Stefano Melchiade Tramonte (1921-2002), un grande maestro dell’implantologia mondiale

Fig. 1 Stefano Melchiade Tramonte
Fig. 1 Stefano Melchiade Tramonte

Un nome sommo nella storia dell’implantologia è quello di Stefano Melchiade Tramonte, che deve essere considerato fra i fondatori della implantologia intesa come scienza, dal momento che enormi furono i contributi che apportò in questo campo, quando tale disciplina era ancora agli albori ed era praticata da pochi pionieri che ne intuirono le reali potenzialità.

Ci proponiamo, con questo articolo, di riportare alla luce le numerosissime priorità che a lui spettano e che purtroppo sono state per lungo tempo coperte dall’oblio.

Nato a Livorno nel 1921, Tramonte si laureò in medicina e chirurgia presso l’università di Pavia, sede nella quale conseguì successivamente la specializzazione in odontoiatria e protesi dentaria.

Sin da subito si dedicò alla nascente branca dell’implantologia: erano anni pionieristici, in cui Formiggini, nel 1947 iniziatore dell’implantologia endoossea, incominciava a rendere pubblici i risultati dei suoi casi clinici, purtroppo non compresi dalla maggioranza del mondo odontoiatrico.

Fig. 2 “L’impianto endosseo razionale”
Fig. 2 “L’impianto endosseo razionale”

Molte interessanti considerazioni si trovano in un volume, pubblicato da Tramonte nel 1964 a Milano dal titolo “L’impianto endosseo razionale”, in cui l’autore spiega il suo metodo.

Nell’introduzione ebbe a scrivere queste parole, che al giorno d’oggi suonano come profetiche:

“Affascinato dal problema degli impianti, spronato dai successi di Cherchève che considero idealmente il mio maestro, ho voluto inoltrarmi anch’io nel promettente campo dell’implantologia, coll’intendimento di apportare il mio modesto contributo ad una causa che non mancherà certo in un futuro molto prossimo di annoverare tra i suoi proseliti, se non la totalità, almeno la grande maggioranza degli odontoiatri di tutto il mondo. Non ho la pretesa di aver ideato alcunché di nuovo; credo solo d’essere riuscito a perfezionare un nuovo tipo di vite endoossea, quella autofilettante già tentata da altri e recentemente anche da Gola. Vagliando i pregi e i difetti degli altri metodi d’impianto, mi è sembrato che potesse essere studiata una metodica più semplice e pratica che valesse ad incoraggiare l’impiego dell’implantologia endoossea.”

In questo importantissimo testo, che dovrebbe essere riscoperto per l’attualità delle considerazioni espresse, Tramonte espone le sue metodiche e descrive la sua vite autofilettante in cromo-cobalto-molibdeno e in cromo-nichel-molibdeno, già in uso dal 1959.

“Realizzai un nuovo tipo di vite autofilettante che avesse un passo tale da contenere tra le spire una quantità d’osso sufficiente a sopportare il carico masticatorio e una superficie totale delle spire atta a garantire un’adeguata distribuzione del carico stesso”.

Tuttavia, come lo stesso Tramonte ebbe a notare, pur essendo confortato da ottimi risultai e avendo presentato questi a vari congressi, non ottenne la giusta considerazione dal mondo odontoiatrico dell’epoca, che gli fu più o meno apertamente ostile, salvo pochissime eccezioni:

“Ma l’indifferenza, oserei dire l’ostilità della classe odontoiatrica italiana verso l’implantologia endoossea mi lasciava assai perplesso.

Una mia comunicazione al V Congresso nazionale della Società Italiana di Odontoiatria e Chirurgia Maxillo-Facciale, tenutosi a Napoli nel 1962, cade nel nulla. Una pubblicazione sulla mia metodica, apparsa sul n. 2 del 1963 della Rassegna Trimestrale di Odontoiatria diretta dal prof. Silvio Palazzi non suscitò né critiche né obiezioni. Eppure nello stesso numero, sotto il titolo “Qualche precisazione riassuntiva sugli impianti allo plastici”, lo stesso prof. Palazzi così commentava: “In questi ultimi tempi, a proposito degli impianti endoossei, abbiamo avuto per mezzo del dott. Tramonte una evoluzione positiva con la proposta di viti particolari, molto diverse da quelle del dott. Formiggini… Leggendo il lavoro del dott. Tramonte ci convinciamo sempre di più, dai dati geometrici sulla superficie che sopporta il peso della masticazione, che si tratta di un vero e proprio progresso”.

E conclude sconsolato Tramonte:

“Non riuscivo veramente a rendermi conto di tale agnosticismo, non tanto nei confronti del mio metodo quanto per l’implantologia enodoossea in generale, che ritenevo anch’io di gran lunga più promettente di quella iuxtaossea o sottoperiostale”.

Tuttavia, conclude con giusto orgoglio e soddisfazione presentando la sua casistica:

“Oggi, con questo nuovo tipo di vite, posso tirare le somme della mia casistica personale: alla data del 17 ottobre 1964 conto ormai al mio attivo 187 pazienti operati per un totale di 422 impianti. Insuccessi: 3 viti rimosse prima dell’applicazone della protesi. Sei sole rimosse a protesi ultimate”.

A pochissimi è noto come sia stato proprio Tramonte a utilizzare, per primo al mondo, il titanio quale materiale da implantoprotesi.

Tale evento è ampiamente documentato nella rivista “Annali di Stomatologia”, dell’aprile del 1966, su cui, in un lavoro scientifico dal titolo “Su alcuni casi particolarmente interessanti di impianto endoosseo con vite autofilettante”, documentò il posizionamento di un impianto in titanio, da lui effettuato per la prima volta con questo materiale.

Seguace del Formiggini, come lui pioniere dell’implantologia endoossea, è poi da considerarsi l’iniziatore dell’implantologia a carico immediato: la sua vite autofilettante venne creata proprio con lo scopo di sopportare tale situazione, con il concetto fondamentale di rispetto biologico dei tessuti; suscitò però come visto sopra purtroppo molta ostilità da parte del mondo scientifico e universitario odontoiatrico dell’epoca.

A Tramonte si devono tante altre priorità: l’idea di codificare la geometria degli impianti a spira larga di carico immediato (1961), l’introduzione del concetto clinico di rispetto biologico tissutale (1962), la guida chirurgica per l’inserzione di impianti in parallelismo (1962), uno strumento per una corretta misurazione delle distanze sulle radiografie endorali (1963), l’introduzione di tecniche chirurgiche che vengono ancora al giorno d’oggi utilizzate; fu inoltre l’inventore di impianti di dimensione ridotta, quelli che attualmente sono noti come mini impianti (che furono poi perfezionati da Mimmo Colombo e Ugo e Marco Pasqualini).

Capita tuttora di vedere impianti di Tramonte, posizionati da lui stesso o da altri seguaci del suo metodo cinquant’anni fa, ancora ben saldi nel loro sito, a dimostrazione della grande validità di questa tecnica.

Dal suo impianto, in seguito, nacquero numerose varianti, fra le quali la più nota è la vite bicorticale di Garbaccio.

Decenni dopo, tutte le sue straordinarie intuizioni trovarono conferma da studi biologici, istologici, clinici, portati avanti soprattutto all’estero.

Concludiamo con una frase cara all’amico Marco Pasqualini: “La verità è figlia del tempo”.

Stefano Melchiade Tramonte morì a Milano nel 2002.