Marco Landi

presidente del CED

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Il dottor Maurizio Quaranta intervista  per Doctor Os il dottor Marco Landi

Marco Landi, presidente del CED, libero professionista tra i primi laureati in Odontoiatria che, pur avendo una propria attività in studio,  non ha mai perso di vista l’ambito  sociale dedicandosi con dedizione ai problemi associativi.

Chi è il CED e chi rappresenta?

CED è l’acronimo di Council of European Dentists, denominazione che ha aggiornato nel 2006 quella del precedente Dental Liaison Committee (DLC), una delle istituzioni professionali con la maggiore anzianità a livello europeo. Siamo infatti tra i pochissimi presenti a Bruxelles dai primi anni Sessanta e costituiamo la voce dei dentisti europei nei confronti delle ististuzioni facenti parte del governo dell’Europa, in particolare la Commissione Europea. Rappresentiamo circa 340.000 dentisti, attraverso le rappresentanze dei loro ordini e delle loro associazioni nazionali, e 30 Paesi, 27 dell’Unione Europea (compresa anche l’Inghilterra ed esclusa la Romania per problemi interni) e 3 Paesi osservatori, cioè la Norvegia, l’Islanda e la Svizzera.

Che potere ha il CED nei confronti dell’operato degli associati?

Premetto che da diversi anni tutte le decisioni, i documenti, le risoluzioni, le definizioni delle posizioni politiche del CED sono state prese all’unanimità. Ciò vuol dire che, a seconda del livello dei documenti, c’è un impegno, prima di tutto morale, da parte di chi rappresenta in un’associazione i propri iscritti nazionali, nel fare in modo che queste decisioni si traducano in qualcosa di concreto. Le risoluzioni del CED impegnano più le singole associazioni nazionali o gli ordini nel dare la giusta attenzione a queste linee politiche. Gli statement, i position paper hanno valori diversi, più legati al momento politico, a decisioni e sviluppi legislativi. È l’impegno a livello nazionale a cercare di dare attuazione a tutto questo.

Il Codice Etico che il CED ha prodotto è sovrapponibile alla realtà italiana?

Il Codice Etico del CED esiste dal 1965. Altri codici sono apparsi, ma noi abbiamo sempre tradotto in un articolato quelli che erano i principi comuni dell’odontoiatria europea, pur con una serie di necessarie revisioni, l’ultima delle quali è tutt’ora in corso e dovrebbe essere approvata tra novembre e maggio 2017. L’aggiornamento è utile perché, anche se non c’è una cogenza, né un potere disciplinare, com’è giusto che sia, si tratta di principi trasversali a tutti i paesi e come tali applicabili a tutte le realtà con le dovute differenze. L’aggiornamento è legato al fatto che alcune parti (per esempio riguardo al commercio elettronico qualche anno fa o, in questo momento, riguardo alla riservatezza) sono legate all’evoluzione delle normative europee. È l’unico codice europeo che è stato preso come riferimento in un giudizio in un tribunale nazionale in Francia, quindi dal punto di vista giurisprudenziale è ormai il riferimento unico.

Negli ultimi anni, si dibatte con sempre maggiore attenzione sul rapporto che il paziente ha nei confronti dello studio monoprofessionale, delle cliniche odontoiatriche e delle catene odontoiatriche. Nelle situazioni sopra indicate, come si orienta il paziente europeo?

È innegabile che l’odontoiatria europea e mondiale stia subendo delle trasformazioni che hanno avuto un’accelerazione soprattutto in questo ultimo decennio. Questo sta portando a una riflessione che noi abbiamo iniziato sotto forma di elaborazione di un documento di valutazione del rischio, un modo molto critico per valutare e definire le situazioni, negli aspetti positivi e negativi e per poter fare anche autocritica. Stiamo valutando questi cambiamenti dal punto di vista del dentista e delle legislazioni. Però il principio assoluto e fondante del nostro agire è il beneficio del paziente, è la salute orale, è la possibilità di accesso alle cure di alta qualità per tutti i pazienti europei: questo è il nostro obiettivo, non quello di salvaguardare la casta dei dentisti. Certo che salvaguardare la qualità delle cure vuol dire tutelare anche la figura professionale del dentista.
I pazienti si approcciano in modo differente alle diverse realtà professionali, ma non bisogna perdere di vista la qualità di ciò che viene offerto. Se problemi ci sono, è per la disarmonia tra quello di cui ha bisogno il paziente e quello che viene offerto nei diversi ambiti.

Le prestazione odontoiatriche in Europa sono erogate dagli stessi soggetti che operano in Italia?

C’è una variabilità di figure. Le direttive che riguardano la professione del dentista non identificano altre figure professionali. Ogni singolo Stato è libero di crearle. Quello che fa l’Europa è armonizzare l’eventuale circolazione di figure differenti. Questa diversa forma di esercizio professionale è presente in alcuni paesi. Nel Nord Europa, in particolare in Inghilterra e nei paesi scandinavi, alcune figure paraodontoiatriche sono abilitate ad esercitare parte della professione odontoiatrica. Questo non vuol dire assolutamente che noi dobbiamo fare altrettanto o che queste figure possono esercitare allo stesso modo nel nostro paese.

Quale futuro il CED vede per il paziente odontoiatrico e per l’odontoiatria?

Proprio perché il nostro lavoro è quello di avere una visione a lungo termine, stiamo rinnovando un documento risalente al 2007 e riguardante il profilo del dentista del futuro. Lì ci sono alcune considerazioni che sono ormai patrimonio di molti opinion leader: per esempio il fatto di affrontare patologie sistemiche, che vuol dire che il dentista deve avere una formazione per poter agire in modo intra e inter professionale. Intra per guidare un dental team efficiente per rispondere alle richieste sempre più complesse del paziente; inter per interagire con altre branche mediche per essere in grado di dare al paziente con patologie importanti risposte integrali.

Per il CED quali sono le prospettive per il giovane che vuole fare il dentista?

Il punto nodale è sempre l’indipendenza professionale e non solo per il fatto di lavorare nel proprio studio monoprofessionale. L’indipendenza professionale deve essere garantita in tutte le strutture. Per il giovane odontoiatra che intraprende la professione come stipendiato, neanche come collaboratore, è fondamentale mantenere l’indipendenza diagnostica e terapeutica. Questa è la sfida dei prossimi anni.

Quale coinvolgimento ha il CED nella definizione delle normative europee?

In Europa l’interazione avviene più con la Commissione, che ha il potere di iniziativa legislativa, che con il Parlamento, che non sempre è determinante. L’attività è molto complessa e richiede grande competenza tecnica da parte di chi lavora nei nostri uffici, che deve monitorare l’attività. L’azione su Commissione, Parlamento e Consiglio deve essere fatta nei vari livelli. Un mezzo per lavorare meglio è legarsi alle altre professioni: affiancare per esempio il CED al CPME dei medici, al PGEU dei farmacisti o, a volte, al FVE dei veterinari o alle osteriche e agli infermieri, a seconda delle occasioni. Abbiamo fatto di questa cooperazione una forza veramente importante per portare attenzione su alcuni argomenti, dalla resistenza agli antibiotici alla corretta alimentazione, al clinical training. ●