Il “guantometro” e le strategie di controllo totale del Fisco

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(Parte I) guantometro

In attesa di capire quali saranno le politiche fiscali (compreso il guantometro) che attuerà il nuovo governo, uno dei leitmotiv presente in tutti i programmi elettorali è stato, come sappiamo, la lotta all’evasione.

Recentemente Il Sole 24 Ore ha svelato che nel prossimo triennio l’amministrazione finanziaria ha intenzione di incrementare di più del 10% i controlli fiscali.

Le previsioni sono di almeno 140.000 verifiche fiscali a professionisti e piccole imprese nel 2018 per arrivare nel 2020 almeno a 160.000 controlli.

In questo rinnovato clima di “caccia alle streghe”, è estremamente importante per l’odontoiatra conoscere a fondo le strategie di controllo del Fisco alla luce anche di recenti ritorni all’utilizzo di strumenti di verifica decisamente discutibili, basati su arbitrarie ricostruzioni del reddito che partono dai consumi professionali (ad esempio il cosiddetto “guantometro”).

In questo approfondimento si vuole quindi aggiornare il lettore sulle più recenti modalità di controllo dell’Agenzia delle Entrate mentre nel prossimo articolo si cercherà di spiegare le varie fasi di una verifica fiscale con lo scopo di potersi difendere al meglio e, almeno, pagare le già elevate “tasse” solo sul reddito prodotto (e non su quello stimato in modo fantasioso).

Il “guantometro”

Dietro a questo singolare e buffo epiteto giornalistico conferito a tale modalità di controllo, si nasconde un pericoloso e potente strumento di verifica in mano al Fisco. Questa considerazione è vera tanto più se, come successo a fine febbraio 2018, la Corte di Cassazione avalla la ricostruzione del reddito di un odontoiatra partendo dai dati sul consumo dei guanti monouso.

Che cosa è accaduto?

Il tutto nasce da un controllo ad un odontoiatra di Genova titolare di due studi professionali avvenuto nell’anno 2005. Durante la verifica, pur riscontrando la regolare tenuta delle scritture contabili, l’Agenzia delle Entrate aveva notato alcune anomalie nei consumi di materiale monouso.

Nello specifico, attraverso la cosiddetta metodologia di “controllo induttivo” seguita dall’ufficio, il numero dei guanti monouso acquistati dall’odontoiatra risultava essere sproporzionato rispetto al numero delle prestazioni svolte.

In questo rapporto era stata anche considerata (a favore dell’odontoiatra) una percentuale del 10% di possibili scarti e, nella conta del numero di guanti acquistati, non avevano avuto rilevanza quelli di dimensione più piccola attribuibili, a detta dei verificatori, alle assistenti.

Partendo da queste considerazioni quindi, i verificatori avevano ricostruito il reddito del professionista forti anche del fatto che l’eccessivo consumo di guanti era riscontrato anche per i tovaglioli e gli aspira saliva.

Erano riusciti così a determinare un numero presunto di prestazioni odontoiatriche eseguite e, applicando i valori medi dei tariffari definiti dalle principaliassociazioni di categoria alle tipologie di prestazioni svolte, avevano ricostruito il reddito, a detta loro, corretto. 

La difesa dell’odontoiatra: gli elementi di fatto

A poco o nulla era servita la difesa dell’odontoiatra verificato: non aveva avuto valore ad esempio il fatto che, come nella normale e più comune prassi odontoiatrica, il numero di guanti e più in generale di materiale monouso utilizzato per ogni singola tipologia di prestazione risulti essere quasi sempre superiore ad uno.

Né aveva avuto valore la considerazione che sia inverosimile pensare che tutto il materiale di consumo acquistato venga utilizzato entro la fine dell’anno: sia l’amministrazione finanziaria sia i giudici tributari non avevano dato peso al fatto che, in virtù anche di politiche di sconti che i fornitori applicano sul finire dell’anno, i professionisti facciano spesso in quel periodo acquisti superiori rispetto alle loro normali esigenze in modo da avere qualche scorta di magazzino per l’anno successivo a prezzi più vantaggiosi (che come sappiamo per gli odontoiatri con partita IVA individuale o con studio associato non ha alcuna rilevanza fiscale).

La difesa dell’odontoiatra: gli elementi di diritto

Oltre agli elementi di fatto analizzati, già molto rilevanti, l’odontoiatra aveva anche eccepito questioni più tecniche e di diritto: nello specifico, il ricorso in Cassazione era fondato sul non corretto utilizzo del metodo di ricostruzione del reddito basato su criteri induttivi (con cui dalle spese si risale agli incassi).

Questa metodologia infatti, secondo quanto prevedono le norme, dovrebbe essere utilizzata in tutti quei casi in cui la contabilità presenta una serie di anomalie tali da farla dichiarare inattendibile.

Siccome questo non era accaduto nel caso di specie e, per di più, il dentista risultava congruo e coerente agli studi di settore, il controllo (a detta del contribuente) doveva limitarsi alla mera analisi delle fatture e delle scritture contabili.

Inoltre, dato che l’accertamento induttivo si deve basare su un insieme di indizi dotati di certezza, concretezza, gravità, precisione e concordanza, un semplice anomalo consumo di materiale monouso non poteva avere da solo tutte queste caratteristiche: le basi per la ricostruzione del reddito non erano quindi, a detta dei difensori dell’odontoiatra verificato, assolutamente valide e condivisibili.

La sentenza dei giudici della Corte di Cassazione

Su questi aspetti i giudici della Cassazione avevano però dissentito: nella sentenza avevano precisato che la regolare tenuta della contabilità non pregiudicava l’utilizzo di sistemi di controllo e di ricostruzione del reddito alternativi quando vi sono presunzioni gravi, precise e concordanti tali da far comunque ritenere infedele la contabilità analizzata.

In questi casi, quando il comportamento del contribuente viene ritenuto antieconomico e in conflitto con criteri di ragionevolezza (tradotto, vi sono troppi costi e spese rispetto allamedia della categoria), è possibile secondo i giudici riconteggiare il reddito basandosi su indizi o presunzioni con la difficile conseguenza che sarà il contribuente a dover smontare la tesi presuntiva del Fisco.

Non avrebbe poi avuto valore, a detta dei giudici nel caso di specie, il fatto che il professionista fosse in linea con gli studi di settore: gli elementi anomali, singolari ed in contrasto con le elementari regole economiche riscontrati avrebbero portato a definire le caratteristiche dell’attività svolta come completamente difformi da quelle che si sarebbero potute ottenere analizzando la contabilità.

Pertanto il reddito contabile, sempre a detta dei giudici, non poteva che essere inattendibile.

Questa impostazione della Cassazione era già stata più volte seguita in passato, sia per controlli nel settore medico odontoiatrico sia in altri settori, come ad esempio quello della ristorazione: non si tratta pertanto di una “scheggia impazzita”.

Conclusioni

Dopo esserci messi alle spalle, con le sentenze del 2009, i controlli fiscali basati solo ed esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore, dopo essere passati quasi indenni in molte situazioni ai controlli da “redditometro” e “spesometro” degli scorsi anni, ecco che il Fisco si ripresenta con una nuova strategia: disattendere di fatto tutto l’impianto contabile, che dovrebbe essere la primaria base per determinare reddito e imposte, e ricostruire (o inventarsi?) gli incassi dei professionisti basandosi su ragionamenti arbitrari, con logiche “di cassa” più che di repressione dell’evasione, che traggono spunto da alcuni dati contabili senza tenere conto delle peculiarità e delle specificità dell’attività professionale.

Non producendo beni dove, forse, potrebbe anche esistere una correlazione tra le quantità di materie prime acquistate e i prodotti ottenuti, che senso ha sostenere che ad un certo numero di guanti monouso devono per forza corrispondere un certo numero di prestazioni sanitarie erogate?

E se per di più, neanche la piena congruità e coerenza agli studi di settore (strumento di ricostruzione degli incassi per eccellenza) può essere invocata, come può difendersi il (povero!) contribuente che finisce nelle grinfie del Fisco?

  1. Cercare di non attirare l’attenzione per comportamenti anomali

Innanzitutto, sembra scontato ma non lo è, diventa necessario non finire nel mirino dell’amministrazione finanziaria: sono quindi da evitarsi tutte quelle pratiche fiscali borderlineche possono portare nel breve a facili risparmi di imposta ma che nel medio-lungo periodo (ricordiamoci che il Fisco ha un notevole vantaggio potendo controllare nei 5/6 anni successivi il nostro reddito) espongono sicuramente a verifiche il cui esito, come abbiamo visto, può essere impredicibile! I controlli infatti vengono attivati non per un semplice elemento “fuori linea” ma in virtù di un quadro potenzialmente più complesso ed articolato dove tanti elementi, anche extra fiscali, entrano in gioco.

  1. Gestire la propria attività in modo lineare e consapevole, sfruttando il patrimonio informativo a disposizione

Diventa quanto mai opportuno cercare di gestire la propria attività nel modo più ordinato e lineare possibile, lasciando tracce ed elementi certi che possono successivamente dimostrare di essere stati compliantalle norme tributarie: ben venga quindi adozione della contabilità ordinaria, l’utilizzo di conti correnti dedicati e il limitato utilizzo del contante ove possibile.

Ma anche l’utilizzo di strumenti gestionali che permettano il monitoraggio delle spese, non solo per finalità meramente economiche ma anche per prevenire eventuali controlli fiscali: nei casi di disallineamento rispetto alle medie dell’odontoiatria è opportuno interrogarsi sul perché di tali anomalie e lasciare traccia (a futura memoria) delle motivazioni riscontrate.

Su questo tema un supporto può venire dallo studio di settore, considerato non come strumento di controllo fiscale ma come databasecon informazioni statistiche che permetta di avere una rappresentazione media delle realtà odontoiatriche.

È quindi ancor più rilevante la stretta collaborazione con il proprio commercialista, consulente che, grazie alle sue competenze economico-gestionali e fiscali, può guidare anche su questi aspetti l’odontoiatra e soprattutto, in caso di anomalie, può lasciare tracce e giustificazioni preventive per evitare contestazioni future.

  1. Dedicare la massima attenzione alla fase difensiva sin dall’inizio della verifica

Le argomentazioni scritte in difesa e in controbattuta rispetto alle prime contestazioni dei verificatori, saranno molto utili perché dovranno essere contraddette dal Fisco per iscritto.

Inoltre le argomentazioni scritte saranno fondamentali anche nella fase di eventuale contenzioso nei “tribunali fiscali” (le commissioni tributarie).

È quindi quanto mai necessario farsi assistere dal proprio commercialista sin dall’inizio del controllo in virtù delle sue conoscenze sia delle normative fiscali sia della reale situazione dello studio dell’odontoiatra.

 

“Il Fisco si ripresenta con una nuova strategia: disattendere di fatto tutto l’impianto contabile e ricostruire gli incassi dei professionisti basandosi su ragionamenti arbitrari, con logiche “di cassa” più che di repressione dell’evasione, che traggono spunto da alcuni dati contabili senza tenere conto delle peculiarità e delle specificità dell’attività professionale”