IRAP sì, IRAP no: chi deve pagarla?

IRAP

L’IRAP è sempre stata un’imposta particolarmente osteggiata nel panorama tributario italiano perché spesso colpiva redditi virtuali non considerando come costi deducibili (“scaricabili”), ad esempio, gli interessi passivi o il costo del personale. È pertanto capitato (e capita ancora) che attività, pur in perdita, debbano comunque pagare un po’ di IRAP.

L’antipatia verso questo tributo, sebbene con aliquota abbastanza contenuta (3,9%), riguardava tutti: dai professionisti, agli studi associati fino alle società di capitali come Srl e Spa. L’IRAP è stata addirittura oggetto di un giudizio nel 2001 da parte della Corte Costituzionale quando si tentò di considerarla anticostituzionale, cosa che non venne accettata.

Sebbene nel tempo i vari governi che si sono succeduti abbiano cercato di contenerne il peso introducendo correttivi molto spesso difficili da calcolare e utilizzare, dalla sua introduzione (1997) vi è stato un intensissimo contenzioso tra i contribuenti e l’Agenzia delle Entrate che solo negli ultimi anni ha visto finalmente la conclusione.

Il fulcro di tutte le liti tributarie era sempre la presenza o meno della autonoma organizzazione, ossia il presupposto essenziale per il pagamento dell’IRAP.

Senza entrare troppo nel tecnico, in questo articolo vogliamo riassumere i principali spunti che la Corte di Cassazione ha fornito dal 2009 in poi per cercare di fare chiarezza e permettere di rispondere in modo ragionato alla domanda “ma nel mio caso, devo realmente pagare l’IRAP?”.

Ovviamente, non potendo conoscere le singole situazioni di ciascun odontoiatra, questi ragionamenti dovranno poi essere affrontati con il proprio commercialista, il quale potrà consigliare al meglio in base alla reale situazione del professionista. Tuttavia, come sempre, essere consapevoli del quadro tecnico permette di dialogare meglio con il proprio consulente, soprattutto in una situazione di parziale incertezza normativa.

IRAP: Che cos’è l’autonoma organizzazione?

Il tema è sempre stato poco chiaro sin dall’inizio. Tant’è che nel 2014 fu data delega al legislatore per chiarire la definizione di autonoma organizzazione, individuando dei criteri oggettivi alla luce delle tesi che erano emerse nelle numerosissime sentenze. Purtroppo non si concluse nulla perché i termini della delega furono fatti scadere. L’unica eccezione fu fatta per i medici che avevano sottoscritto specifiche convenzioni con le strutture ospedaliere: almeno per loro, la legge di stabilità 2016 aveva delineato i tratti del requisito per il pagamento dell’IRAP (la presenza dell’autonoma organizzazione o meno, appunto).

Il contenzioso quindi è proseguito e nel 2016 finalmente la Corte di Cassazione a sezioni unite ha depositato alcune sentenze che hanno chiarito il tema.

Cosa dicono le norme ed i giudici?

Entrando nel merito, la norma istitutrice dell’IRAP prevede che questa sia dovuta in caso di esercizio abituale di una attività organizzata autonomamente e diretta, nel caso degli odontoiatri, a fornire prestazioni sanitarie.

L’IRAP è sempre dovuta nel caso in cui l’attività sia svolta in forma associata o attraverso società di capitali come Srl o Spa o con società di persone (anche se rare S.n.c. e S.a.s.).

Siccome però l’elemento organizzativo non è sempre presente nell’attività del professionista (ci sono professionisti che lavorano senza struttura), l’IRAP non è dovuta se l’autonoma organizzazione non è presente. Questa è stata definita dalla Corte di Cassazione come una specie di capacità produttiva impersonale e aggiuntiva rispetto a quella del professionista. Questa organizzazione autonoma dovrebbe quindi permettere di ottenere un “extra profitto” dall’attività svolta da collaboratori e dipendenti utilizzando investimenti più o meno sofisticati.

Affinché la autonoma organizzazione sussista, l’odontoiatra deve:

essere sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione presso cui opera (e non semplicemente inserito in una struttura di terzi);

utilizzare beni strumentali che eccedono il minimo indispensabile per l’esercizio della propria attività odontoiatrica, 

o in alternativa

avvalersi in modo non occasionale di collaboratori che svolgono attività diverse da quelli di segreteria o da semplici compitivi esecutivi.

Pertanto, sin da subito si può ragionevolmente affermare che non debba pagare l’IRAP quell’odontoiatra che:

lavora in strutture professionali organizzate e gestite da terzi, 

è privo di una propria organizzazione,

non impiega lavoratori dipendenti/collaboratori che svolgono mansioni di segreteria o compiti meramente esecutivi, utilizzando beni strumentali limitati.

Vista la complessità della materia, le varie modalità per far valere le proprie ragioni con l’Agenzia delle Entrate ed infine il fatto che la partita si giochi spesso su elementi di fatto, diffidate da chi fornisce facili soluzioni “precotte” valide in ogni caso e non analizzi concretamente la situazione

Quali sono gli elementi che delineano l’autonoma organizzazione?

1. La responsabilità diretta della struttura utilizzata per svolgere la professione

Come già anticipato, sin dalle prime sentenze della Cassazione del 2009, l’odontoiatra che svolge la propria attività in strutture professionali organizzate e gestite da terzi è privo di autonoma organizzazione. Pertanto l’IRAP non sarà dovuta.

È il caso classico del collaboratore, più o meno giovane e con più o meno competenze, che opera in studi professionali o cliniche di terzi, senza avere in esse alcun legame societario (neanche attraverso familiari) né, tantomeno, incarichi con funzione direzionale e organizzativa (come, ad esempio, la direzione sanitaria).

2. L’impiego in modo non occasionale di lavoro altrui

Se fino a 2015 il tema non era così definito, con una sentenza del 2016 la Corte di Cassazione ha precisato che non sussiste autonoma organizzazione (quindi non è dovuta l’IRAP) quando ci si avvale anche in modo non occasionale di lavoro di collaboratori, a condizione che le attività da loro svolte rientrino nell’ambito delle mansioni di segreteria o siano meramente esecutive. 

Mentre non è rilevante la tipologia di rapporto di lavoro con cui il collaboratore svolge le sue attività, merita attenzione il concetto di “mera esecutività delle mansioni svolte”. Queste devono essere generiche o esclusivamente esecutive, non coinvolte quindi in modo diretto nell’esecuzione di prestazioni sanitarie rese a pazienti.

Rileva pertanto l’apporto che il lavoratore terzo può dare al professionista: se questo è generico e quindi non permette all’odontoiatra di accrescere il valore della propria prestazione, non sarà configurata l’attività autonomamente organizzata.

Quindi, esemplificando, l’odontoiatra con un solo dipendente che svolge attività di segreteria (e non di assistenza alla poltrona) non dovrebbe pagare l’IRAP. Nel caso invece di odontoiatra che ha come unico dipendente un igienista dentale o un assistente A.S.O., secondo l’impostazione la Cassazione, l’IRAP sarebbe dovuta.

Attenzione poi al caso dell’impiego di più lavoratori part-time: se la somma dei loro apporti coincide con quello di un lavoratore a tempo pieno, verificate tutte le condizioni di cui sopra, l’IRAP non risulterebbe dovuta.

Infine nel caso di apprendisti o tirocinanti, la stessa Agenzia delle Entrate ha precisato che il requisito dell’autonoma organizzazione non sussiste, a condizione che sia prevalente la finalità formativa. 

3. Il pagamento di compensi a consulenti esterni

Il tema è stato oggetto di varie sentenze spesso contrastanti tra loro. Sebbene nel 2016 i giudici avessero considerato non verificata la presenza di autonoma organizzazione in caso di utilizzo di consulenti esterni, una successiva pronuncia del 2018 ha posto qualche dubbio in più: non rileva tanto il rapporto di lavoro con cui il collaboratore opera nella struttura, dicono i giudici, quanto piuttosto la tipologia di attività svolta sui pazienti e i compensi a lui pagati. Da segnalare, per mischiare un po’ le carte, che nel 2014 la stessa Cassazione aveva sostenuto che avvalersi di consulenti esterni significasse proprio l’inesistenza di un autonoma organizzazione.

Come vedete, la situazione è tutt’altro che chiara e definita. Sintetizzando, però, consigliamo di porre la massima attenzione a tutti quei casi di studi mono professionali che hanno strutture impiegatizie molto snelle (una sola segretaria) ma che si avvalgono in modo continuativo ed importante di collaboratori odontoiatri: in questi casi il rischio che si configuri l’autonoma organizzazione, e che quindi si debba pagare l’IRAP, è elevato.

L’IRAP è sempre dovuta nel caso in cui l’attività sia svolta in forma associata o attraverso società di capitali come Srl o Spa o con società di persone (anche se rare S.n.c. e S.a.s.). L’odontoiatra con un solo dipendente che svolge attività di segreteria (e non di assistenza alla poltrona) non dovrebbe pagare l’IRAP. Nel caso invece di odontoiatra che ha come unico dipendente un igienista dentale o un assistente A.S.O., secondo l’impostazione la Cassazione, l’IRAP sarebbe dovuta

4. Lo svolgimento dell’attività in più studi professionali di proprietà 

Una recente sentenza del 2018 ha considerato esistente l’autonoma organizzazione nel caso di un odontoiatra che svolgeva la propria attività in tre studi a lui intestati.

Il requisito dell’autonoma organizzazione, secondo i giudici, sussisteva in virtù del fatto che utilizzando tre studi di proprietà sicuramente i beni strumentali impiegati eccedevano il minimo indispensabile per lo svolgimento dell’attività professionale.

5. L’utilizzo di beni strumentali di valore rilevante 

Come abbiamo già avuto modo di analizzare al punto precedente, l’impiego di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell’attività odontoiatrica configura il presupposto dell’autonoma organizzazione. 

Non è rilevante il fatto che i beni siano di proprietà o siano utilizzati in virtù di altre forme contrattuali (leasing, noleggi o contratti di service, come vedremo meglio in seguito) o che siano stati già completamente ammortizzati.

Sul tema del valore dei beni strumentali ci sono invece spiragli positivi. Sebbene in passato la Cassazione avesse sostenuto che l’utilizzo di attrezzature tecnologiche particolarmente sofisticate e costose (nel caso di specie, poco più di 100.000 €) configurasse autonoma organizzazione, nel 2016 vi sono state alcune sentenze contrarie. Nello specifico, i giudici avevano precisato che anche se si trattava di beni strumentali dal valore importante, se questi risultavano indispensabili per l’esercizio della professione, non si sarebbe verificato il presupposto per il pagamento dell’IRAP. 

È il caso ad esempio di tutte quelle situazioni in cui il costo ingente del bene non è un fattore aggiuntivo che permette al professionista di avere un guadagno extra ma è semplicemente connaturato alla prestazione sanitaria fornita e indispensabile per esercitare l’attività.

Esemplificando, uno studio con due poltrone senza particolari attrezzature (tac, panoramici, etc.), se sono verificati gli altri requisiti per non pagare l’IRAP, potrebbe rientrare in questa casistica. In base però alla nostra esperienza operativa, queste situazioni sono decisamente rare, salvo i casi di studi in cui vengono svolte solamente prestazioni di igiene e conservativa.

6. L’utilizzo di fattori produttivi messi a disposizione da terzi

Questo è il caso dei professionisti che si avvalgono di personale e di beni strumentali messi a disposizione da società terze in virtù di contratti di service. 

Se teoricamente questa situazione non dovrebbe comportare l’esistenza dell’autonoma organizzazione (l’odontoiatra non ha lo studio “intestato”), è necessario valutare gli elementi di fatto. Nel 2010 infatti la Cassazione si era pronunciata sul caso di alcuni odontoiatri che utilizzavano la struttura (personale e beni strumentali) intestata ad una società di servizi terza, di cui erano però anche soci. Siccome gli odontoiatri potevano disporre dell’attrezzatura e dei collaboratori in piena libertà esattamente come se la società non esistesse, i giudici li avevano condannati a pagare l’IRAP.

7. Attività di relatori a convegni professionali o di consulenti tecnici

Altro tema affrontato recentemente (2018) dalla Corte di Cassazione è quello relativo agli introiti incassati per attività di docenza, per diritti d’autore o per consulenze tecniche peritali (perizie eseguite per il tribunale). Su queste somme non sarà dovuta l’IRAP se l’odontoiatra nella sua contabilità avrà distinto questi incassi da quelli dell’attività odontoiatrica e ovviamente se l’attività di relatore, perito, etc. non sia organizzata con beni strumentali e dipendenti (vale quanto detto fin qui).

Cosa non rileva per l’autonomia organizzazione?

Purtroppo non ci sono sentenze che forniscono un elenco di cosa non rilevi ai fini dell’autonoma organizzazione. Si può però sostenere che siano irrilevanti, ad esempio, l’elevata specializzazione del professionista o la sua anzianità professionale, l’iscrizione all’Albo, la sua insostituibilità per motivi commerciali o giuridici, il possesso di propri pazienti o, ancora, l’entità dei compensi incassati.

Sebbene a parere di chi scrive sia fortemente opinabile, la Cassazione ha affermato che l’esercizio di un’attività professionale protetta come quella odontoiatrica (che comporta l’iscrizione ad un Albo) non fa venir meno in automatico il requisito dell’autonoma organizzazione esonerando il professionista del pagamento dell’IRAP. Se infatti l’odontoiatra non potesse operare sul paziente (ipotizziamo per motivi di salute) avere due, tre o quattro A.S.O. (con tutto il dovuto rispetto) non gli permetterebbe di fatturare 1 euro. Ci sarebbe magari l’organizzazione ma non sarebbe autonoma.

I medici convenzionati con strutture ospedaliere pubbliche e private

L’unico caso in cui il legislatore è intervenuto sul tema in questione è stato con la legge di Stabilità 2016 per i medici convenzionati con strutture ospedaliere pubbliche o private, inclusi i cosiddetti poliambulatori. È stato previsto che non è verificato il requisito dell’autonoma organizzazione (e quindi non sarà dovuta l’IRAP), nel caso in cui il medico odontoiatra abbia sottoscritto specifiche convenzioni con le strutture ospedaliere per svolgere l’attività odontoiatrica e contemporaneamente l’attività svolta presso tali strutture formi più del 75% del suo reddito da attività professionale (che confluisce poi nel reddito complessivo). Il fine è quello di non tassare ai fini IRAP il reddito del professionista quando questo è formato per la maggior parte da attività svolte presso una struttura terza e solo marginalmente avvalendosi di una propria organizzazione.

Nel caso di specie, saranno totalmente irrilevanti l’ammontare del reddito realizzato e l’importo complessivo delle spese collegate all’attività svolta.

Gli odontoiatri che utilizzano regimi agevolati o forfettari

Questi soggetti, a prescindere che utilizzino il vecchio “regime dei minimi” o il nuovo “regime forfettario”, saranno esonerati dal pagamento dell’IRAP per espressa previsione della norma.

Le associazioni professionali e gli studi associati

Su queste realtà purtroppo si registra una sentenza della Corte di Cassazione del 2016 dove i giudici hanno confermato quanto già l’Agenzia delle Entrate sosteneva: per le associazioni professionali, gli studi associati e le società semplici non ci sono chances, l’IRAP è dovuta. Questo perché il requisito dell’autonoma organizzazione sarebbe (secondo la giurisprudenza e nel silenzio normativo) in ogni caso verificato indipendentemente dall’esistenza o meno di una struttura organizzativa (così come è per Srl, Spa, etc.).

Se in passato si erano registrati anche pareri discordanti, in cui di fatto si andava a valutare concretamente se c’erano o meno i presupposti per il pagamento dell’IRAP, ad oggi purtroppo la giurisprudenza è unanime. 

Sebbene a parere di chi scrive non sia condivisibile sostenere che gli studi associati abbiano di default un’autonoma organizzazione, al momento avventurarsi in un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate sul tema è fortemente rischioso.

Le società tra professionisti

Per le società tra professionisti, anche dette S.T.P., non ci sono possibilità: stante quanto detto in precedenza, l’IRAP sarà sempre dovuta a prescindere dalle situazioni concrete. Si ricorda che per legge (e non per opinione della giurisprudenza come per gli studi associati) le società di persone e di capitali, S.T.P. incluse, sono sempre soggette all’IRAP.

Come difendersi dal Fisco?

Partendo dal fatto che in caso di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate sarà l’odontoiatra a dover dimostrare di non essere soggetto all’IRAP, gli elementi su cui basare le proprie difese con il Fisco sono da ricercarsi nella dichiarazione dei redditi, nello studio di settore e negli altri documenti contabili. 

Nella prima, infatti, l’analisi della sezione relativa al reddito dell’attività odontoiatrica (quadro RE) servirà per evidenziare ad esempio l’assenza di utilizzo di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile o di lavoro di terzi.

Anche grazie allo studio di settore si potrà dimostrare l’assenza di personale addetto all’attività, l’irrilevanza dell’unità locale destinata all’esercizio dell’attività odontoiatrica ed il valore contenuto dei beni strumentali.

Infine con l’esibizione, ad esempio, del registro dei beni ammortizzabili e delle relative fatture di acquisto, si potrà provare che i beni strumentali utilizzati rientrano nei canoni visti in precedenza che permettono di ottenere l’esonero dal pagamento dell’IRAP. 

Conclusioni

Come abbiamo avuto modo di analizzare, le condizioni per non pagare l’IRAP sono molteplici e vi sono parecchi casi che permettono all’odontoiatra di avere ragione.

Vista però la complessità della materia, le varie modalità per far valere le proprie ragioni con l’Agenzia delle Entrate ed infine il fatto che la partita si giochi spesso su elementi di fatto, diffidate da chi fornisce facili soluzioni “precotte” valide in ogni caso e non analizzi concretamente la situazione. Il proprio commercialista è sicuramente il miglior alleato con cui intraprendere questa “battaglia” di equità col Fisco. λ