Il futuro dell’intelligenza artificiale? Al servizio dell’uomo e non al suo posto

Il futuro dell’intelligenza artificiale?

Nell’ultima svolta dal mondo della tecnologia, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha condotto di recente uno studio molto interessante sull’intelligenza artificiale che ha rivelato dei risultati sorprendenti riguardo al suo futuro nel panorama lavorativo globale. La ricerca sfata un mito prevalente: contrariamente alle aspettative popolari, l’intelligenza artificiale, almeno per ora, non è pronta a sostituire il lavoro umano.

Il motivo? Il costo proibitivo.
Questo studio capovolge l’idea che l’automazione guidata sull’AI sia una minaccia imminente per i lavoratori di tutto il mondo, suggerendo invece che il vero ostacolo alla sua adozione onnipresente non sia la tecnologia in sé, ma il suo costo di implementazione troppo elevato.

I ricercatori del MIT hanno esaminato una serie di settori, dall’industria manifatturiera ai servizi finanziari, analizzando il rapporto costi-benefici dell’integrazione dell’AI. Il risultato? La sostituzione dell’intelligenza umana con quella artificiale, al momento, non è solo dispendiosa, ma spesso non garantisce un ritorno sull’investimento che giustifichi l’esborso iniziale.

Questo non vuol dire affatto che l’AI non stia trovando il suo spazio nel mondo del lavoro. Al contrario, lo studio evidenzia come l’intelligenza artificiale stia creando nuove opportunità di collaborazione tra uomini e macchine, portando a una maggiore efficienza e innovazione. In quest’ottica, l’AI non sarà un sostituto del lavoro umano, ma un complemento che potenzia le capacità umane e stimola la crescita.

L’approfondimento del MIT mette in luce una realtà più complessa che ha diverse sfumature sull’impatto che l’AI ha sul lavoro, invitando aziende, politici e lavoratori stessi a riflettere sul valore aggiunto che l’intelligenza artificiale può portare in termini di innovazione, progresso e creatività.

I server di Chat GPT sono alimentati da modelli di intelligenza artificiale avanzati, in grado di comprendere, rispondere e persino anticipare le esigenze degli utenti in tempo reale. Ma come funzionano esattamente? Alla base di tutto c’è un sofisticato algoritmo di apprendimento automatico che ha studiato vasti oceani di testo per imparare come gli umani comunicano. Questo modello viene “addestrato” analizzando milioni di pagine web, libri, articoli e conversazioni online, apprendendo così una vasta gamma di argomenti e stili di comunicazione.

Il futuro dell’intelligenza artificiale?

Tutto questo mi ha portato a fare una riflessione profonda riguardo alla connessione che esiste tra il nostro lavoro di professionisti della salute del sorriso nel mondo dell’odontoiatria e l’intelligenza artificiale. Mi limiterò a fare una metafora semplice ma molto profonda in tutte le sue sfaccettature.

La capacità dei server di immagazzinare, elaborare e trasmettere informazioni a velocità e in quantità inimmaginabili è equivalente e comparabile alla potenza del nostro cervello di assimilare, processare e applicare la conoscenza. Questo parallelismo non è solo metaforico, ma anche funzionale, specialmente quando riflettiamo sulle modalità con cui un professionista, come l’odontoiatra, deve nutrire il proprio “server personale” per rimanere costantemente all’avanguardia nel proprio campo nel mondo che evolve costantemente.

Il continuo nutrimento del cervello dell’odontoiatra con informazioni teoriche è vitale, ma ancor più cruciale è l’addestramento clinico-pratico che ne consegue. Per il professionista, il processo di apprendimento è un esercizio bidimensionale: da una parte c’è la comprensione teorica delle malattie del cavo orale, delle tecniche di diagnosi e dei trattamenti specialistici; dall’altra, c’è la abilità manuale e la precisione richiesta nelle rispettive procedure cliniche.

Queste abilità pratiche possono essere acquisite solo tramite la preparazione iniziale con la realizzazione dei denti in sapone all’inizio e le lavorazioni su denti estratti montati su una base di gesso. Poi con l’esperienza diretta e ripetuta nel tempo sui pazienti. Proprio come un algoritmo di IA perfeziona la sua precisione e capacità solo dopo numerosi cicli di apprendimento e revisione critica delle proprie azioni avute dagli utenti.

La memorizzazione delle informazioni è un altro punto di contatto tra l’IA e il cervello umano. Nonostante quest’ultimo sia straordinariamente capace, la nostra memoria è soggetta a dimenticanze e omissioni se le informazioni non vengono costantemente riprese, ripetute e messe in pratica. Noi odontoiatri dobbiamo quindi esercitarci costantemente a ricordare e applicare le informazioni apprese in modo che queste diventino parte integrante della nostra pratica quotidiana.

Partendo da queste basi capiamo che la formazione in odontoiatria non è un semplice trasferimento di dati da un libro o un seminario al cervello, dello studente prima e del professionista poi. È piuttosto un fattore più sottile. La trasformazione delle informazioni apprese in competenze teoriche e pratiche è un processo che assomiglia, riportando la nostra attenzione al mondo digitale, a un algoritmo che converte i dati grezzi digitali in intelligenza applicabile.

Il futuro dell’intelligenza artificiale?

Questo processo non è automatico e non è nemmeno conclusivo alla fine di un corso di perfezionamento, di un master o dopo il conseguimento di un diploma professionalizzante. È un impegno a vita, un’abitudine mentale che deve essere coltivata ogni giorno con la stessa cura con cui un database su un server viene mantenuto, aggiornato e protetto da virus, errori e obsolescenza.

In questo viaggio di apprendimento, è fondamentale per ognuno di noi prendere appunti scritti e fotografare le slide durante i corsi e rielaborare successivamente su carta quando ancora il ricordo è fresco di informazioni appena apprese. Questa pratica di engagement attivo consente di fissare la conoscenza acquisita e di creare un collegamento tra la teoria e l’applicazione pratica. Quello che in teoria nell’aula davanti al docente sembra chiaro e semplice, nella pratica può rivelarsi complesso e richiedere, prima di essere applicato, una comprensione più profonda e legata all’addestramento pratico.

Rimango sconcertato quando frequento come allievo i corsi di aggiornamento in aula. Mi accorgo che più del 90% delle persone guardano il relatore, annuiscono come se avessero compreso ogni sua spiegazione, ogni tanto abbassano la testa per leggere i messaggi da WhatsApp e rispondere, fanno qualche foto alle slide che reputano più interessanti, ma nessuno prende appunti scritti.

Nello studio è sempre esistita una regola base: quando si ascolta un relatore si recepisce l’80% della spiegazione, si memorizza il 60% del concetto, quando lo si vuole riportare a mente si riesce a ricordare il 40% e se si vuole spiegare ad altri si riesce a condividerne solo il 20%. E questo quando si vuole spiegare ciò che si è appena sentito!

Quindi se noi volessimo applicare nel nostro lavoro quanto si è appreso diverso tempo addietro a un corso di aggiornamento, è molto difficile che si riesca a farlo in maniera efficace. Questo perché la memoria, non avendo potuto fissare quanto appreso, non è in grado di riportare alla mente le procedure o i protocolli presentati del relatore. Ben altra cosa avviene invece quando, mentre il relatore parla, scriviamo ciò che ci viene insegnato, o su carta o su word, e successivamente, nella stessa giornata, riordiniamo “in bella copia” gli appunti, magari integrandoli con le foto delle slide riassuntive. Con questo sistema, il lunedì, appena rientrati al lavoro, avremo un bignami da utilizzare subito e l’opportunità reale di inserire praticamente quanto appreso consapevolmente nei momenti di formazione.

Da queste considerazioni capiamo come l’integrazione tra teoria e pratica è il fondamento su cui si eleva l’abilità professionale di ognuno di noi. In odontoiatria, non si può separare la conoscenza teorica delle tecnologie di cura dentali dall’abilità di riuscire a utilizzarle correttamente. Non si può disgiungere la comprensione di una malattia dalle capacità di diagnosticarla prima e trattarla efficacemente poi. Questa simbiosi tra “sapere e saper fare” è ciò che distingue un vero professionista da un neolaureato ricco solo di conoscenze teoriche.

Socrate insegnava che “sapiente è colui che riconosce di non sapere”. Questa massima socratica è tanto più rilevante oggi, quando l’accesso a informazioni illimitate può creare l’illusione della conoscenza infinita.

L’umiltà è un altro aspetto che accomuna la formazione continua degli odontoiatri e l’apprendimento delle AI. Noi odontoiatri dobbiamo avvicinarci all’apprendimento scientifico con la consapevolezza che, non importa quanto siamo esperti, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare e da integrare nella propria pratica quotidiana, per la soluzione delle problematiche di ogni paziente.

Il futuro dell’intelligenza artificiale?

Leonardo da Vinci affermava: “Quando lo spirito non collabora con le mani non c’è arte”. Nel mondo moderno, possiamo interpretare questa frase affermando che: senza informazioni cliniche pertinenti e ben assimilate, le mani non possono eseguire lavori di alto livello. La capacità di eseguire con maestria le tecniche specifiche in ogni campo dipende quindi non solo dalla conoscenza teorica ma dall’integrazione tra sapere e saper fare, tra cervello e mani, in un’armonia che porta alla vera abilità professionale.

Il percorso per eccellere nella professione odontoiatrica, infatti, non si limita all’accumulo di crediti formativi per legge o al conseguimento dei più svariati diplomi. Questa è una visione riduttiva che non rende giustizia alla complessità e alla bellezza di questa professione.

La vera maestria (come affermava Leonardo) si manifesta:

  • nella capacità di unire la conoscenza teorica con la pratica ripetuta e attenta;
  • nella capacità di ascoltare non solo con le orecchie ma anche con le mani;
  • nella sensibilità di riconoscere in ogni paziente un universo unico di bisogni e aspettative.

Gli odontoiatri di oggi e di domani dovrebbero vedere ogni diploma di corso come un punto di partenza, non di arrivo e la formazione continua, l’apprendimento attivo e la pratica consapevole dovrebbero essere le pietre miliari del nostro percorso professionale.

Nel mondo di oggi, un mondo in cui l’AI è onnipresente e onnisciente, il tocco umano, l’abilità manuale e la capacità di coniugare conoscenza ed esperienza rimangono insostituibili e inestimabili. Solo così potremo garantire che la professione odontoiatrica continui a progredire, mantenendo il passo con l’evoluzione tecnologica ed elevando la qualità dell’assistenza e il benessere dei pazienti, passando da dente-centrica a paziente-centrica.