Molto dibattuta è la questione relativa a quale sia oggi il modello professionale vincente e quale sarà il futuro e l’evoluzione dello studio dentistico, del “nostro studio dentistico”.
Per poter effettuare una analisi in modo oggettivo è fondamentale analizzare alcuni dati statistici che forniscono una fotografia dettagliata del settore (vedi tabella ⇒).
L’indagine presentata da ISTAT a luglio 2015 e condotta sull’intero 2013 mostra che si è rivolto al dentista il 37,9% della popolazione rispetto al 39,3 del 2005, con un calo percentuale del 1,4%: in altre parole, solo 1 italiano su 3 è andato dal dentista almeno una volta l’anno. Nel Mezzogiorno il dato è del 27,7%, oltre 10 punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale: solo 1 su 4.
È doppia nel Mezzogiorno (12,1%) la percentuale rispetto al Nord (6,2%) di coloro che non sono mai stati dal dentista, mentre è in aumento, dal 24 al 29,2%, la percentuale di quanti hanno dilazionato le visite in un arco temporale più lungo: da 1 a 3 anni.
Sul totale di quanti hanno rinunciato alle cure, i motivi economici incidono per l’85,2%.
Il 50% di chi ha una laurea si reca almeno una volta dal dentista, mentre il dato percentuale scende al 27,6% tra chi è in possesso della licenzia media.

61.000esercenti iscritti agli Albi
(fonte FNOMCeO);
85%circa degli esercenti è titolare di studio
13%circa degli esercenti è collaboratore
2%circa degli esercenti è dipendente, in strutture pubbliche o private
45.231studi/strutture operanti (contribuenti con codice per attività studi odontoiatrici per il periodo d’imposta 2013; fonte Agenzia
delle Entrate)
38.000studi odontoiatri “tradizionali” con titolare un dentista libero professionista;
5.000circa le società di persone
1.800(4% circa del totale) quelli organizzati in società di capitale (nella maggior parte dei casi il socio di maggioranza è un dentista iscritto all’albo)
500circa le cosiddette
“catene odontoiatriche”
(low cost e franchising)
gestite da non odontoiatri
90%degli italiani si fa curare da dentisti “tradizionali” (il singolo dentista
con studio proprio)
5%si fa curare nelle
“catene odontoiatriche”
5%si cura nel pubblico

 

3/4 degli studi è monoprofessionale

Dati e spunti molto interessanti, frutto della sinergia tra ANDI e l'Osservatorio consumi privati in sanità della Bocconi, sono stati forniti durante il workshop di Cernobbio di maggio 2016.
La maggior parte degli studi (75%) sono monoprofessionali, il 13% sono studi associati, l’88% di colleghi svolge l’attività come titolare di studio e nel 28% degli studi non ci sono collaboratori.
Si evidenzia una riduzione della domanda di prestazioni odontoiatriche e traslazione su prestazioni a minor valore aggiunto per lo studio di piccole dimensioni con contrazione degli utili rispetto agli studi di maggiori dimensioni.
Il 78% dei titolari ha più di 45 anni ed il 69% lavora da oltre 20 anni, l’81% ritiene che la professionalità nel suo studio sia superiore alla media e che i fattori principali di successo siano la relazione con il paziente e la reputazione.
Oltre un terzo degli studi ha avuto una riduzione dei ricavi imputando il fenomeno alla complessa ed onerosa gestione e all’eccessivo carico fiscale, la gran parte non sa quale quota del ricavo ha investito nello studio ed il 52,2% è talmente insoddisfatto dell'attuale condizione professionale che mette in dubbio la volontà di volerla intraprendere se potesse tornare indietro.
L’analisi dell’attuale quadro assistenziale odontoiatrico mostra una tendenza del paziente a rinunciare alle cure o a demandarle, in un panorama contaminato da forte concorrenza che spesso si avvale di mezzi non propriamente etici (pubblicità selvagge, vendita di prodotto con svilimento dell’atto terapeutico, eccetera).
L’entrata nel mondo odontoiatrico delle società di capitali, anche se numericamente non molto rilevante, ha trasformato la sanità in un business, gestito da investitori che spesso nulla hanno in comune con l’odontoiatria o la medicina.
Il paziente che sempre più si informa on line, con occhio molto attento al fattore costo e che ha difficoltà a percepire la qualità reale della prestazione rispetto a quella percepita, è disorientato con oggettive difficoltà nella scelta del curante.

Punti di forza e di debolezza

I punti di debolezza dell’attuale prevalente modello di studio monoprofessionale si possono riassumere in scarsa comprensione delle opportunità e delle avvisaglie che il “mercato” mostra, nella elevata percezione di sé e nella scarsa propensione all’associazionismo e all’investimento.
La titolarità dello studio, prevalentemente di piccole dimensioni, resta in capo a professionisti di età elevata che faticano a cogliere le possibilità date dalle nuove tecnologie digitali, dalla maggiore attenzione alla qualità da parte di alcuni segmenti di pazienti, dalla parziale ripresa economica e dalla forza contrattuale degli acquirenti collettivi di prestazioni (sanità intermediata).
I punti di forza del modello monoprofessionale sono invece le motivazioni e le competenze professionali del titolare, la buona qualità relazionale ed la situazione di “prossimità” al paziente. Questo modello ha attraversato un periodo di grandi cambiamenti, la crisi economica, i nuovi attori (le catene, la concorrenza di capitali anche internazionale), l'aumento dell'offerta di dentisti, l'emergere dei terzi paganti, il mutamento dei consumi e dei consumatori, ma contro le previsioni di molti ha resistito, restando fedele al proprio ruolo e a suo modo innovando.

studio-monoprofessionale

Accrescere la redditività dello studio

Ma ora la stabilizzazione e la "messa in sicurezza" della formula necessitano di un impegno aggiuntivo, bisogna disporre delle informazioni per creare una strategia non autoreferenziale, ma sulla base delle esigenze e delle attese dei colleghi, con un loro coinvolgimento diretto, mettendo in piedi azioni per sostenere la domanda e azioni per aiutare gli studi a fronteggiare la concorrenza, con l’obiettivo dichiarato di accrescere la redditività dello studio.
Le attività da mettere in atto si possono schematicamente rappresentare con promozione dello studio (comunicazione e marketing) e interventi di tipo gestionale che ne semplifichino la conduzione, anche attraverso aggiornamenti ed interventi mirati, che portino ad una valorizzazione del brand e dello studio afferente.
Fondamentale ampliare l’offerta al paziente creando strumenti dedicati e finalizzati alla sua fidelizzazione.
Va ricercata una coesione interna alla professione, tra professionisti simili e compatibili che mirino al miglioramento ed allo sviluppo con un coordinamento centrale sempre più strutturato al fine di generare “valore” per gli studi e per i pazienti, per evolvere verso un modello professionale più competitivo.
L’odontoiatra è chiamato a sviluppare un approccio strategico strutturato, ad agire ricercando un modello professionale innovativo che sappia rispondere alle nuove esigenze e situazioni.
Lo studio monoprofessionale quindi è una realtà straordinaria, che può e deve continuare ad affermarsi come modello privilegiato dell’odontoiatria italiana a patto che si riorganizzi secondo diversi ed innovativi paradigmi e la logica di rete prevalga.
È necessario fare gruppo, che vuol dire, in ultima analisi, individuare e definire molteplici e diversi percorsi comuni, ai quali ciascun odontoiatra potrà partecipare a seconda delle esigenze e delle modalità con le quali intende continuare ad esercitare la professione. ●