Gianfranco Prada

1890


Carissimo Gianfranco, parlami della tua famiglia e della tua infanzia.

La mia è una famiglia molto semplice, mio padre era geometra e ha lavorato sempre per un’impresa di Como, costruendo molti palazzi, tra cui quello in cui ho il mio studio, mia madre era casalinga. Ho un fratello minore e dei nipoti. Non sono sposato e ciò mi ha consentito di dedicarmi totalmente all’attività professionale e sindacale. L’avere una famiglia richiede tempo da dedicarle, la sua mancanza mi ha permesso di fare tantissime cose che altrimenti non avrei potuto fare. Sicuramente ho sacrificato alcuni interessi personali per la professione.

Come hai deciso di iscriverti a Odontoiatria?

È stata quasi una scommessa. Alla fine del liceo uscì il primo concorso in Italia previsto dalle norme europee. Con alcuni amici provai a superarlo per accedere a questo nuovo Corso di Laurea perché c’era già il numero chiuso. Io ambivo a fare Medicina, oculistica od odontoiatria, tentai il concorso e arrivai ottavo su cinquecento partecipanti: da qui iniziò la passione e la dedidizione per la professione.

Cosa ti ha spinto dopo la laurea ad occuparti subito della professione, diventando segretario AIO della sezione di Como?

Ho sempre seguito le tematiche legislative e sindacali, anche durante gli anni d’università con l’AISO, l’associazione degli studenti. È una passione che ho fin da giovane. Conoscendo bene le norme cercarono di coinvolgermi e si partì con l’AIO.

Perché poi ti sei dedicato, sempre con passione, all’Ordine dei Medici di Como con varie mansioni?

All’Ordine venni introdotto dal mio amico e mentore Ivano Casartelli; fu lui che volle il mio inserimento nella CAO di Como e devo ancora a lui il mio ingresso in ANDI, sostenuto dalla stima di molti colleghi.

Nel 1995 hai iniziato ad occuparti attivamente dell’ANDI…

In quel periodo venni segnalato dai dirigenti lombardi per partecipare a un corso, della durata di un anno, riguardante la formazione sindacale. Con la Scuola Quadri ANDI cominciò il mio impegno a livello nazionale con diversi incarichi.

Parlaci dunque della tua carriera, dei vari ruoli ricoperti fino alla soglia della tua elezione a presidente.

Terminata la Scuola Quadri, fui inserito in alcune commissioni, la prima delle quali riguardava la nuova tematica dei rifiuti sanitari. Venni conosciuto e apprezzato e il mio impegno si estese fino a quando diventai vice di Roberto Callioni, segretario nazionale ANDI. Lo seguii anche nella sua carriera di presidente, quando decise di nominarmi segretario nazionale. Da quel momento rimasi sempre al fianco del dottor Callioni con impegno costante.

Nel maggio 2010, con votazione plebiscitaria, sei stato nominato Presidente Nazionale ANDI, carica che ricopri tutt’ora. Parlami di questo ruolo, importantissimo ma anche faticoso ed oneroso.

La scelta di diventare presidente fu determinata prima di tutto dalla condivisione da parte di un gruppo che si era creato in quel momento. Fare il presidente ANDI senza avere alle spalle un supporto costante e prezioso di collaboratori e colleghi sarebbe impossibile. C’è stata una minima competizione, ma sostanzialmente venne riconosciuto da tutti che il presidente giusto per quella fase ero io. E questo mi fece particolarmente piacere. Tutta l’associazione si compattò e divenne più stabile, grazie anche alle doti di pazienza e condivisione che ho profuso in essa. Ciò fu un valore particolarmente importante.

Quali sono stati i migliori progetti e risultati ottenuti?

Prima di tutto il clima di condivisione creatosi, che è stato un risultato importantissimo, altrimenti avrebbe impedito di ottenere tutti gli altri risultati. C’è stata anche la ricompattazione di tutto il mondo odontoiatrico: fondamentali sono infatti i rapporti con le università, con l’Ordine e la CAO nazionali. Questo nuovo clima ha permesso di essere valorizzati dalle istituzioni. Vari sono stati i progetti portati a termine a livello ministeriale, per esempio l’Accordo sull’Odontoiatria Sociale e le tante iniziative concluse grazie al Gruppo Tecnico sull’Odontoiatria nominato dal Ministero che consente tutt’ora di essere riconosciuti e di condividere le scelte con la politica.

Quali i futuri obiettivi e progetti? Quali i problemi che ti assillano per il futuro della professione?

Il discorso sarebbe lungo da fare, però sostanzialmente sto notando come sia sempre più difficile fare odontoiatria in Italia perché il rispetto delle norme, le regole, la burocrazia stanno diventando opprimenti. Il libero professionista “puro” nel suo studio ha sempre più bisogno di un supporto che un’associazione strutturata come ANDI può dare. Credo che purtroppo si arriverà ad avere strutture un po’ più complesse nella gestione della professione e nell’erogazione dei servizi. Dico purtroppo perché si rischia di incrinare il rapporto tra medico e paziente che deve rimanere fondamentale, al centro del rapporto di cura. Stiamo lavorando sul fatto di mantenerlo tale, intercettando per esempio le risorse dei fondi integrativi per l’odontoiatria, che fino a questo momento è rimasta esclusa.

Oggi ci sono più di 61.000 dentisti e ogni anno si aggiungono circa 800 laureati presso ben 35 facoltà più circa 800 di estrazione spagnola, rumena, albanese. Cosa succederà?

La pletora nell’odontoiatria italiana è un grosso problema. Il numero di neolaureati e operatori aumenta troppo ogni anno. Bisogna dire però che il sistema è un mercato aperto, per cui quando l’Italia sarà satura si potrà andare a lavorare in altri paesi europei ed anche extraeuropei. Bisognerebbe riuscire a regolare a livello europeo gli accessi ai corsi di laurea.

Però solo una minima parte degli odontoiatri, circa 10.000, si affianca e partecipa a congressi e corsi di perfezionamento. Perché?

È una mancanza non solo dell’odontoiatria, ma di tutte le specialità mediche, pur essendoci l’obbligo di ECM. Anzi noi odontoiatri siamo tra quelli che si aggiornano di più. ANDI spinge in tutti i modi in questa direzione con i suoi corsi residenziali e FAD: è anche una questione di etica.

Di fianco a ciò c’è un altro problema: manca il ricambio dei relatori ed anche quello generazionale dei dirigenti importanti: quasi tutti hanno i capelli bianchi, come mai?

È un’altra realtà da tenere presente. Dal punto di vista dei relatori scientifici, non ne capisco bene il motivo: oggi forse c’è meno ambizione e meno desiderio di trasmettere il sapere. Dal punto di vista associativo e sindacale, rilevo la mancanza di nuove leve che si impegnano. Su questo fronte stiamo riorganizzando la Scuola Quadri che quasi 30 anni fa frequentai: si tratta di un master universitario di formazione sindacale, con l’obiettivo di trovare giovani che si impegnino nell’attività associativa con la giusta formazione e competenza. Partirà a maggio.

Vi è anche, adesso, una crisi dell’industrai dentaria italiana che è sempre stata vostra partner: qual è il futuro?

L’industria italiana in realtà, dal punto di vista del fatturato, non ha mai sofferto tanto la crisi perché si è rivolta soprattutto al mercato estero. Sicuramente l’industria ha bisogno di nuovi spunti, di riprendere quello spirito pionieristico che tanti hanno avuto in passato e che ora si è un po’ perso.

Il grande amico professor Castagnola diceva: “La cultura non si compra ma si trasmette”: quali programmi futuri per ANDI nel segno della gratuità?

Organizziamo tantissimi eventi culturali come associazione, lo facciamo grazie alle nostre 100 sezioni provinciali che ogni anno propongono incontri e serate sul territorio con i migliori relatori italiani. Lo facciamo attraverso un programma di formazione continua via FAD gratuito per i soci. Il socio ANDI ha tutte le possibilità di seguire un ampio programma. L’impegno è di riuscire a coprire quella fascia che, come dicevamo, non vuole aggiornarsi.

Parlami della Fondazione ANDI. A Trento nell’ottobre scorso si è festeggiato il decennale: quali progetti porta avanti nel campo della solidarietà?

Dieci anni fa fu una cosa quasi pionieristica, in un momento in cui ancora non c’era la crisi e c’era la possibilità di investire in questi aspetti. Ci buttammo a capofitto come gruppo dirigente per creare la fondazione, che pian piano è cresciuta. È nata con due obiettivi: quello di svolgere un’attività sociale, portare cure in paesi in difficoltà, per esempio all’Aquila durante il terremoto, in Guatemala, in Tibet, con iniziative di volontariato portate avanti da tanti soci. Il secondo è quello di migliorare l’immagine dell’odontoiatra, ancor oggi visto come professionista ricco che non si occupa di aspetti sociali.

Qual è stata l’esperienza ANDI ad Expo 2015, in particolare con l’iniziativa “Stili di vita, alimentazione e salute orale”?

Abbiamo deciso di partecipare a questa iniziativa perché volevamo valorizzare anche il nostro ruolo medico: l’odontoiatra che non si limita alla cura specifica della bocca e dei denti, ma che ha anche a cuore l’aspetto più generale della cura del paziente, tra cui quello dell’alimentazione e degli stili di vita. Abbiamo fatto convegni e diffuso materiale agli associati che li hanno messi a disposizione dei pazienti, sensibilizzando su questo tema.

Hai scritto un importante editoriale dal titolo “Basta penalizzare la professione”. Me ne vuoi parlare?

Il titolo era questo perché, come accennavo, è sempre più difficile svolgere l’odontoiatria in Italia per le norme burocratiche e amministrative. Non si può accettare questa penalizzazione della professione.

Sei stato eletto nel maggio 2015 componente del consiglio di amministrazione di Empam: qual è stata la tua prima esperienza?

È stato un nuovo impegno che l’associazione ha voluto assumersi dierettamente perché crede fondamentale la gestione anche di questa importante fase della vita, quando finisce l’attività lavorativa e bisogna riuscire ad andare avanti con risorse dignitose. Purtroppo da parte degli odontoiatri italiani non c’è tanto questa idea di costruirsi una pensione che lo consenta. ANDI vuole favorite tutti gli strumenti che possono aiutare i soci per avere una pensione adeguata e renderli consapevoli del problema.

Dal luglio 2015 sei anche nel Gruppo Tecnico sull’Odontoiatria presso il Ministero della Salute. Quali proposte porterai avanti?

Tra le proposte c’è quella di realizzare a breve una conferenza presso il Ministero dove tutte le componenti della filiera porteranno le iniziative per cambiare e migliorare la professione in presenza del Ministro, facendo emergere ciò che è già stato formulato in passato che non è stato considerato dalla politica.

La sezione di Como-Lecco ha raggiunto i 20 anni di esperienza con la Scuola per Assistenti dentali, ottenendo anche la certificazione UNI ENI ISO 9001 2008 e l’accreditamento della Regione Lombardia. Come è nata e come si è sviluppata? Ci sono altri esempi in campo nazionale?

La Scuola di Como-Lecco è stata la prima a partire in tempi in cui ancora c’era l’AIO e non c’era obbligo formativo per le assistenti. Ora ci sono anche altre sezione ANDI che svolgono da anni questa attività, per esempio Genova e Roma. L’obiettivo della Scuola è dare unaformazione certificata che ora, con l’approvazione del nuovo profilo dell’assistente, è obbligatoria per legge.

L’ANDI alla fine del 2015 ha ottenuto un importante riconoscimento con la nomina del dottor Marco Landi alla presidenza del Council of European Dentists. Qual è il ruolo di questo importante organismo?

È stata una grande soddisfazione per ANDI e per tutta l’odontoiatria italiana. Il CED si occupa sostanzialmente di mantenere i rapporti con gli organismi comunitari di Bruxelles che determinano le normative europee: è importante esserci.

Hai fatto preparare il libro “Regalati un sorriso… anche a tavola”. Di cosa tratta?

È un libro che nasce dalla collaborazione con Expo. L’idea è quella di riprendere i concetti di corretta alimentazione e stili di vita. È un libro divertente dove abbiamo intervistato i migliori cuochi italiani facendoci dare delle ricette facilmente realizzabili e adatte a chi ha subito cure odontoiatriche.

Hai lanciato il programma ANDI Young con gli studenti: di cosa si tratta? E quale messaggio vuoi lasciare ai giovani laureati?

È una grande iniziativa e un grande impegno dell’associazione che cerca di offrire servizi su misura per quella fascia di giovani fino ai 30 anni che iniziano l’attività e che cerca di mantenere e difendere l’identità dell’odontoiatria italiana che ha sempre raggiunto importanti risultati. L’obiettivo è consentire il passaggio generazionale in modo corretto e graduale. Vogliamo dare ai govani un messaggio di ottimismo facendo passare sempre come fondamentale il rapporto medico-paziente.

Ringrazio molto il presidente ANDI e chiudo con un frase di Albert Einstein: “Lo studio, la ricerca della verità e la bellezza rappresentano una sfera di attività in cui ci è permesso di rimanere bambini per tutta la vita”.