Il trasporto di denaro contante dalla Svizzera deve essere dichiarato in frontiera se supera il limite di 10.000 euro o non è necessario trattandosi di un rientro di capitali?

È il trasporto di valuta e titoli al seguito che è sottoposto a “monitoraggio” e questo vale sia in ingresso che in uscita dal territorio italiano. Pertanto nessun adempimento è richiesto per i trasferimenti di contante entro il limite di 10.000 a persona, mentre per valori pari o superiori è necessario rendere una dichiarazione attraverso apposito modulo disponibile sul sito dell’Agenzia delle Dogane. Nel caso in trattazione va presentata presso gli Uffici delle Dogane da chiunque entri nel territorio nazionale. Tale disposizione non vale solo per Paesi terzi ma anche per i trasferimenti tra l´Italia e gli altri Paesi comunitari. L’inosservanza dell’obbligo fa scattare pesanti sanzioni costituendo violazione della normativa valutaria e comporta:

  • il sequestro amministrativo nel limite del 40% dell’importo eccedente il limite fissato;
  • l’applicazione di una sanzione amministrativa, fino al 40% dell’importo eccedente il limite fissato, con un minimo di 300 euro;
  • che l’importo sequestrato, nell’eventuale misura eccedente le sanzioni applicate dal ministero dell’Economia e delle Finanze, è restituito agli aventi diritto che ne facciano richiesta entro cinque anni dalla data del sequestro.

In specifici casi, con infrazioni relative al trasferimento di denaro contante non superiore a 250.000 euro, il trasgressore può richiedere di essere ammesso all’estinzione della violazione, mediante pagamento immediato in misura ridotta di una somma pari al 5%, con un minimo di 200 euro, dell’importo eccedente il limite fissato, direttamente presso l’ufficio doganale. In caso di pagamento contestuale alla violazione non si procede al sequestro.
Ultimamente si assiste ad un fenomeno inverso di “rientro di capitali” per il cambio di “rotta” di molti istituti elvetici non più disposti, come nel passato, ad accettare il deposito di valuta in contante senza avere idonee assicurazioni che essa abbia assolto le relative imposte nel Paese d’origine del cliente. È proprio a partire dal 2009, sotto le pressioni dell’OCSE, che anche Paesi tradizionalmente non collaborativi iniziano a stipulare accordi bilaterali con altri Paesi (la Svizzera lo ha già fatto con gli Usa e la Gran Bretagna e sono in fase avanzata altri possibili accordi). Il meccanismo induce chi li ha allocati all’estero senza dichiararli a farli rientrare “occultamente”. È evidente che, a parte le sanzioni, il problema, in caso si venisse “sorpresi” in una situazione di irregolarità, è rappresentato dalla necessità di “giustificare” al Fisco il possesso di tali somme, chiaramente e presuntivamente detenute in Svizzera, qualora esse non fossero state dichiarate nell’apposito quadro RW della dichiarazione dei redditi (da poco riformulato e con obbligo di dichiarazioni anche di somme detenute all’estero per importi inferiori a 10.000 euro). Poiché la Svizzera figura tuttora nella cosiddetta “black list” dei Paesi non collaborativi, vige la presunzione valida ai soli fini fiscali, di cui all’art. 12 del D.L. 78/2009, per la quale si presume che gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute in tali Paesi (cosiddetti Paradisi fiscali) siano state costituite con redditi sottratti a tassazione. Tale presunzione ammette prova contraria che il contribuente dovrà fornire con adeguata documentazione. Perciò è in corso di valutazione (alla data di redazione della presente risposta) un disegno di legge, sostitutivo del decreto legge non convertito entro marzo scorso che aveva introdotto una procedura di emersione spontanea (voluntary disclosure), attraverso cui si offre al contribuente la possibilità di sanare le irregolarità del passato pagando imposte e sanzioni ridotte. È chiaro che l’appetibilità della procedura è in funzione della “scontistica” complessiva offerta oltre che dalle clausole di salvaguardia garantite per eventuali responsabilità penali che, ricordiamo, a partire dall’anno 2011 “scattano” con soglie di evasione ridotte.
Medesime considerazioni debbono essere fatte anche in caso di trasferimento da Paesi comunitari (per esempio Austria), solo che per tali Stati non vige la cosiddetta inversione dell’onere della prova a carico del contribuente di cui si è appena accennato (non essendo inclusi nella citata “lista”). Pur tuttavia risulta consequenziale che il Fisco si adoperi, nell’ipotesi di omissione dichiarativa del quadro RW, a ricondurre le somme possedute all’estero ad uno specifico fenomeno evasivo che, nel caso della professione, può essere ovviamente riferito a somme introitate in “nero” e trasportate occultamente oltre confine.

A cura di: Carlo Pasquali