Le clausole assicurative claims made pure sono legittime

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claim made
Illustrazione: Vecteezy.com - commercialart

La Corte di Cassazione con l’ordinanza del 23 novembre 2017, n. 27867, ha ribadito che le clausole claims made pure contenute nelle polizze assicurative professionali sono legittime e, come tali, meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento italiano.

Secondo la Cassazione, infatti, l’art. 1917, comma I, c.c., che individua come contratto assicurativo principe la forma loss occurance, costituente una garanzia assicurativa oggettivamente più ampia per il professionista, è una norma liberamente derogabile da parte dei contraenti, i quali, nella loro autonomia negoziale, possono in concreto determinare, ai sensi dell’art. 1322 c.c., i limiti della garanzia contrattuale.

La previsione di una clausola contrattuale che moduli la garanzia in modo differente rispetto la previsione dell’art. 1917 c.c. (la copertura dell’assicurazione si estenda a tutti i sinistri avvenuti durante la vigenza del contratto, benché la richiesta risarcitoria venga formulata in un tempo successivo, quando la polizza non è più in essere), secondo gli ermellini, non snatura la causa e l’essenza del contratto di assicurazione stesso sicché la sua previsione è legittima e come tale è meritevole di tutela da parte dell’ordinamento statuale.

Stante l’evidente vantaggio per il mondo assicurativo, la tendenza delle compagnie è stata quella di abbandonare la tradizionale copertura loss occurance (insorgenza del danno) per quella claims made (a richiesta fatta).

Lo spostamento della copertura assicurativa non è di poco conto, per il fatto che in ambito di responsabilità professionale la denuncia del sinistro avviene mediamente due – tre anni dopo il verificarsi dell’evento sicché, in detti casi, potrebbero determinarsi per il professionista vuoti di copertura della sua attività professionale.

Proprio in ragione della possibilità che vengano a verificarsi scoperture per il professionista, sono state sollevate diverse questioni sollevate circa lo snaturamento del rapporto contrattuale assicurativo.

La Cassazione chiamata ad affrontare il tema ha statuito che la clausola claims made è legittima nella sua versione pura in quanto non ha natura vessatoria.

Sul punto la giurisprudenza distingue a sua volta tra claims made pura e impura o mista: le claims made impure o miste fissano l’operatività della copertura assicurativa solo se il fatto illecito e la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di validità del contratto; le clausole claims made pure, invece, stabiliscono l’operatività della copertura per tutte le richieste risarcitorie formulate nei confronti del professionista durante la vigenza della polizza assicurativa a prescindere la data di commissione del fatto oggetto di copertura.

Mentre per le clausole impure o miste la giurisprudenza si è oramai consolidata su quella impure o miste è ancora aperto il dibattito quantomeno in dottrina.

Nell’ordinanza in commento la questione riguarda una clausola claims made pura.

Un notaio che aveva stipulato una polizza per coprire la propria responsabilità civile professionale nel 2004, dopo la scadenza del contratto assicurativo, riceveva una richiesta di risarcimento per un presunto errore professionale avvenuto nel 1997 ovvero circa otto anni prima.

In seguito al diniego della copertura da parte della compagnia assicuratrice il professionista conveniva in giudizio la compagnia di assicurazione lamentando la natura vessatoria della clausola claims made pura, in quanto in contrasto con la previsione di cui all’art. 1917 c.c. il giudice di primo grado dava ragione alle pretese del notaio le quali venivano successivamente rigettate dal giudice d’appello.

La Corte con l’ordinanza n. 27867/2017 ha confermato la pronuncia del giudice d’appello stabilendo che la claims made pura non ha natura vessatoria, in quanto ancorché tesa a limitare la responsabilità a carico della compagnia assicurativa non determina però una limitazione dell’oggetto del contratto poiché “va inquadrata non già nella categoria delle pattuizioni dirette a limitare oppure ad escludere la responsabilità del debitore, ma fra quelle volte a meglio descrivere l’oggetto del contratto e, nello specifico del rischio assicurato”.

In questo modo, secondo a giurisprudenza, la clausola claims made pura meglio descrive il rischio assicurato e non esclude in radice la responsabilità dell’assicuratore posto che comporta, anche per il professionista, aspetti vantaggiosi come il fatto che detta clausola garantisce il professionista da errori anche prima di stipulare una copertura assicurativa, purché le richieste risarcitorie giungano per la prima volta durante la vigenza del contratto.

Per tali ragioni, la clausola contrattuale denominata claims made pura non necessita della doppia sottoscrizione prevista dall’art. 1341 del codice civile. ●