Il corretto comportamento del nuovo potenziale curante

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In una recente consulenza tecnica è emerso che il nuovo potenziale curante, ovvero il collega che subentra al collega precedente, le cui terapie sono in osservazione, si è rifiutato di certificare la condizione clinica rilevata e di proporre un nuovo piano di cure.
Quale il giusto comportamento?

In varie occasioni in questa rubrica ci siamo espressi sull’obbligo sancito dal codice deontologico di certificare quanto direttamente constatato nell’ambito della propria attività clinica.
Richiamiamo ancora una volta l’articolo che descrive tale obbligo. Il medico citato nel quesito era quindi tenuto a certificare quanto direttamente rilevato.
Il secondo punto è invece interessante: se da una parte il medico ha obbligo di certificare quanto constata, non ha obbligo di cura (salvo nelle emergenze) e tanto meno quindi obbligo di proporre un piano di cure. Data questa premessa, la ritrosia di molti colleghi disponibili a curare, a stendere un piano di cura in soggetti tra l’altro provenienti da problematiche precedenti, e quindi spesso con situazioni orali complicate, a volte francamente non si spiega.
È evidente che, in molti casi, tanto più di fronte a situazioni complesse che richiedono interventi a più mani e con esito prognostico incerto, il programmare un piano di cure dettagliato nei tempi e nei relativi costi risulti impossibile.
Vi è tuttavia sempre la possibilità di descrivere lo stato clinico “attuale”, ovvero quello direttamente constatato e valutato attraverso i mezzi idonei (impronte per modelli, cerature, Rx, foto), di indicare quale sia la terapia in prima fase necessaria alla “normalizzazione” (bonifiche dentarie, trattamento parodontale, etc.) nonché indicare quale sia la prospettiva prevalente di terapia futura (ove la prima fase realizzi l’obiettivo inizialmente perseguito).
Il punto quindi non è cosa si scriva ma come si scriva, ovvero se il linguaggio utilizzato sia realisticamente prudente e consenta all’utente di comprendere che si sta trattando un caso che, pur attentamente valutato, necessiterà in evoluzione di essere verificato e, potenzialmente, riprogrammato.
Il paziente ha diritto di “sapere” ma il medico ha contemporaneo diritto di esprimersi prudenzialmente informando il paziente delle opzioni percorribili, ma anche che dette opzioni possono essere rivalutate e riprogrammate all’esito di una fase preliminare di trattamento.
Spiegare al paziente questo passaggio cruciale costituirà un pilastro essenziale per il futuro rapporto fiduciario. Redigere relazione scritta, in questa fase, oltre a risultare di fondamentale aiuto al paziente rappresenterà una modalità di presentazione del professionista che dimostrerà da subito atteggiamento chiaro e trasparente.
Pertanto, quando riteniamo di poter “curare” il nostro paziente, quando quest’ultimo chiede di stendere una proposta di trattamento, ricordando che è dovuta una valutazione iniziale che proponga anche le alternative terapeutiche, rammentiamo che la proposta può contenere “forma” ipotetica. L’utilizzo di frasi come: “prima fase e, a seguire, seconda fase salvo rivalutazione clinica”, ovvero “prima fase terapeutica, a seguire rivalutazione clinica ed approntamento di nuovo programma; attualmente sono ipotizzabili due percorsi principali….”, tratte da casi direttamente constatati in qualità di consulente, appaiono prudenziali e congrue al ruolo di un professionista che si impegna nella direzione della cura del paziente, sfruttando i migliori mezzi possibili ma che non può, almeno in certe specifiche condizioni, già “predire” le conclusioni ovvero il risultato finale.


Codice Deontologico FNOMCeO

Ultima edizione maggio 2014

FNOMCeO

Articolo 24: Certificazione

“Il medico è tenuto a rilasciare alla persona assistita certificazioni relative allo stato di salute che attestino in modo puntuale e diligente i dati anamnestici raccolti e/o i rilievi clinici direttamente co nstatati od oggettivamente documentati”.

A cura di: Marco Lorenzo Scarpelli