A colloquio con il professor Pier Francesco Nocini

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Pier Francesco Nocini
Pier Francesco Nocini Professore Ordinario di Chirurgia Maxillo Facciale, Università di Verona Direttore Responsabile U.O.C. di Chirurgia Maxillo Facciale e Odontoiatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona Rettore Università di Verona sessennio 2019-2025

Professor Nocini, quali sono i punti di forza della formazione accademica nel nostro paese?
I principali punti di forza della nostra formazione accademica sono a mio avviso due: la qualità della didattica sia teorica che pratica e l’accessibilità e diffusione delle strutture che restano prevalentemente pubbliche. In termini di qualità della didattica uno dei migliori esempi in tal senso lo abbiamo nei riscontri lavorativi dei nostri laureati all’estero seppur questo rappresenti anche un aspetto negativo in termini di perdita di risorse umane che sono state formate dal nostro sistema educativo. Anche i comuni indicatori utilizzati per la valutazione della docenza e della ricerca scientifica, insieme al prezioso lavoro svolto dal personale dei nostri atenei, restituiscono all’analisi una realtà competitiva, che produce formazione e ricerca di qualità. Questi sono segnali positivi di una comunità universitaria che coglie la sfida di divenire centro di promozione dello sviluppo strutturato di relazioni ad alta qualificazione scientifica e didattica internazionali. Dobbiamo prendere consapevolezza delle nostre specificità scientifiche e degli strumenti atti a valorizzarle ulteriormente.

A proposito di differenze con gli atenei europei cosa possiamo dire?

La principale e più lampante differenza è sicuramente la quantità di fondi a disposizione per il sistema Università. La situazione in Italia è sempre più critica in tal senso e la qualità dell’insegnamento e della ricerca è garantita prevalentemente dalla buona volontà ed abnegazione di docenti e ricercatori che quotidianamente danno il massimo, ed anche di più, del loro impegno per garantire un futuro al nostro Paese.

D’altro canto la nostra università deve saper cogliere la sfida di divenire centro di promozione dello sviluppo strutturato di relazioni ad alta qualificazione scientifica e didattica nazionali e internazionali. L’ateneo non deve limitarsi a facilitare tali attività, piuttosto promuoversi come parte attiva nelle sedi di incontro nazionali ed internazionali. Creare le condizioni per attrarre visiting professor su specifici progetti di ricerca e di didattica è un aspetto vitale per garantire visibilità e reputazione internazionale.

Ritengo si debba investire in azioni incentivanti nel reclutamento di colleghi di altri atenei, anche stranieri, titolari di grant internazionali, in analogia a quanto già attuato da altre realtà.

Qual è il suo punto di vista in merito al numero chiuso previsto per l’accesso alle facoltà di medicina e odontoiatria? Pensa che sia realmente selettivo e meritocratico o come sostengono alcuni ingiusto e penalizzante?

Il concetto di numero chiuso, o meglio accesso programmato, è a mio modo di vedere corretto: permette di formare un numero di professionisti adeguato per quelle che sono le necessità del Paese, garantendo loro realistiche opportunità di occupazione al termine di percorsi di studio lunghi ed impegnativi. Al contempo è innegabile sia suscettibile di miglioramenti soprattutto sulle modalità di selezione dei candidati: è ovvio che un test a risposta multipla svolto in 90 minuti sia limitativo per valutare realmente le qualità del candidato. A mio avviso si dovrebbe prevedere dei percorsi di orientamento più efficaci e diversificati: discipline chirurgiche, biologiche e mediche prevedono attitudine diverse che vanno identificate e valorizzate.

Anche per le scuole di specialità ravvedo la necessità di una selezione che valorizzi le specifiche attitudini di ciascuno (mediche, chirurgiche o sanitarie).

I neolaureati trovano un’adeguata collocazione nel mondo del lavoro?

A guardare i dati statistici la risposta sembrerebbe affermativa: oggi l’80% dei nostri laureati trova lavoro a un anno dalla laurea. Se, però, entriamo nel dettaglio ci accorgiamo che il quadro è estremamente variegato con posizioni spesso temporanee o non adeguatamente stipendiate. Quello che dovrebbe essere maggiormente recuperato è il valore della laurea: troppo spesso una formazione universitaria o post-universitaria porta benefici ridotti in termini di occupazione e retribuzione a fronte di competenze elevate che hanno richiesto di completare percorsi di studio lunghi ed impegnativi. Sicuramente nostro compito è creare figure sempre più adatte alle richieste del mondo del lavoro. Vogliamo proseguire e migliorare su questa linea, formando informatici che siano consapevoli dei rischi e dell’impatto delle tecnologie che sviluppano, giuristi che sappiano cogliere le nuove sfide, economisti che riescano a comprendere la complessità del mondo globalizzato. Vogliamo formare medici competenti che riescano a fare scelte consapevoli nell’interesse del paziente, insegnanti innovativi, umanisti capaci di affrontare le sfide della contemporaneità senza dimenticare poi le molteplici figure altamente professionalizzanti (Infermieri, fisioterapisti, biologi e tecnici) che i nostri corsi triennali formano.

Nei prossimi anni si prevede una sensibile carenza di medici nel nostro Paese. Quali soluzioni devono essere adottate per evitare il problema?

Il problema della carenza dei medici è legato prevalentemente a due motivi: un numero di borse di specialità insufficienti per le esigenze dell’Italia e slegato dal numero di laureati in medicina (senza parlare delle modalità di reclutamento che fa perdere numerose borse ministeriali) ed in secondo luogo ad una scarsa tutela professionale e retributiva dei medici impiegati nel SSN. Al giorno d’oggi non è più attrattivo lavorare nei grandi ospedali mentre una volta rappresentava un punto d’arrivo: troppi rischi e retribuzioni scarse rispetto a quelle di posizioni professionali di minor responsabilità. In altre parole i medici ci sono! Il SSN deve migliorare la sua attrattività nei loro confronti, lo Stato deve armonizzare il numero di posti nelle Scuole di Specialità al numero di laureati in Medicina e l’Università deve rivedere in maniera sostanziale le modalità di accesso alle stesse. Senza dimenticare che va valorizzato nuovamente il ruolo sociale del medico, concetto andato completamente perduto rispetto al passato.

Palazzo Giuliari, sede del rettorato dell’ateneo scaligero.

Secondo il suo parere quali iniziative è possibile incentivare la collaborazione tra università ed industria?

È fondamentale la completa integrazione tra Università e territorio. Le Università devono essere una risorsa da cui attingere quotidianamente per le realtà economiche che le circondano. Questo può avvenire solo attraverso una maggior promozione delle proprie attività (le Università non devono essere autoreferenziali), snellendo le procedure burocratiche con meccanismi amministrativi che facilitino l’interazione (se un’impresa vuole sostenere dei progetti di ricerca presso un Ateneo deve essere agevolata non ostacolata!) ed anche orientando la ricerca su filoni che abbiamo ricadute concrete ed immediate sul territorio stesso. In tal modo si può innescare un circolo virtuoso di cui entrambe le realtà trarrebbero beneficio.

Abbiamo la necessità di fare sistema con il territorio, al fine di rafforzare lo specifico ruolo di università pubblica, capace di fare crescere il sistema economico, sociale e civile in cui essa opera. Stiamo già lavorando per progetti di sviluppo dell’economia veronese, al fine di individuare nuove modalità di crescita del tessuto socio-economico scaligero che sia il frutto concreto di una maggior interazione tra il mondo imprenditoriale e quello accademico.