Rigenerazione ossea spontanea di un’ampia lesione cistica mandibolare e successiva riabilitazione implanto-supportata: caso clinico

Rigenerazione ossea spontanea
Fig. 1 Radiografia ortopanoramica preoperatoria.
Scopo del lavoro: Scopo del lavoro è verificare l’avvenuta guarigione ossea spontanea, dopo rimozione di un’ampia cisti mandibolare, senza l’utilizzo di alcun bioriempitivo della cavità residua.
Materiale e metodi: Con un approccio chirurgico minimamente invasivo, al fine di ridurre il rischio di complicanze postoperatorie, è stata eseguita la rimozione di un’ampia cisti mandibolare di natura follicolare. L’ intervento è stato eseguito presso il Reparto di Chirurgia Orale dell’Ospedale San Giovanni Calibita, Fatebenefratelli, di Roma. Dopo avvenuta rigenerazione ossea spontanea dell’area trattata, ovvero senza l’utilizzo di biomateriali, è stato possibile riabilitare il paziente mediante una protesi overdenture implanto-supportata, con ottimi risultati funzionali e estetici.
Risultati: È stata ottenuta una completa guarigione ossea spontanea, clinica e radiografica del sito trattato. I successivi controlli radiografici non hanno evidenziato alcuna recidiva. Il presente caso clinico ha mostrato che è possibile e predicibile la guarigione ossea spontanea, senza l’utilizzo di alcun biomateriale, dopo rimozione di un’ampia cisti mandibolare, con la diminuzione dei costi economici e biologici dell’intervento nonché del rischio di complicanze postoperatorie.  

L’ avvento dell’implantologia ha rivoluzionato l’odontoiatria protesica e apportato notevoli benefici ai pazienti (1). Le riabilitazioni implantari hanno migliorato in modo significativo la funzionalità dell’apparato stomatognatico e dunque la qualità di vita dei pazienti (2). Fino al 1988 sono stati inseriti in tutto il mondo circa 300.000 impianti (3) e oltre 1 milione poco prima della fine del millennio (4). L’impatto socioeconomico del trattamento sulla popolazione, il rapporto costo-beneficio e l’efficacia implantare sono fattori molto importanti nella valutazione dei pazienti (5). La sostituzione di elementi naturali mancanti mediante riabilitazioni protesiche implanto-supportate è una metodica altamente affidabile e predicibile, con alte percentuali di sopravvivenza riportate in letteratura (6, 7, 8).
Diversi sono i fattori che hanno contribuito ad incrementare il grado di accettazione degli impianti dentali da parte dei pazienti: l’aumento delle aspettative di vita; il miglioramento dello status socio-economico; lo sviluppo di nuove tecniche (rigenerazione ossea guidata, espansione di creste edentule, rialzo di seno mascellare). La sostituzione degli elementi dentari persi o mancanti mediante riabilitazioni implanto-supportate è stata accettata e valutata positivamente dai pazienti che si sono sottoposti a questo trattamento (9, 10). Molti pazienti in diversi studi hanno espresso una preferenza per la terapia implantare come metodica sostitutiva degli elementi mancanti (11, 12, 13).
Dal punto di vista istopatologico, è frequente l’osservazione di cisti odontogene, la cui guarigione innesca meccanismi biologici di riassorbimento e apposizione (14). Le cisti radicolari sono le più frequenti neoformazioni odontogene, rappresentando il 42-44% di tutte le lesioni apicali, seguite dalle cisti dentigere (15). La loro frequenza relativa è di 1,44 cisti/100 denti non erotti (16, 17). Le cheratocisti odontogene rappresentano circa l’11% di tutte le cisti mandibolari (18).
Il trattamento di elezione per la maggior parte delle cisti mandibolari consiste nell’enucleazione di tali lesioni. Le piccole cavità cistiche possono guarire spontaneamente mediante un meccanismo fisiologico di apposizione ossea. Una controversia circa il management delle cavità ossee residue riguarda la necessità di fare ricorso a grafts allogeni o autogeni per ampi difetti ossei (18-32). Molti studi (33-37) sono concordi nell’affermare che i bioriempitivi riducono il rischio di frattura mandibolare, al fine di preparare l’osso ad un successivo inserimento implantare, mentre Chiapasco e collaboratori 2000 (23) riportano casi consecutivi di guarigione ossea spontanea, ovvero senza l’ausilio di bone scaffolds.
Il presente caso clinico mostra la guarigione ossea spontanea, senza bioriempitivi ossei, di una neoformazione cistica mandibolare trattata utilizzando una tecnica chirurgica conservativa, al fine di minimizzare i disagi postoperatori del paziente e migliorare la guarigione, con inserimento differito di quattro impianti e protesizzazione definitiva su barra.

Materiali e Metodi

In data 6 aprile 2002 un paziente di 59 anni (C.A.) giunto alla nostra osservazione presso il reparto di Odontoiatria dell’Ospedale San Giovanni Calibita, Fatebenefratelli di Roma, si sottoponeva a un intervento di cistectomia, di tipo Partch II, finalizzato alla rimozione di una cisti odontogena mandibolare. L’ortopantomografia e la TC DentaScan, eseguite prima della chirurgia, hanno permesso di valutare le dimensioni della cisti, caratterizzata da un diametro di 3,5 cm. La lesione, in corrispondenza del canino incluso 4.3, occupava il settore latero-posteriore dell’emiarcata inferiore destra (zona 4.4 - 4.5) e interessava gli elementi dentari residui. Radiograficamente è stato possibile evidenziare un odontoma sottocrestale in sede 4.2 (figg. 1 e 2).

Fig. 1 Radiografia ortopanoramica preoperatoria.
Fig. 1
Radiografia ortopanoramica preoperatoria.
Fig. 2 TC Dentascan prima dell’intervento.
Fig. 2
TC Dentascan
prima dell’intervento.

Il piano di trattamento, tenuto conto delle caratteristiche sistemiche, sito-specifiche e di mantenimento igienico del paziente trattato, e delle indagini radiografiche preoperatorie di I e II livello, ha previsto la bonifica completa dell’arcata inferiore, con asportazione dell’odontoma parasinfisario, exodonzia del canino incluso ed enucleazione della cisti annessa, in anestesia locale (fig. 3).

Fig. 3 Ortopantomografia dopo bonifica dentaria.
Fig. 3
Ortopantomografia dopo bonifica dentaria.

Protocollo chirurgico
Previa bonifica dentaria di tutti gli elementi dell’arcata inferiore (ad eccezione del canino incluso 4.3 e dell’odontoma in regione sinfisaria) e consenso informato del paziente, è stata eseguita la cistectomia in un unico step chirurgico, dal chirurgo senior (MDD) e con tecnica standardizzata. Il paziente è stato sottoposto a terapia antibiotica e antimicrobica locale, con sciacqui di clorexidina digluconato allo 0.12% tre volte al giorno per due settimane, a partire dai due giorni precedenti l’intervento e con un’interruzione solo il primo giorno postoperatorio.
La chirurgia è stata condotta in anestesia locale mediante anestesia tronculare alla spina di Spix destra e sinistra e infiltrazione con mepivacaina al 2% e adrenalina 1/100.000. La tecnica chirurgica ha previsto l’elevazione di un lembo a spessore totale, previa incisione in cresta da 3.2 a 4.6, con una doppia incisione di rilascio sul versante vestibolare, isolamento del nervo mentoniero di destra e accesso conservativo alla neoformazione; l’ostectomia è stata eseguita con un manipolo a bassa velocità sotto continua irrigazione di soluzione fisiologica sterile. Dopo circa 1 cm di osteotomia, e dunque l’esecuzione di una breccia ossea assolutamente conservativa e un approccio minimamente invasivo, è stato possibile osservare la parete cistica. Particolare attenzione è stata posta alla preservazione di un’ampia quantità di osso residuo, tale da supportare i tessuti molli durante il periodo di guarigione (bone-bridging) al fine di ottenere una rigenerazione ossea postoperatoria ottimale del difetto; in questo modo è stato possibile evitare il collasso del lembo nella cavità residua, similmente a una membrana riassorbibile utilizzata come mantenitore di spazio. La cisti è stata enucleata in un unico pezzo chirurgico, previa rimozione dell’odontoma ed estrazione del 4.3 incluso, con minima invasività locale delle procedure adottate. Veniva poi eseguita una revisione accurata della cavità residua mediante curettage locale, al fine di ridurre il rischio di recidiva, e sutura per prima intenzione con punti staccati in seta. Nella cavità residua non è stato posto alcun materiale bioriempente, a supporto delle pareti cistiche residue.
Ovviamente è stato necessario effettuare l’esame istologico della lesione, con fissazione del pezzo bioptico in formalina al 4%.
Al paziente è stato raccomandato di non sciacquare, bere e mangiare per le due ore successive alla procedura chirurgica, poi seguire una dieta morbida e fredda per le successive 24 ore (protocollo chirurgico illustrato in figg. 4-11).


Valutazioni cliniche e radiografiche

Fig. 12 Ortopantomografia postoperatoria.
Fig. 12 Ortopantomografia postoperatoria.

Dopo 10 giorni, all’atto della rimozione delle suture, la ferita chirurgica veniva esaminata e controllata. Il paziente non riferiva complicanze postoperatorie rilevanti, quali ematomi, ecchimosi, gonfiore. I controlli clinici e radiografici venivano effettuati rispettivamente dopo 10 e 30 giorni dal trattamento chirurgico di enucleazione cistica (fig. 12). Per stabilire il grado di rigenerazione ossea veniva utilizzata la classificazione di Kaway e collaboratori (19), basata sulla variazione dei margini chirurgici della zona residua e l’immagine radiografica della sua porzione interna, su radiografia ortopanoramica. I controlli clinici e radiografici, sulla base dei criteri classificativi prescelti, evidenziavano, a 10 giorni, 30 giorni e a tre mesi (fig. 13) un progressivo recupero dell’area chirurgica trattata, fino a ritenere completa la guarigione ossea e tissutale. L’esame istologico della lesione ne confermava la natura follicolare; la cisti dentigera era annessa all’elemento dentario 4.3 incluso e successivamente avulso.

Fig. 13 Ortopantomografia dopo 3 mesi.
Fig. 13 Ortopantomografia dopo 3 mesi.

Riabilitazione implantoprotesica
Trascorsi circa 8 mesi dalla cistectomia, e dopo aver effettuato un nuovo Dentascan, con sezioni parasagittali a 1 mm, per la valutazione preimplantare (figg. 14 e 15) venivano inseriti one-surgical-step quattro impianti dentari nel mascellare inferiore completamente edentulo e guarito.

Fig. 14 TC Dentascan prima della chirurgia implantare.
Fig. 14 TC Dentascan prima della chirurgia implantare.
Fig. 15 TC Dentascan prima della chirurgia implantare.
Fig. 15 TC Dentascan prima della chirurgia implantare.

Gli impianti, caratterizzati da un diametro di 4,1 mm e da una lunghezza di 10 mm, venivano posizionati all’interno e alla periferia dell’osso neoformato, precisamente in sede 3.3 - 3.5 - 4.1 - 4.4, e poi sommersi.

Fig. 16 Ortopantomografia dopo chirurgia implantare.
Fig. 16 Ortopantomografia dopo chirurgia implantare.

Trascorsi 3 mesi, veniva valutata l’avvenuta osteointegrazione con una radiografia ortopanoramica (figg. 16, 17 e 18) e si procedeva, dunque, alla scopertura implantare e alla programmazione delle successive fasi protesiche; il progetto riabilitativo scelto consisteva nella realizzazione di un’overdenture con una barra in oro di collegamento tra le fixture e una protesi totale in resina, facilmente pulibile e mantenibile per il paziente, con estensione ai settori molari (da 3.6 a 4.6). Seguiva, dunque, una fase di provvisorizzazione sulle viti di guarigione, le impronte di posizione in materiale siliconico, infine le prove fonetiche e funzionali; successivamente, in accordo con il paziente, si approcciava chirurgicamente e protesicamente all’arcata mascellare superiore: previa estrazione dell’1.1, si effettuava una monconizzazione degli elementi residui d’arcata (con preparazione a 50°) provvisorizzazione (primo provvisorio da 1.5 a 2.5 e secondo provvisorio dopo terapia parodontale, per favorire la guarigione dei tessuti) e riabilitazione definitiva tramite un bloccaggio da 1.5 a 2.5 in oro-Columbus (protocollo protesico-riabilitativo illustrato in figg. 19-24).


Similmente ai precedenti controlli clinici e radiografici, che avevano evidenziato una completa restitutio ad integrum della zona interessata dalla neoformazione, pur senza il riempimento della cavità residua con riempitivi ossei, le successive valutazioni cliniche e radiografiche (follow-up fino a sette anni dall’implantologia) hanno evidenziato l’avvenuta osteointegrazione degli impianti endossei inseriti e la completa stabilità dell’overdenture realizzata su di essi, con buoni risultati estetici e funzionali e soddisfazione per il paziente (fig. 25).

Fig. 25 Ortopantomografia dopo 7 anni .
Fig. 25
Ortopantomografia dopo 7 anni .

 

Risultati

Diversi autori (20) hanno suddiviso i difetti ossei in base al numero di pareti residue, dimostrando che i difetti a due pareti potevano guarire spontaneamente, a differenza di quelli dotati di una sola parete. Similmente, gli autori Hern and Milijavec (21) avevano concluso che la rigenerazione ossea spontanea può avvenire in entrambi i tipi di difetti, più ampi o più stretti. Un altro studio (22) invece, aveva mostrato che i difetti ossei maggiori di 15 mm di diametro non avevano potenziale biologico per guarire spontaneamente. Altri autori (23) sostenevano che una completa guarigione ossea poteva aver luogo senza la necessità di bone grafts in tutte le cavità cistiche, indipendentemente dalle dimensioni. Questa tesi contrasta con i dati emersi da altri studi (24-27) secondo cui le cavità cistiche riempite con biomateriali offrivano un processo di guarigione accelerato e migliore, in termini di qualità e quantità di osso rigenerato. Gli autori (25-28) consideravano l’osso autologo il migliore graft per la ricostruzione di ampi difetti del distretto oromaxillofacciale, in quanto biologicamente compatibile e rispondente a tutti i requisiti ideali di bioriempitivo, eccetto che per l’aumentato tempo chirurgico, la limitata disponibilità, la morbidità significativa del paziente e il dolore a livello del sito donatore. Altri autori (28, 29) supportavano invece l’utilizzo di alloinnesti e xenoinnesti, sebbene questi ultimi abbiano dimostrato essere riassorbiti e sostituiti lentamente da nuovo osso, con un consistente allungamento del periodo di guarigione postoperatoria. Molte ricerche cliniche (30, 31) hanno introdotto, nel tempo, una grande varietà di materiali alloplastici, per il riempimento delle cavità cistiche dopo enucleazione. In ogni caso il loro utilizzo è diminuito in modo significativo, non avendo essi dimostrato un’importante attività osteogenica. Inoltre i materiali alloplastici non sembrano integrarsi immediatamente e completamente con l’osso circostante (32). Gli autori Horowitz (33) e Bodner (34) affermavano che vi era una percentuale di fallimento del 20% per un campione di 20 cavità cistiche trattate con grafts (autogeni e xenoinnesti). Gli autori Bodner (34) e Marx e collaboratori (35) utilizzavano le particelle di vetro bioattive come bioriempitivi per difetti cistici, con una percentuale del 12,5% di complicanze postoperatorie. Alcuni autori (36) riportavano che la guarigione dei difetti ossei dipendeva dalla preservazione del periostio che ha un’attività osteogenetica intrinseca. In contrasto con quanto sostenuto da alcuni autori (23) una rigenerazione ossea spontanea può essere compatibile con l’inserimento di impianti nell’area chirurgica trattata e guarita (37).

Discussione e conclusioni

Il presente caso clinico conferma la teoria secondo la quale è possibile ottenere una rigenerazione ossea spontanea, senza l’utilizzo di materiali bioriempienti, e completa, anche per ampie cavità cistiche residue, in accordo con criteri clinici e radiografici evidence-based; a guidare la rigenerazione è tutto il potenziale biologico offerto dal coagulo e dal bridging osseo, grazie alla funzione scaffold offerta delle pareti residue e alla guarigione dei lembi per prima intenzione. È possibile, dunque, affermare che le grandi cisti mascellari guariscono con un meccanismo di bone regeneration simile alla guarigione di difetti parodontali contenitivi a tre pareti. L’utilizzo di membrane, al di sopra del bone bridge residuo, potrebbe ulteriormente migliorare il grado di rigenerazione ossea, in termini qualitativi e quantitativi.
La tecnica chirurgica utilizzata è sicura e minimamente invasiva, con ridotti rischi di fratture, particolarmente in mandibola, e complicanze postoperatorie; viene pertanto garantito un naturale supporto di osso alveolare conservato (bone scaffold) al lembo mucoperiosteo, senza la necessità di membrane rinforzate e tecniche di rigenerazione ossea guidata (GBR) con la necessità di un rientro chirurgico.
La guarigione, guidata dal periostio conservato, è rapida, con una buona qualità di osso ottenuto, sulla base dei controlli eseguiti e dell’osteointegrazione ottenuta. Anche le fasi postoperatorie sono risultate confortevoli per il paziente, che ha dovuto assumere solo pochi e blandi farmaci analgesici per il controllo del dolore. La scelta di un progetto protesico su barra, per solidarizzare gli impianti, è anch’essa guidata dall’esigenza di garantire stabilità nel lungo termine al manufatto protesico implanto-supportato, per la riabilitazione completa e duratura dell’arcata mascellare inferiore completamente edentula, con costi biologici, nonché economici, contenuti.
La guarigione ottenuta può essere dimostrata con accuratezza solo tramite una TC Dentascan di controllo che, offrendo un’immagine digitalizzata, consente di confrontare la densità ossea pre e postoperatoria, contrariamente alle immagini analogiche offerte dalle ortopantomografie che non sono capaci di offrire valori comparabili. Riteniamo tuttavia necessaria questa ulteriore indagine diagnostica, al fine di non sottoporre il paziente a ulteriori esposizioni radianti, solo nel caso si voglia effettuare una riabilitazione implantoprotesica, per meglio valutare la qualità ossea a supporto delle fixture; contrariamente, le immagini offerte dalla radiografia ortopanoramica, la mancanza di segni clinici di insuccesso e l’assenza di sintomatologia riferita, sono già di per sé sufficienti a ritenere il paziente perfettamente “guarito”. ●

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To cite: Doctor Os • aprile 2016 • XXVII 04
Autore: Marco Di Dio*, Mauro Lai**, Daniela Porcelli***, Claudio Arcuri***
Istituzione: * Ospedale Fatebenefratelli, Roma ** Libero professionista *** Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Insegnamento di Clinica Odontostomatologica, Titolare: professor C. Arcuri