Professor Di Lenarda, quali sono i punti di forza della formazione accademica nel nostro Paese?

La qualità dei nostri laureati in tutti i settori, ma in particolare in ambito medico e sanitario, è confermata dalla frequenza con la quale essi vengono ricercati ed assunti da sistemi sanitari di altri paesi e da quanto sono apprezzati in tutto il mondo.

In ambito odontoiatrico, accanto ad una, da sempre, ottima preparazione teorica, negli ultimi anni si sono fatti molti passi avanti per la preparazione pratica, seppur a macchia di leopardo, con velocità differenziate anche in relazione alla disponibilità di strutture e personale. Dobbiamo fare un ulteriore sforzo ma credo che siamo sulla buona strada.

Ritengo poi molto importante l’avvio, in sinergia con la CAO e il mondo professionale, il prossimo anno accademico, del progetto “Avviamento alla professione” che permetterà a molti Atenei di colmare il gap formativo sui temi deontologici, economico-fiscali-gestionali dell’attività clinica.

A proposito di differenze con gli atenei europei cosa possiamo dire?

In primis va evidenziata la differenza clamorosa di risorse disponibili. Senza nulla togliere alle Università private che hanno legittimamente superiori disponibilità economiche, ritengo che l’Università debba essere primariamente pubblica ed universale e svolgere la funzione di ascensore sociale che, nei fatti, la Costituzione le affida.

Ma per farlo deve avere le risorse, gli strumenti e le leve organizzative che glielo permettano. Sul resto non credo abbiamo moltissimo da invidiare (a parte le ridotte dimensioni delle nostre strutture, figlie, però, della numerosità delle scuole che a sua volta, se gestita in modo virtuoso può essere una ricchezza, se non diventa dispersione).

Qual è il suo punto di vista in merito al numero chiuso previsto per l’accesso alle facoltà di medicina e di odontoiatria? Pensa che sia realmente selettivo e meritocratico o come sostengono alcuni ingiusto e penalizzante?

Il concetto di numero chiuso è sbagliato perché presuppone l’idea di blocco corporativo dell’accesso ad una professione. Ed infatti in Italia non esiste il numero chiuso ma il numero programmato, legato cioè alle capacità formative dei singoli Atenei. E questo non solo è sacrosanto, è doveroso. Sul principio non si discute.

Se poi andiamo a vedere se esiste sempre correlazione virtuosa tra posti a concorso e reale potenziale formativo dei singoli corsi di laurea, non possiamo negare che ci siano delle anomalie anche evidenti.

Ecco perché, credo, sarà molto utile riuscire ad implementare una certificazione di laurea che contenga la numerosità delle prestazioni eseguite dal singolo neolaureato come primo operatore durante il suo corso di studi.

Se poi parliamo delle modalità di selezione, ritengo non esista la modalità perfetta; ho sempre sostenuto che quella attuale, a parte la clamorosa inefficienza del sistema degli scorrimenti che ci fa completare le iscrizioni un anno dopo l’esame di ammissione, è certamente specifica (chi entra se lo merita) anche se poco sensibile (alcuni meritevoli restano fuori). Ma almeno, tranne rarissime eccezioni, trasparente. Di sicuro bisogna lavorare molto meglio e più precocemente sull’orientamento.

I neolaureati trovano un’adeguata collocazione nel mondo del lavoro?

Lo scenario della professione è cambiato molto e probabilmente cambierà ulteriormente nei prossimi anni.

Di sicuro non c’è spazio, se non in condizioni di sfruttamento professionale, per professionisti che non siano preparati e soprattutto disponibili a cogliere le opportunità ed i trend del mercato e del progresso scientifico. Per chi lo farà invece lo spazio ci sarà e la professione potrà essere foriera di grandi soddisfazioni.

Nei prossimi anni si prevede una sensibile carenza di medici nel nostro Paese. Quali soluzioni devono essere adottate per evitare il problema?

È tutta da dimostrare la carenza di laureati in medicina in Italia. Quello che mancano sono gli specialisti, anzi alcune tipologie di specialisti. Negli ultimi 10 anni l’offerta formativa dei corsi di laurea in medicina e chirurgia è notevolmente aumentata.

Abbiamo un imbuto formativo di circa 25.000 medici che non riescono a iscriversi ad una scuola di specializzazione e stiamo nei fatti laureando medici per i paesi europei… La soluzione non è aumentare indiscriminatamente (ed in alcuni casi in modo francamente inaccettabile) i numeri di iscrivibili, ma fare una seria programmazione con prospettiva a 10-15 anni.

Oggi la vera emergenza è quindi investire sui contratti per le scuole di specializzazione e sulle condizioni di lavoro e di sicurezza dei posti di lavoro che non disincentivino alcune scelte professionali.

Secondo il suo parere attraverso quali iniziative è possibile incentivare la collaborazione tra università e industria?

Il fondamentale rapporto tra Università ed industria deve svilupparsi in modo bidirezionale attraverso il supporto dell’Università alla ricerca ed alla sperimentazione del mondo industriale ed a quello delle industrie alla formazione dei nostri giovani alle più innovative tecnologie.

Aggiungo che l’alleanza industria-università può efficacemente aprirci importanti spazi nella competizione europea ai fondi di ricerca che abbiamo il dovere di percorrere.