La popolazione italiana invecchia e le cure odontoiatriche sono sempre più sofisticate. Ciò determina un aumento del rischio?

Una recente elaborazione Eurostat (fonte: quotidiano “Libero”, 14 ottobre 2016), di cui grande eco di stampa, ci informa che l’Italia detiene il record Europeo per la popolazione ultra ottantenne (6,5% contro, a titolo d’esempio, il 5,8% della Francia, il 5,6% della Germania, il 4,8% delle Gran Bretagna); il numero complessivo secondo censimento 2015 degli ultraottantenni è pari a circa 4.000.000 di unità.
A fronte, anche l’aspettativa di vita ha subito una variazione: un ottantenne italiano nel 2000 poteva aspettarsi mediamente una ulteriore fase di vita pari a 8,9 anni, con valore maggiore per le donne ed inferiore per gli uomini di circa, rispettivamente, una unità; oggi tale speranza è salita in Italia a 10 anni, sempre con oscillazione circa della medesima entità in più ed in meno per donne e uomini.
Se ora analizziamo una altrettanto recente pubblicazione che fornisce una fotografia della professione odontoiatrica (fonte: Servizio Studi ANDI, Prof. Aldo Piperno, 12 ottobre 2016), apprendiamo che nel periodo compreso tra il 2005 ed il 2013 si è registrata una diminuzione pari al 45% delle prestazioni indicate come “ricostruttive dentali” e una riduzione del 33% delle cure parodontali; la ricerca segnala che nel biennio 2014/2015 vi è stata una ripresa ma che non si può affermare con certezza che essa riguardi proprio quelle cure che avevano subito un calo.
Dal nostro osservatorio medico legale riteniamo di poter affermare che vi è stata, nell’ultimo decennio, una svolta nel tipo di cure erogate, con sostanziale tenuta dell’ortodonzia, tenuta delle prestazioni base quando necessarie e prodromiche agli interventi successivi, indubbio incremento delle pratiche implantari siano esse sostitutive di elementi singoli o porzioni ridotte dell’arcata dentaria, oppure prestazioni complesse a seguito anche di bonifiche dentarie. Molto diffusa la pratica di interventi con metodica All on four o All on six.
Questo tipo di evoluzione, se incrociato con la notizia che la popolazione sta, per media, rapidamente invecchiando, ci deve far riflettere: si può infatti dedurre che fare odontoiatria oggi significhi prendersi maggiori rischi; si effettuano interventi più complessi ed onerosi dal punto di vista biologico, su soggetti in età più avanzata, quindi con maggior rischio di complicanze, in primis di carattere cardiocircolatorio.
Naturalmente si potrà obiettare che tale situazione è frutto dell’allungamento della vita, dato positivo, e di un aumento delle cure odontoiatriche; la notizia, appresa sui banchi di studio da chi scrive durante l’università, circa nel 1980, che un terzo della popolazione statunitense fosse edentulo, oggi risulterebbe incredibile.
Ma, e tuttavia, il progresso, l’aumento delle cure odontoiatriche, l’allungamento della vita media, l’esposizione, a fronte di cure più “delicate” ad un maggior rischio, impongono una riflessione ed una analisi anche in termini formativi. I dati sugli “incidenti gravi” nello studio odontoiatrico con rischio morte risultano, nell’ultimo decennio, statisticamente ben aumentati.
Riteniamo quindi che, sia nella fase didattica pre-professionale ed universitaria, sia nel corso della professione, uno spazio dell’apprendimento debba essere dedicato proprio a questo aspetto essenziale. Il percorso formativo non deve essere dedicato solo alla conoscenza delle patologie a rischio e prevenzione o gestione delle relative complicanze ma anche alla gestione di percorsi/criteri di studio di gestione dell’emergenza così da consentire all’odontoiatra di lavorare in maggiore tranquillità ma pronto, in caso di emergenza, ad attivare detti percorsi per la salvaguardia del paziente a rischio clinico globale. ●

A cura di: Marco Lorenzo Scarpelli