Non ho dipendenti e oltre che nel mio studio visito in altri studi professionali in altre città pagando agli stessi una relativa quota per la messa a disposizione della loro struttura. Il mio commercialista mi dice che dovrei pagare l’IRAP pur non avendo dipendenti

La questione è sempre di attualità e comporta risposte influenzate dalle recenti sentenze della giurisprudenza di merito. Come noto l’assenza di dipendenti è uno dei fattori che evidenziano una mancanza di una struttura organizzativa complessa ma non è l’unico elemento cui fa riferimento il Fisco che valuta nel complesso la struttura organizzativa e i mezzi organizzati e impiegati dal professionista ai fini dell’assoggettamento all’IRAP. Su questa linea proprio una recente sentenza (n. 17190 del 18 agosto 2016) della Corte di Cassazione che, sebbene riferita ad un medico del SSN, evidenzia come il giudice di merito non possa escludere l’esistenza del requisito dell’autonoma organizzazione solo sulla base della presunta insussistenza del personale dipendente. Come nel caso in trattazione lo stesso medico utilizzava ai fini professionali (chiaramente a pagamento) le strutture di quattro studi attrezzati e beni strumentali costosi.
Quindi nel caso in cui, in concreto, ci si trovi di fronte ad un superamento di quel minimo indispensabile per l’esercizio della professione (sia sotto l’aspetto della dotazione dei mezzi strumentali che delle prestazioni lavorative in termini di qualità e quantità di cui lo stesso si avvale) allora non si può pensare di non avere un’organizzazione dalla quale discende il pagamento dell’imposta. La decisione della Corte di Cassazione ribalta due decisioni favorevoli al contribuente (che aveva avanzato su tali presupposti, cioè assenza di dipendenti, richiesta di rimborso per l’IRAP pagata) sia della Commissione Tributaria Provinciale che Regionale le quali avevano dato torto al Fisco. Ma l’Agenzia delle Entrate metteva in evidenza proprio che il professionista poteva contare per l’espletamento della propria attività “di quattro studi attrezzati ed utilizzava beni strumentali di valore da euro 45.003 a 50.683”.
L’orientamento ormai consolidato lega l’esistenza di presupposti legittimanti l’imposizione del tributo in argomento quando il professionista:
vada di fatto ad impiegare beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione o se ne avvalga in modo continuativo tale da escludersi l’occasionalità dell’impiego di strutture organizzate esterne e/o di lavoro altrui sia con mansioni esecutive o di segreteria;
possa definirsi quale diretto responsabile della struttura organizzativa.
Dal quesito si evince proprio che il professionista, pur non avendo personale dipendente, possa garantirsi una più ampia clientela su più città, sfruttando l’organizzazione di altre strutture professionali alle quali corrisponde un compenso. Non può nascondersi che occorre che lo stesso coordini il lavoro di segreteria (accoglienza, appuntamenti, eventuali aspetti amministrativi) e utilizzi beni strumentali di più strutture che nel complesso non debbono essere considerati come “quelli strettamente necessari” alla professione.
È proprio tale “supporto” organizzativo altrui, che lo stesso deve coordinare, ad esplicare effetti potenzialmente incrementativi dei compensi ovvero a fornire un servizio migliore a una clientela che non è costretta a spostarsi nell’unico studio professionale. Se, infatti, il professionista ritiene di operare su più “punti” considera tale scelta evidentemente più remunerativa.
Di contro, in relazione all’impiego di beni strumentali, il valore assoluto di uno di essi, sebbene di importo considerevole non è di per sé ritenuto elemento idoneo alla configurazione di una organizzazione sicuramente eccedente i limiti. Infatti il macchinario potrebbe essere costoso ma indispensabile per un professionista (magari specializzato in alcuni interventi per ipotizzare un esempio). Su tale aspetto la stessa Cassazione (sentenza n. 547 del 15.01.2016) ha invitato il giudice di merito, eventualmente adito a risolvere la controversia, nella considerazione che “anche una spesa consistente riferita all’acquisto di un macchinario indispensabile per l’esercizio della professione può rilevarsi inidonea a significare l’esistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, tutte le volte in cui il capitale a tal fine investito non valga a rappresentare fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore rappresentato dalla mera attività intellettuale del professionista ma risulti ad essa asservito ai fini dell’acquisto di attrezzatura connaturata e indispensabile all’esercizio dell’attività medesima e come tale inidoneo ad assumere rilievo, quale fattore produttivo di reddito, distinguibile da quello rappresentato dalla stessa attività intellettuale e/o dalla professionalità del lavoratore autonomo”.
In definitiva la complessa questione, che merita comunque un intervento sicuramente chiarificatore del legislatore, deve essere affrontata rifacendosi al caso concreto e all’effettività dell’intervento del professionista nell’organizzare i fattori produttivi allo stesso asserviti prescindendo dal formalismo quale, a puro titolo di esempio, proprietà o locazione di un solo studio, inesistenza di dipendenti, basso valore dei beni strumentali eccetera. ●

A cura di: Carlo Pasquali