

    manufatto implantare progettatoinsede
    Fig. 5 Il manufatto implantare progettato in sede, con particolare riguardo alle sedi di osteosintesi.

    Tale progettazione vede la stretta collaborazione dei ruoli medici ed ingegneristici: il design è stabilito dal clinico, che ripercorre le regioni di maggior rappresentazione ossea, come il pilastro naso-mascellare o maxillo-malare, preservando le sedi di inserzione muscolare, come le linee oblique mandibolari.

    L’ingegnere biomedico determina la resistenza strutturale del manufatto, individuando poi in stretta collaborazione con il chirurgo le zone di ritenzione, ovvero le sedi delle viti di osteosintesi, evitando regioni soggette a riassorbimento come il processo alveolare non ancora stabilizzato o rispettando strutture nobili come il nervo alveolare inferiore nel suo decorso ed emergenza.

    Dopo la stampa in resina di un template stereolitografico del manufatto finale, atto al controllo dell’appropriatezza del progetto, il manufatto viene realizzato in lega di titanio di grado 5 (Ti6Al4V) con metodica “Laser Melting” (strati omogenei di polveri di titanio vengono fuse in maniera additiva con un laser sulla base del modello virtuale 3D), elettro-lucidato e decontaminato per la sterilizzazione.

    Il prodotto customizzato finale è poi fornito al clinico, congiuntamente ad un modello stereolitografico autoclavabile (fig. 6).

    manufatto implantare
    Fig. 6 Il manufatto implantare.

    La procedura chirurgica prevede un intervento in anestesia loco-regionale o, a seconda della compliance del paziente, in sedazione. Un’incisione crestale a tutto spessore è seguita da uno scollamento sottoperiosteo limitato all’estensione del manufatto in titanio.

    Il preciso fit dello stesso è essenziale per il successo protesico e garantisce l’univocità della sua posizione, oltre che permettere una stabile fissazione e successiva integrazione dello stesso.

    Anche per questi dispositivi custom made è fondamentale evitare i sottosquadri ossei (presenti soprattutto lingualmente a livello mandibolare posteriore) che ne renderebbero difficoltoso il posizionamento, ma soprattutto evitare pericolosi spazi morti tra presidio in titanio e corticale ossea, ad alto rischio per deiscenze mucose.

    Il device customizzato è poi solidarizzato ai pilastri di resistenza ossea, in maniera assolutamente analoga agli standard di osteosintesi in traumatologia maxillo-facciale, con un numero variabile di viti compreso tra 6 e 12 per emiarcata. Ottenuta un’adeguata emostasi, si sutura l’accesso chirurgico (fig. 7).

    Ortopantomografia post trattamento chirurgico
    Fig. 7 Ortopantomografia post trattamento chirurgico.

    La protesi provvisoria viene cementata dopo opportuna verifica occlusale ed eventuale ribasatura diretta con resina a freddo nella stessa seduta. La stabilità primaria è garantita dal preciso fit del manufatto e dalla metodica di fissazione rigida, effettuata quando possibile su direttrici multivettoriali.

    La guarigione mucosa avviene per prima intenzione; particolare riguardo alla progettazione della griglia e all’incisione, che non dovrebbero coincidere, limitano la comparsa di deiscenze di ferita. Il carico masticatorio viene ridotto per circa 6 settimane.

    È di massima importanza per i primi 20 giorni istruire il paziente su come condurre l’igiene orale che deve essere facilitata, nei pressi dei pilastri transmucosi di ancoraggio, dall’odontotecnico con la creazione di spazio sufficiente per la detersione post-chirurgica.

    Risultati

    La metodica descritta prende origine dai desueti protocolli implantari iuxtaperiostei e, dopo accurata analisi, ne ripropone il concetto attraverso una profonda rivisitazione.

    Ciò è possibile grazie a decenni di affinamento di procedimenti chirurgici traumatologici e ricostruttivi, di sviluppo dei materiali implantari e di implementazione radiologica con conseguente digitalizzazione del flusso di lavoro.

    Questi fattori, pur in continuo sviluppo, hanno reso questa metodica adeguata agli standard realizzativi propri del III° millennio.

    Il primo consistente rinnovamento è costituito dalla progettazione e realizzazione digitale, a partenza dai pilastri protesici, di un modello STL deformabile completamente individualizzato, preludio di struttura tridimensionale che combaci perfettamente con il letto ricevente.

    La corretta relazione interocclusale, di fondamentale importanza, viene così replicata digitalmente e l’unica accortezza da mantenere è di evitare sottosquadri in fase progettuale o di correggerli in corso di realizzazione chirurgica.

    A differenza che in passato, la progettazione è realizzata senza un primo tempo chirurgico, utile alla presa dell’impronta.

    Il fit ottimale è ancora essenziale ma non sufficiente ad eliminare i dannosi movimenti sotto carico occlusale. Buona parte della stabilità finale è infatti garantita dalla fissazione rigida: diverse viti di osteosintesi sono utilizzate per fissare il manufatto a porzioni scheletriche non soggette a riassorbimento, ancorando lo stesso secondo direttrici multivettoriali.

    Ciò previene la comparsa di pretermotilità, primo presupposto per lo sviluppo di infezioni o di reazioni fibrose da corpo estraneo.

    Inoltre, la fissazione rigida è presupposto fondamentale per poter osservare una osteointegrazione del manufatto in titanio, quando a contatto con la corticale ossea e rivestito dal periostio da cui ha origine parte dell’osteogenesi.

    Da qui l’importanza della preservazione del periostio stesso che, grazie al minimo spessore della griglia in titanio che non determina ingombro, non deve essere inciso per togliere tensione alla ferita chirurgica.

    Il sito di sintesi è inoltre allontanato dall’interfaccia con il cavo orale, preservando il più possibile la porzione sotto maggior carico da complicanze flogistico-infettive perimplantari (7).

    La gestione dei tessuti molli, sia nell’immediato post-operatorio, sia a distanza di tempo, è di massima importanza, in quanto la presenza di infiltrazioni flogistico-infettive possibili a livello del perno transmucoso di connessione, potrebbero compromettere la stabilità dell’intera struttura che, ricordiamo, non può essere nei casi peggiori rimossa se non per intero.

    Non è inoltre da dimenticare il materiale di realizzazione: in passato era utilizzata la lega di cromo-cobalto-molibdeno, fusa con cera a perdere; la non corrispondenza tra i moduli elastici di osso e Vitallio portava facilmente a stress tissutale, la mancanza di proprietà biologiche impediva l’osteointegrazione.

    Il titanio attualmente impiegato possiede un modulo elastico molto più favorevole oltre ad essere caratterizzata da adeguata biocompatibilità e alta capacità di osteointegrazione.

    Conclusioni

    Alla luce di quanto esposto si evidenziano i vantaggi dell’ingegnerizzazione digitale in un progetto protesicamente guidato, con pianificazione retrograda.

    Tale nuova potenzialità, se adeguatamente padroneggiata e in presenza di una stretta collaborazione clinico-ingegneristica, si propone come efficace risposta, plastica, totalmente customizzabile e suscettibile di veloci adattamenti, a numerose situazioni di difficile se non impossibile protesizzazione.

    Si citano ad esempio le ampie perdite di sostanza mascellari in esiti di chirurgia resettiva o di grave patologia sinusale, con perdita completa dei tessuti duri e molli, che ad ora venivano trattate esclusivamente con protesi otturatorie.

    La metodica appare parimenti adeguata a gestire ridotti spazi protesici con scarsa altezza scheletrica nei settori posteriori mandibolari, ove la dimensione verticale è disputata tra l’aumento del volume osseo e l’altezza delle corone dentali.

    Quanto finora espresso è inoltre basato sull’esperienza pluridecennale del settore chirurgico Maxillo facciale in campo di fissazione rigida, mutuata dalla chirurgia del trauma, malformativa e ricostruttiva.

    Lo scopo di questa metodica non è di sostituire l’ottimo standard implantologico attuale ma di fornire una scelta alternativa a procedure chirurgiche più complesse, impegnative, di maggior durata, multidistrettuali in caso di innesto autologo, e minore predicibilità (5-6).

    Il protocollo in oggetto vuole quindi proporsi come design per casi limite, dove qualità e quantità ossea non soddisfano i requisiti per differenti trattamenti protesici. Lo stesso può inoltre risultare meno tecnicamente impegnativo per il clinico, con minori tempi chirurgici e più agevole protesizzazione.

    A nostro parere ulteriori sviluppi di tale metodica potranno apportare future migliorie: in particolare l’utilizzo della guarigione sommersa della griglia, cui ancorare solo in un secondo tempo i pin di connessione protesica porterà una miglior gestione e controllo dei tessuti molli.

    Analogamente nuovi design che occupino una superficie di corticale più ridotta senza perdere in termini di forza, resistenza e stabilità daranno maggior confort al paziente sia durante il posizionamento sia a distanza come supporto protesico.

    Ulteriori studi, con adeguato follow up, potranno poi esprimersi sulla validità nel lungo termine di questa metodica.

    Bibliografia:
    1. Group D of European Workshop on periodontology. Peri-implant disease: consensus report of the Sixth European Workshop on Periodontology. Lindhe J, Meyle J. J Clin Periodontol 2008;35:282-5
    2. Risk indicators for perimplantitis. A narrative review. Renvert S, Quirynen M. Clin Oral Implant Res 2015;26(suppl 11); 15-44
    3. Additively manufactured sub-periosteal jaw implant. M Y Mommaerts. Int J Oral Maxillofac Surg 2017;46:938-940
    4. A new concept for implant-borne dental rehabilitation; how to overcome the biological weak-spot of conventional dental implants? NC Gellrich, B Rahlf, R Zimmer, PC Pott, M Rana. Head & Face Med 2017 13:17
    5. Forty sandwich osteotomies in atrophic mandible. A retrospective study. Bormann KH, Suarez-Conqueiro MM, von See C, Tavassol F, Dissman JP, Ruecker M. J Oralmax Surg 2011;69:1562-70
    6. Reconstruction of the severely resorbed maxilla with a combination of sinus augmentation, onlay bone grafting and implants. Neyt L, De Clercq CA, Abeloos JV, Mommaerts MY. J Oral Maxillofac Surg 1997; 55:1397-401
    7. Clinical outcome of 103 consecutives zygomaticus implant: a 6-8 months follow up study. Malavez C, Abarca F, Durdu F, Daelemans P Clin Oral Implants Res 2004;15:18-22
    Materials and methods:

    We realized a subperiosteal titanium grid for prosthetic rehabilitation of a mandibular molar sector, where lack of vertical bone dimension and vertical prosthetic width were the challenge to overcome. We started from occlusal relationship and went backward through virtual prosthetic and surgical planning.

    Aim of the work:

    Development in osteointegration and bone-implant interface led through the years to different prosthetic procedures, varying from tilted implant to zygomatic or pterygoid implant. Though feasibility of these prosthetic rehabilitations is to be determined for each patient. Here we suggest a paradigm shift in subperiosteal implant technique, where rigid fixation, load bearing concept, virtual planning and digital engineering are mandatory.

    Results:

    Curtailment in surgical timing, precise fitting, custom production and titanium alloy favourable to osteointegration can lead to an optimal prosthetic result, unlike previous subperiosteal techniques.

    Conclusion:

    Digital engineering in prosthetic-led rehabilitation can easily and quickly answer to challenging requests, providing custom solutions. This procedure could be a feasible answer for difficult cases, less demanding in terms of clinical procedures and easy to enforce. Further studies have to be planned to determine long term stability of this technique.