Platform switching e implantologia a connessione interna: un connubio discutibile

Platform switching and internal connection implantology: a moot wedding

Fig. 8 Due viti bifasiche di Muratori (Gimlet). Controllo a 15 anni.
Scopo del lavoro: Analizzare il principio del “platform switching” applicato agli impianti a due tempi e confrontarlo con il collo sottile (“thinneck”) degli impianti in monoblocco (“one piece”) sulla base dei risultati presenti in letteratura e dell’analisi di radiografie.
Materiali e metodi:

Sono stati analizzati le immagini e i contenuti della letteratura contemporanea inerenti il comportamento del tessuto osseo nei confronti di impianti a vite e a lama emergenti (one-piece) e sommersi (multi-piece).

Risultati:

La presenza di tessuto osso adeso alla superficie del titanio del moncone protesico è possibile solo in assenza di soluzioni di continuo (impianto “one piece”, ossia in monoblocco). Esistono documentazioni che comprovano la possibilità che, negli impianti composti da più pezzi, qualora non esistano gap colonizzabili da batteri tra impianto e componentistica protesica, simulando quindi un monoblocco di titanio, il tessuto osseo aderisca alla superficie del titanio coronalmente alla connessione. Non esistono tuttavia documentazioni comprovanti l’ipotesi che le manovre di rimozione e riapplicazione dello stelo conometrico, funzionali alla costruzione della protesi definitiva, consentano la permanenza del tessuto osseo a diretto contatto con lo stelo coronalmente alla connessione.

Conclusioni:

Le applicazioni utili si riducono a quelle che prevedono che il moncone protesico non venga mai rimosso dall’impianto dopo la chirurgia. Quindi, solamente con tecnica ad 1 tempo chirurgico e con connessione estremamente precisa.

L’impiego di impianti provvisti di collo emergente sottile è documentato in letteratura sin dagli anni ’60. Si tratta di impianti mono-blocco di titanio che permettono di ottenere un’adeguata resistenza meccanica alle forze occlusali anche con un collo emergente di calibro compreso tra 1,5 e 2,5 mm. (1)

Gli implantologi di allora adottavano soprattutto tecniche mini-invasive per ridurre al minimo il trauma del tessuto osseo usando metodiche chirurgiche conservative con impianti one piece di collo sottile in rapporto alle strutture ritentive endo-ossee. Le viti, le lame e gli aghi sono tutti ispirati a questi principi. (2)

Garbaccio, già nella presentazione della sua vite bicorticale (brevetto 1972), sosteneva l’importanza di utilizzare frese estremamente sottili (drills Maillefer calibro 1,2-1,5 mm.) per ridurre al minimo l’insulto chirurgico. (3)

Da alcuni anni si assiste al tentativo di applicare questo principio di massima conservazione alla tecnica a due tempi, portando all’interno del tessuto osseo il punto di connessione tra l’impianto e il complesso unitario corona-moncone, in modo da ridurre al minimo il calibro del moncone emergente. Questo principio è stato ridenominato con il termine “platform switching”. (4)

Materiali e metodi

Sono stati presi in considerazione le pubblicazioni che, a nostro parere, sono tra le più indicative sulla metodica del platform switching, includendo le morfologie implantari che si basano su questo principio. Si è eseguita una analisi radiografica per evidenziare la presenza di tessuto osseo attorno alla “piattaforma” di unione fra il moncone definitivo e l’impianto bifasico e il collo sottile dell’impianto in monoblocco.

Discussione

Il platform switching
La guarigione più vantaggiosa del tessuto attorno all’impianto si ottiene quando tutto il corpo dello stesso è incluso totalmente nell’osso dal quale fuoriesce un collo sottile che si continua nel moncone. Questo concetto era stato evidenziato già dagli anni sessanta del secolo scorso: all’epoca si parlava di “collo sottile” o “thin neck”. L’esempio classico è nell’osservazione della forma della vite di Tramonte (1959), della vite di Muratori (1966) e delle lame di Linkow (1968) (fig. 1-3).

Nella maggioranza degli impianti monofasici, il collo sostenente il moncone protesico ha un diametro inferiore rispetto alla fixture (platform switching), senza alcun micro-gap (fig. 1-4).

Fig. 4 Le frecce ad indicare il diametro delle spire di una vite monoblocco in rapporto al collo affiorante.

Nelle connessioni conometriche il micro-gap è oggi quasi inesistente, assimilando questi impianti a quelli in monoblocco (fig. 5-6).

Fig. 5-6 Impianti con connessione conometrica, le frecce ad indicare le differenze di diametro tra il corpo e il collo.

La lunga conoscenza del problema è evidente ricordando che, sulla scia dell’avvento degli impianti sommersi, alcune aziende si cimentarono nella realizzazione di impianti a lama sommersa. Era già chiaro che, per ragioni di resistenza meccanica e di sopravvivenza del tessuto, la connessione non poteva essere posizionata all’interno dell’osso, ma doveva rimanerne al di fuori.

In effetti, se osserviamo la radiografia di figura 7, possiamo apprezzare come il tessuto osseo si sia addensato attorno al sottile collo dell’impianto, rispondendo ai carichi funzionali con fisiologica neo-apposizione. In assenza di questo processo di spostamento della risposta al carico verso la superficie e del tipico addensamento osseo, si instaura il riassorbimento conoide che, peggiorando il rapporto radice clinica/corona clinica, può progredire fino alla mobilità e perdita dell’impianto. (5)

Fig. 7 L’apposizione del tessuto osseo attorno al collo di questa lama di Linkow, follow up a 11 anni.

Il fattore che ha portato alla ricerca della possibilità di portare la connessione all’interno del tessuto osseo, trae origine dall’odierna inclinazione a prediligere le connessioni interne. Nonostante le limitazioni a loro connaturate, le connessioni esterne hanno il pregio di consentire di ridurre al minimo lo spessore del collo. Infatti, le dimensioni della componentistica permettono di posizionarla in un collo sufficientemente sottile (circa 3 mm) da permettere una adeguata resistenza meccanica e da consentire il platform switching, portando la connessione fuori dall’osso (Fig. 8). (6)

Fig. 8 Due viti bifasiche di Muratori (Gimlet). Controllo a 15 anni.

La connessione esterna non è però esente da problemi di accoppiamento tra impianto e moncone, per cui gran parte della ricerca scientifica si è orientata verso soluzioni a connessione interna, che necessitano di maggiore ampiezza e sono quindi incompatibili con un collo sottile (fig. 9). (7)

Fig. 9 Le frecce ad indicare quanto sottili siano le componenti della connessione.

Il problema è, quindi, come realizzare il collo sottile su un impianto a connessione interna. La ricerca, ormai ultra-decennale, di una soluzione che abbini l’impianto a connessione interna al collo sottile ha comportato l’apicalizzazione della connessione all’interno del tessuto osseo. Infatti, per ragioni di resistenza meccanica, utilizzando titanio puro (CP) è meccanicamente impossibile coniugare collo sottile e connessione interna al livello della superficie della cresta ossea. Si è quindi lanciato il trend di portare la connessione all’interno del tessuto osseo e sviluppare connessioni intraossee sempre più precise, inseguendo l’apposizione ossea sulla superficie del collo sottile del moncone, che fa parte della corona protesica e non più dell’impianto. Per aumentare la resistenza meccanica, alcune case commerciali hanno ripreso, dopo molti anni di abbandono, ad utilizzare titanio di grado 5, che è molto più rigido, ma meno biocompatibile, in quanto contenente percentuali ragguardevoli di alluminio e vanadio. (8)

La competizione tra aziende ha portato a produrre una serie di studi evidence based (9, 10) finalizzati a descrivere la qualità di alcune connessioni, studi che hanno dato più volte prova della colonizzazione batterica del cosiddetto micro-gap, imputabile all’impianto del concorrente e non presente nel proprio. L’università di Francoforte dimostrò già nel 2007 che le connessioni si aprivano sotto carico, causando un effetto-pompa-aspirante che causava colonizzazione batterica del micro-gap, incompatibile con la sopravvivenza del tessuto osseo superficiale. (11)

Negli ultimi anni, conometrie e cone-morse stanno permettendo di realizzare strutture implantari in due parti che assomigliano a impianti monoblocco. Studi istologici hanno mostrato l’apposizione di tessuto osseo a contatto con la superficie del moncone di guarigione in titanio immediatamente posizionato in sede durante la chirurgia. (12-14)
Il problema che però si pone, è la gestione di queste strutture implanto-protesiche in due parti (fig. 10).

Fig. 10 Due impianti con il dettaglio del platform switching.

Infatti, nel momento stesso in cui il moncone di guarigione platform switched viene rimosso per procedere alla realizzazione della corona protesica, la colonizzazione batterica è inevitabile. Questo si può notare nelle iconografie di presentazione di questa metodica implanto-protesica. Infatti, dopo la rimozione del moncone di guarigione, se fosse vero che il tessuto osseo si mantiene a contatto con il sottile stelo del moncone, non si dovrebbe vedere epitelio. All’opposto, la sua presenza è di regolare riscontro (fig. 11). L’ipotesi di un’inclusione ossea priva di epitelio attorno allo stelo sottile unito alla corona protesica necessita di maggiori ricerche istologiche (fig. 12). (15)

È infatti universalmente noto che l’ampiezza biologica ha uno spessore di circa 3 mm. Nelle fotografie eseguite al momento del posizionamento in sede della protesi definitiva, il “collare mucoso” supera abbondantemente questa misura, raggiungendo una profondità di 6-8 mm, senza la naturale ondulazione presente in natura (picchi ossei inter-prossimali e differenze di profondità tra palato e vestibolo) (16). Sottolineiamo che l’altezza sopracrestale dei tessuti molli è regolata da rapporti fisiologici e che questi si adeguano ai picchi ossei sottostanti.

Non a caso, in implantologia sommersa post-estrattiva, è universalmente adottata la raccomandazione di inserire l’impianto 3-4 mm al di sotto del margine gengivale libero (FGM, Free Gingival Margin), facilitando la gestione di fisiologia ed estetica. (17)

Tarnow ed altri conclusero, sulla base di 288 rilevazioni, che, qualora la distanza tra il punto di contatto tra due denti e l’osso crestale sia superiore ai 5 mm, ci si deve aspettare una recessione della papilla inter-prossimale, con conseguente “triangolo nero” tra i due denti adiacenti. La probabilità di insorgenza aumenta con l’incremento di questa distanza (73% di probabilità in caso di distanza di 7 mm). (18)

In caso di successo dell’impianto, il tessuto osseo deve manifestare la risposta ai carichi funzionali con un addensamento che, a distanza di tempo avvolge il moncone. Le forze nella fase iniziale del carico si disperdono lungo la corticale ossea profonda. Successivamente, ad osseointegrazione completata, le stesse forze si concentrano maggiormente nella zona “pericoronale”, con un addensamento del tessuto osseo riscontrabile in radiografia ed anche confermato da una ricerca di Moglioni et al. su elementi finiti. (19, 20)

Conclusioni

Questi temi, già da noi affrontati 10 anni or sono (16), sottolineano una controversia ancora aperta nella comunità scientifica.
L’applicazione del principio del platform switching a tecniche implantari a più tempi non dà, a nostro avviso, un risultato convincente. La ricerca dovrebbe focalizzarsi ad incontrare un protocollo che permetta risultati riproducibili nella maggioranza delle situazioni cliniche.
Allo stato attuale, le applicazioni utili si riducono a quelle che prevedono che il moncone protesico non venga mai rimosso dall’impianto dopo la chirurgia. Quindi, solamente con tecnica ad 1 tempo chirurgico e a connessione estremamente precisa (es: conometrica) e/o con impianti monoblocco di scuola italiana. (21)

Bibliografia:
  1. Tramonte SM. Self-threading en-dosseous screw. Attualita dentale. 1989;5(7):44-9.
  2. Camera A, Pasqualini U. Impianti Endoossei. Istologia comparada della zona del colletto in un dente naturale, due monconi di Linkow e tre Viti di Tramonte. Associazione Italiana Impianti Alloplastici. 1972;4.
  3. Garbaccio D. The Garbaccio bicor-tical self-threading screw. Rivista di odontostomatologia e implanto-protesi. 1983(1):53-6.
  4. Chu SJ, Salama MA, Salama H, Garber DA, Saito H, Sarnachiaro GO, et al. The dual-zone therapeutic concept of managing immediate implant placement and provisional restoration in anterior extraction sockets. Compendium of continuing education in dentistry (Jamesburg, NJ : 1995). 2012;33(7):524-34.
  5. Lorenzon G. Implantologia funzion-ale. Bologna: Martina; 2010.
  6. Muratori G. Gimlet implant system and intra-oral welding. The Journal of oral implantology. 1989;15(3):194-7.
  7. Lazzara RJ, Porter SS. Platform switching: A new concept in implant dentistry for controlling postrestora-tive crestal bone levels. International Journal of Periodontics & Restora-tive Dentistry. 2006;26(1):9-17.
  8. Galli C, Piemontese M, Ravanetti F, Lumetti S, Passeri G, Gandolfini M, et al. Effect of surface treatment on cell responses to grades 4 and 5 titanium for orthodontic mini-implants. American Journal of Orthodontics and Dentofacial Ortho-pedics. 2012;141(6):705-14.
  9. Greenhalgh T, Howick J, Maskrey N; Evidence Based Medicine Renaissance Group: Evidence based medicine: a movement in crisis? BMJ. 2014 Jun 13;348:g3725
  10. Cassetta M, Driver A, Brandetti G, Calasso S. Peri-implant bone loss around platform-switched Morse taper connection implants: a prospective 60-month follow-up study. International Journal of Oral and Maxillofacial Surgery. 2016;45(12):1577-85.
  11. Zipprich H, Weigl P, Lauer H, Lange B. Micro movements at the implant abutment Interface: measurements, causes and Consequences. Implan-tologie 2007;15:31-45.
  12. Crespi R, Cappare P, Gherlone E. Radiographic Evaluation of Marginal Bone Levels Around Platform-Switched and Non-Plat-form-Switched Implants Used in an Immediate Loading Protocol. Inter-national Journal of Oral & Maxillofa-cial Implants. 2009;24(5):920-6.
  13. Degidi M, Piattelli A, Shibli J, Strocchi R, Iezzi G. Bone formation around a dental implant with a Plat-form switching and another with a tissuecare Connection. A histologic and Histomorphometric evaluation in man. Titanium. 2009;1(1):10-7.
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  17. Dal Carlo L. Study Over 7000 Endosseous Implants Inserted During 25 Years in 3300 Interven-tions. Clinical Results in Different Anatomical And Functional Situa-tions. Statistical Data and Over 20 Years Iconographic Documentation. Journal of Dental and Oral Health. 2016;2(6 048):1-10.
  18. Tarnow DP, Magner AW, Fletcher P. The effect of the distance from the contact point to the crest of bone on the presence or ab-sence of the interproximal dental papilla. Journal of Periodontology. 1992;63(12):995-6.
  19. Diotallevi P, Moglioni E, Pezzuti E, Pierazzini A, Pasqualini M, Floris P. Biomechanical and radiological correlations of the resorption of the alveolar bone.A comparative study on 47 subjects. Doctor OS. 2007:117-23.
  20. Moglioni E, Al e. Success rates in subjects rehabilitated with Immedi-ate loading technique on according to AISI guidelines. Annali di Stoma-tologia. 2008;LVII(1-2):19-23.
  21. Pasqualini U, Pasqualini ME. Trea-tise of Implant Dentistry: The Italian Tribute to Modern Implantology. Carimate (IT): Ariesdue; 2009.
To cite:

Luca Dal Carlo, Marco E. Pasqualini, Franco Rossi, Mike Schulman, Giorgio Comola – Platform switching e implantologia a connessione interna: un connubio discutibile – Doctor Os 2017;29(1):14-17.

Materials and methods:

Images and contents of contemporary literature in addition to radiographic examination related to the behavior of bone tissue to single-piece and multipiece screw and blade implants were analyzed.

Aim of the work:

Analyze the concept of “platform switching” applied to two phases implants and compare it with the thinneck implant of those one piece-implants comparing them with the results reported in the literature.

Results:

Permanent presence of bone tissue coated on the surface of the titanium prosthetic abutment is only possible in the absence of continuous solutions (“one piece” implant, monoblock). There are documents that prove the possibility that, in multi-phases systems, if there is no gap colonized by bacteria between implant and prosthetic components, (simulating a titanium monoblock) the bone tissue adheres to titanium surface coronally to the connection. There are no documentations proving the hypothesis that the removal and reapplication of the conometric stem, functional to the construction of the final prosthesis, allows the permanence of the bone tissue in direct contact with the stem coronally to the connection.

Conclusion:

The applications are reduced to those cases where the prosthetic abutment is never removed from the implant after the surgery. Thus, only with surgical one time technique with extremely precise connection.