Mezzo secolo di successo. Analisi retrospettiva della vite endossea di Tramonte a 48 e 34 anni. Caso clinico

Fig. 13 La radiografia sottolinea l’aumentato riassorbimento osseo attorno alle due prime spire dell’impianto. Questo cono di riassorbimento si è in seguito risolto spontaneamente per apposizione ossea dopo l’inserimento della nuova protesi definitiva.
Fig. 13 La radiografia sottolinea l’aumentato riassorbimento osseo attorno alle due prime spire dell’impianto. Questo cono di riassorbimento si è in seguito risolto spontaneamente per apposizione ossea dopo l’inserimento della nuova protesi definitiva.
Scopo del lavoro: Illustrare un caso di implantologia endossea risolto in due fasi, nel 1966 e nel 1980, con viti di Tramonte e attualmente in perfette condizioni dopo 48 e 34 anni di funzione (2014).Sono stati utilizzati due impianti a vite di Tramonte (titanio grado 2) permettendo una riabilitazione implantoprotesica che si è mantenuta nel tempo, precorrendo così i concetti della moderna implantologia (carico immediato).
Materiale e metodi: Sono stati utilizzati due impianti a vite di Tramonte (titanio grado 2) permettendo una riabilitazione implantoprotesica che si è mantenuta nel tempo, precorrendo così i concetti della moderna implantologia (carico immediato).
Risultati: Analizzando la letteratura internazionale, in merito alla durata del successo implantare nel tempo, questo caso rappresenta un follow up tra i più lunghi della storia implantologica. Per la riuscita di un impianto sono fondamentali: la biocompatibilità del metallo, l’igiene orale e, soprattutto, il controllo gnatologico sistematico dell’occlusione centrica e dinamica.

Osservando l’impianto presentato da Stefano Tramonte nel 1964 (1), si può apprezzare la sua diversità rispetto alle tipologie implantari fino ad allora proposte (2) (fig. 1). Attraverso l’introduzione di questa vite il titanio cominciò ad essere usato in implantologia (3), facilitando in questo modo la realizzazione di tutti gli impianti successivi (4).
Tramonte aveva dapprima utilizzato (1959) viti fuse in cromo-cobalto (5, 6) (fig. 2), snellendone il profilo ed affilandone le spire in modo che fossero più taglienti di quelle che i fratelli Strock, a Boston, avevano sperimentato vent’anni prima (7).

Fig. 1 Serie completa di viti di Tramonte, con diametro di 5 mm da 2 a 7 spire.
Fig. 1 Serie completa di viti di Tramonte, con diametro di 5 mm da 2 a 7 spire.


Fig. 2 Le prime viti in cromo cobalto (1959).

Fig. 2 Le prime viti in cromo cobalto (1959).

Provviste di un solido moncone protesico, che proseguiva in un robusto nucleo fornito di spire elicoidali cilindriche e taglienti, le viti potevano essere subito protesizzate senza necessità di attendere il completamento dell’osteogenesi riparativa.
La vite autofilettante di Tramonte è una tra le più importanti realizzazioni implantoprotesiche degli anni Sessanta (figg. 3 e 4) e, evolutasi nel tempo, è rimasta anche attualmente un valido presidio implantare (8). Permette, nonostante richieda una difficoltà chirurgica superiore rispetto ad altre tipologie riabilitative, di eseguire:

  • interventi quasi incruenti che spesso possono essere eseguiti a cielo coperto (flapless);
  • una stabilità primaria che consente l’esecuzione di un’immediata protesizzazione provvisoria e successiva definitiva senza attese di una più tardiva osteostabilizzazione per osteogenesi riparativa (osteointegrazione);
  • grande resistenza ai carichi occlusali ai quali oppongono, oltre al braccio di leva della profondità, anche la dispersione delle sollecitazioni lungo gli ampi piani orizzontali delle spire;
  • trasferimento dei carichi occlusali nelle profondità dell’osso trabecolare, preservando così la cresta da carichi anomali e i conseguenti riassorbimenti orizzontali che possono derivarne (9);
  • possibilità, a posizionamento avvenuto, di procedere alla loro parallelizzazione, per piegatura del moncone, direttamente in bocca e quindi alla loro preparazione con fresa al carburo di tungsteno >e applicazione di un provvisorio immediato; a 60 giorni, ad osteointegrazione verificata, si potrà sostituire il provvisorio e realizzare la protesi definitiva;
  • il più lungo periodo di controllo nel tempo che possa offrire qualsiasi altro impianto attuale, compreso l’impianto a lama (10, 11, 12), dato che le viti di Tramonte sono state utilizzate in più di mezzo secolo da centinaia  di stomatologi.
Fig. 3 La vite di Tramonte in titanio dal 1964.
Fig. 3 La vite di Tramonte in titanio dal 1964.

 

Fig. 4 A destra vite in titanio, a sinistra la corrispettiva in vitallium.
Fig. 4 A destra vite in titanio, a sinistra la corrispettiva in vitallium.

 

MATERIALI E METODI

Sono stati utilizzati due impianti di Tramonte in titanio grado 2, di diametro 4 e 5 mm alla spira, lunghezza 4 spire (secondo la classificazione  identificativa adottata dall’autore), diametro al nocciolo 2 mm il primo e 2,25 il secondo, ed inseriti rispettivamente, nella medesima paziente, nel 1966 e nel 1980. Sono stati così monitorati e documentati con fotografie cliniche e immagini radiografiche da allora sino ad oggi.
Per il loro inserimento è stata utilizzata la trousse chirurgica dedicata ed il protocollo chirurgico messo a punto dall’autore alla metà degli anni Sessanta (13).
Gli autori dichiarano che il caso presentato è stato realizzato in accordo con gli standard etici stabiliti nella dichiarazione di Helsinki e che è stato firmato dalla paziente il consenso informato.

Descrizione del caso
Il caso si riferisce ad una paziente caucasica, di sesso femminile, di anni 86 al momento della compilazione del presente lavoro, presentatasi nel 1966 per un’edentulia 23-26. A quel tempo l’autore del primo intervento inserì in zona 24 una vite di Tramonte, come pilastro intermedio in una riabilitazione protesica 22-27 (figg. 5 e 6).
Tale riabilitazione consisteva in un perno moncone applicato sul 22, recante una filettatura interna per l’avvitamento della protesi, in una cappetta telescopica sul 24 ed un’altra sul 27 (fig. 7).

Fig. 5 La vite di Tramonte inserita in 24 secondo tecnica flapless (a cielo coperto) e la preparazione dei monconi naturali (1966).
Fig. 5 La vite di Tramonte inserita in 24 secondo tecnica flapless (a cielo coperto) e la preparazione dei monconi naturali (1966).

 

Fig. 6 La radiografia della vite appena inserita.
Fig. 6 La radiografia della vite appena inserita.

 

Fig. 7 Le cappette in oro di parallelizzazione dell’impianto e del moncone naturale.
Fig. 7 Le cappette in oro di parallelizzazione dell’impianto e del moncone naturale.

Il ponte, un manufatto oro ceramico,  fu avvitato su 22 e fissato con cemento provvisorio su 24 e 27 in quanto la mancanza del canino, deputato a reggere i movimenti di disclusione in lateralità, e la prudenza dell’operatore nei confronti di una tecnica, quella implantologica, a quei tempi ancora pionieristica, suggerivano di non inserire impianti in zone di difficoltà anatomica come quella presentata dalla paziente e ben visibile nella foto del tempo (figg. 8 e 9).

Fig. 8 Il ponte definitivo in oro ceramica (6 marzo 1966).
Fig. 8 Il ponte definitivo in oro ceramica (6 marzo 1966).
Fig. 9 Visione occlusale. In evidenza la vite di bloccaggio del 22.
Fig. 9 Visione occlusale. In evidenza la vite di bloccaggio del 22.

La paziente fu seguita periodicamente. Nel 1979, in uno dei controlli radiografici, si notò una leggera sofferenza perimplantare all’emergenza, limitata alla prima spira della vite, dovuta probabilmente ad un eccesso di carico a sua volta dovuto alla scelta di inserire un solo impianto quale rompi forze di un ponte piuttosto esteso. Si potè osservare la leggera diastasi lungo la lamina dura in prossimità del 27. Sottolineiamo che radiograficamente fu evidente la presenza di un addensamento osseo lungo le spire più apicali della vite a dimostrare la deposizione di osso lamellare, espressione di un adattamento morfostrutturale di tutta la porzione ossea interessata dalla propagazione degli stimoli funzionali (figg. 10 e 11) (14, 15, 16).

Fig. 10 Il ponte rivisto 13 anni dopo con un’iniziale sofferenza nella zona perimplantare (freccia) (1979).
Fig. 10 Il ponte rivisto 13 anni dopo con un’iniziale sofferenza nella zona perimplantare (freccia) (1979).
Fig. 11 La radiografia evidenzia la leggera sofferenza perimplantare delle prime spire della vite e della radice dell’elemento naturale.
Fig. 11 La radiografia evidenzia la leggera sofferenza perimplantare delle prime spire della vite e della radice dell’elemento naturale.

Nel giugno del 1980, la paziente si presentò lamentando la mobilità del ponte e sofferenza a carico degli elementi in 24 e 27, documentata dalle immagini cliniche e radiografiche. La causa di tale evento si identificò nel cedimento della radice del 27, lo svitamento conseguente della vite di contenzione della corona telescopica in 22, scementazione del ponte e successiva sofferenza implantare (figg. 12 e 13).

Fig. 12 Il medesimo ponte nel giugno 1980. Si noti la grave infiammazione dei tessuti molli perimplantari.
Fig. 12 Il medesimo ponte nel giugno 1980. Si noti la grave infiammazione dei tessuti molli perimplantari.
Fig. 13 La radiografia sottolinea l’aumentato riassorbimento osseo attorno alle due prime spire dell’impianto. Questo cono di riassorbimento si è in seguito risolto spontaneamente per apposizione ossea dopo l’inserimento della nuova protesi definitiva.
Fig. 13 La radiografia sottolinea l’aumentato riassorbimento osseo attorno alle due prime spire dell’impianto. Questo cono di riassorbimento si è in seguito risolto spontaneamente per apposizione ossea dopo l’inserimento della nuova protesi definitiva.

Si procedette quindi alla sostituzione dell’elemento naturale 27 con una nuova vite di Tramonte (fig. 14) di diametro 5 mm per 4 spire ed alla sua funzionalizzazione, dopo la guarigione dei tessuti molli, con una nuova realizzazione protesica di 5 elementi, dei quali il 22 ancora avvitato sul perno moncone inserito nella radice dell’elemento naturale. Con l’inserimento del nuovo ponte anche l’impianto in 24, che era in leggera sofferenza, ritrovò un trofismo osseo stabile (fig. 15).

Fig. 14 L’impianto in zona 26 in sostituzione dell’elemento naturale (1980).
Fig. 14 L’impianto in zona 26 in sostituzione dell’elemento naturale (1980).
Fig. 15 Il nuovo ponte. La freccia ad indicare la discromia incisale del 21 (1980) indicativa anche dopo quasi mezzo secolo (2014).
Fig. 15 Il nuovo ponte. La freccia ad indicare la discromia incisale del 21 (1980) indicativa anche dopo quasi mezzo secolo (2014).

RISULTATI

I controlli radiografici e fotografici eseguiti 34 e 48 anni più tardi evidenziano la completa osteointegrazione delle due viti di Tramonte dimostrando l’assenza di qualunque recessione dei tessuti includenti. Non si riscontra alcuna modifica del tessuto osseo perimplantare. Inoltre, la cone beam mirata sottolinea la formazione di una pseudo “lamina dura” intorno agli impianti (figg. 16-19). Interessanti le modifiche al tessuto parodontale della paziente, che all’atto dell’inserimento dell’impianto aveva 37 anni, e che dimostrano il fisiologico decadimento delle condizioni morfostrutturali del mascellare; intorno agli impianti si conserva ancora un tessuto osseo  di buona densità (figg. 20 e 21).

Fig. 16 La cone beam effettuata dopo 48 anni dall’inserimento della prima vite in 24 testimonia la completa osteointegrazione di questo impianto; il tutto viene evidenziato dall’immagine 3D dalla quale non si nota alcuna deiscenza.
Fig. 16 La cone beam effettuata dopo 48 anni dall’inserimento della prima vite in 24 testimonia la completa osteointegrazione di questo impianto; il tutto viene evidenziato dall’immagine 3D dalla quale non si nota alcuna deiscenza.
Fig. 17 La cone beam effettuata dopo 34 anni dall’inserimento della seconda vite.
Fig. 17 La cone beam effettuata dopo 34 anni dall’inserimento della seconda vite.
Fig. 18 Nella sezione sagittale del 24 si può notare anche la completa tenuta del tavolato vestibolare.
Fig. 18 Nella sezione sagittale del 24 si può notare anche la completa tenuta del tavolato vestibolare.
Fig. 19 Stessa visione sagittale del 26. Da notare l’ispessimento osseo tipo “lamina dura” intorno alla spira implantare.
Fig. 19 Stessa visione sagittale del 26. Da notare l’ispessimento osseo tipo “lamina dura” intorno alla spira implantare.
Fig. 20 La visione dei tessuti molli palatali (2014).
Fig. 20 La visione dei tessuti molli palatali (2014).
Fig. 21 Il ponte al momento dell’indagine cone beam (2014).
Fig. 21 Il ponte al momento dell’indagine cone beam (2014).

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Questo caso rappresenta tutt’oggi uno dei casi più completi di follow up clinico di implantologia su impianti endossei emergenti a carico immediato condotto sulla medesima paziente (17) e  dimostra:

    • la completa cicatrizzazione del tessuto osseo senza perdita di sostanza intorno al collo di due impianti Tramonte a carico immediato dopo 34 (1980 - 2014) e 48 (1966 - 2014) anni di attività funzionale;
    • la prolungata mancanza di segni clinici d’infiammazione nei tessuti contigui alla zona dell’emergenza degli impianti;
    • l’assoluta tollerabilità della protesi di tipo tradizionale, che non ha determinato problemi di alcun genere a carico degli impianti dopo quasi mezzo secolo di permanenza in una bocca le cui condizioni sono andate peggiorando, sia per le normali perdite di trofismo tissutale dovute all’età, sia per la diminuita cura igienica frequente nelle persone anziane.

Inoltre, crediamo di poter affermare che i presupposti teorici che hanno determinato le caratteristiche progettuali di questo impianto, cui bisogna riconoscere il merito di essere stato fra i primi specificamente progettati e disegnati per il carico immediato, di aver introdotto  un’area di rispetto biologico e, infine, di aver proposto l’uso del titanio in implantologia, siano risultati, alla luce di  successivi studi e ricerche, assolutamente validi (18, 19).
Questo lavoro, che spazia in un arco di tempo di quasi cinquant’anni, durante i quali è stata eseguita la prima grande ricerca istologica sul sigillo biologico perimplantare nell’uomo (1972) (20, 21), avvalla le caratteristiche progettuali della parte endossea di questo impianto come particolarmente idonee al carico immediato, in accordo con i successivi  studi teorici di Lemons sulla biomeccanica delle morfologie implantari e di James sulla dimensione dell’emergenza implantare più consona per evitare riassorbimenti ossei intorno a quest’ultima (22, 23, 24).

Ringraziamenti
Si ringraziano le dottoresse Tatiana Turceninoff e Claudia Camerano per la preziosa collaborazione.

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To cite: Doctor Os
Autore: Marco E. Pasqualini, Silvano U. Tramonte
Istituzione: Liberi professionisti