Fra le personalità maggiormente di spicco nei primi decenni del secolo XX, quando l’odontoiatria nel nostro Paese doveva ancora affermarsi come scienza, emerge quella del bolognese Cesare Cavina (1888-1935), personalità geniale ed eclettica, che costituisce un “unicum” nel panorama stomatologico di allora; fu un uomo versatile che per primo in Italia compì arditi interventi di chirurgia maxillo-facciale, cimentandosi anche in interventi neurochirurgici che allora erano ancora ai primordi.
La sua morte prematura, purtroppo, rallentò quello sviluppo clinico-scientifico che la parte chirurgica dell’odontostomatologia poteva avere grazie a lui.
Cesare Cavina nacque a Bologna nel 1888, si laureò in medicina e chirurgia nel 1912 presso l’ateneo della propria città e dopo un breve periodo di frequenza alla clinica dermatologica si orientò verso l’odontoiatria, divenendo, nel 1915, allievo interno della clinica odontoiatrica dell’università di Bologna, diretta da Arturo Beretta (1875-1941), che lo considerò sempre il suo primo allievo e dove venne nominato assistente.
Qui intraprese lo studio della stomatologia, iniziando nel contempo a dedicarsi agli studi di chirurgia maxillo-facciale.
Nel 1915, durante la prima guerra mondiale, fu tenente medico e poi capitano medico; in questa veste si occupò della cura dei numerosi traumatizzati del volto, del cranio e della bocca.
Rientrato alla fine del conflitto a Bologna, venne nominato, nel 1919, primario della sezione chirurgica dell’ospedale S. Leonardo di Bologna, dove diede grandi contributi nel campo della chirurgia maxillo-facciale.
Nel 1923 conseguì la libera docenza in odontoiatria e due anni più tardi quella in chirurgia orale, diventando, di fatto, il primo insegnante in Italia di questa materia.
Nel medesimo anno (1925), gli venne conferito l’incarico della direzione della clinica odontoiatrica dell’Università di Padova.
In questa sede iniziò un percorso che lo doveva differenziare da tutti gli altri odontoiatri italiani.
Ben presto i suoi interessi iniziarono a indirizzarsi verso la chirurgia cranica, occupandosi prevalentemente di chirurgia dell’ipofisi e del trigemino, settori nei quali descrisse magistralmente l’approccio trans-naso-sfenoidale per l’aggressione delle lesioni ipofisarie e la neurotomia retrogasseriana nella cura delle nevralgie trigeminali.
Ugualmente importante fu il suo contributo relativo alle terapie delle nevralgie del trigemino, patologia tuttora invalidante e di difficile risoluzione; in questo campo propose l’alcolizzazione del ganglio di Gasser, e la neurotomia retrogasseriana.
Come scrive giustamente il Sironi, in una relazione presentata ad un congresso della Società italiana di storia della odontostomatologia nel 2007, “L’evoluzione professionale di questo originale e dinamico “dentista” lo portò dapprima dalla chirurgia dentale alla chirurgia oro-maxillo-facciale, ponendolo come “inventore” della stomatologia chirurgica. Successivamente egli, passando attraverso la chirurgia estetica e la chirurgia otorinolaringoiatrica, arrivò alla neurochirurgia, occupandosi in particolare quelle lesioni “di confine” tra patologia del sistema nervoso e patologia oro-facciale, come le alterazioni dell’ipofisi e le nevralgie del trigemino”.
Certamente un validissimo chirurgo oro-maxillo-facciale e grande studioso della stomatologia, che avrebbe potuto dare tantissimo allo sviluppo della odontoiatria italiana, fondando sicuramente scuole di prim’ordine, se una breve ma letale malattia non lo avesse strappato all’esistenza nel 1935, ancora nel pieno vigore delle sue qualità di medico, di scienziato e di didatta.
Emblematiche le parole del suo maestro Arturo Beretta, scritte nel 1936 in occasione della commemorazione funebre:
“Dopo aver percorso con onore gli studi universitari trascorse due anni in severi studi di indole generale, nella frequenza in cliniche private, e poi col Boschi nella sezione medica dell’ospedale Maggiore, per educare il suo spirito all’osservazione clinica, ed insieme […] perché indeciso sulla via da intraprendere […]. Poi parve decidersi verso la dermosifilopatica […]. In questo periodo, nella primavera del 1915, il Cavina si presentò a me. Non lo conoscevo che di nome. Mi disse degli studi fatti e del desiderio di dedicarsi all’odontoiatria chiedendomi che io lo accogliessi come assistente alla cattedra universitaria. La cattedra di odontoiatria dell’università di Bologna si identificava allora con il mio studio privato dal quale soltanto potevo trarre i mezzi per l’insegnamento: non libri, non strumenti, non letti, non assistenti, né tecnici. Tutto questo feci a lui presente. Alle sue insistenze l’accolsi: e così il Cavina fu il primo assistente alla nostra clinica odontoiatrica”.
“Dopo aver arricchito la sua esperienza odontoiatrica con la chirurgia maxillo-facciale nel periodo della prima guerra mondiale, divenuto nel 1919 primario della sezione chirurgica dell’ospedale S. Leonardo di Bologna, iniziò ad occuparsi attivamente di chirurgia ricostruttiva del viso e del cranio, trasferendo così le sue competenze odontoiatriche al servizio di una branca chirurgica che solo allora stava iniziando in Italia i suoi primi passi”.
Nel 1919 “affidai al Cavina la carica di primario della sezione di chirurgia orale dell’istituto e di insegnante della stessa materia nella scuola – scrive ancora Arturo Beretta –. Così […] egli realizzava il suo sogno: di avere la direzione di una sezione chirurgica dove esplicare la sua feconda e dinamica attività con piena indipendenza di indirizzo, di studio e di azione […]. Dalla chirurgia dentale passa alla chirurgia buccale e mascellare riuscendo in breve operatore originale nella tecnica e felice nei successi.
A buon diritto può dirsi che il Cavina abbia impresso alla stomatologia italiana un indirizzo prettamente chirurgico e sia stato il pioniere di un ramo, la chirurgia orale, nuovo per l’Italia, e al quale egli ha dato un’impronta personale. Il periodico da lui fondato “Archivium chirurgiae oris” ne indica il campo di studio e di azione […]. La sua prodigiosa attività non conosce riposo. Per la sete di sapere e per la necessità di ampliare la sua cultura chirurgica visita le principali cliniche stomatologiche e chirurgiche in Europa. Fu a Vienna, a Budapest, a Parigi, a Londra, a Berlino, a Düsseldorf, a Bruxelles, a Stoccolma, a Leopoli, a Copenaghen e a Mosca, per non ricordare che i centri più importanti […].
Ma per una mente aperta ad ogni seduzione del sapere in più vasti orizzonti, anche la chirurgia orale non poteva bastare. I suoi successi negli interventi di chirurgia estetica e riparatrice, nelle plastiche facciali, nella correzione delle deformità congenite ed acquisite della faccia, attraggono ben presto l’attenzione e l’ammirazione del mondo medico. Poi egli estende la sua attività chirurgica in tutto il campo dell’otorinolaringoiatria. Difficili operazioni sulla mastoide, sulla laringe e sui seni facciali gli aprono la via alla chirurgia cranica: le lesioni dell’ipofisi, le nevralgie del trigemino, i tumori cerebrali vengono da lui operati con interventi arditi e brillanti”.
Possiamo pertanto trarre tre considerazioni molto attuali, esaminando la vita e le opere del Cavina:
- l’odontoiatria intesa come palestra per l’ambito chirurgico che deve sottendere ogni gesto terapeutico in ambito dentistico;
- la stomatologia chirurgica come disciplina autonoma del distretto oro-buccale;
- l’approccio globale come abito mentale di unitarietà e modalità tecnica che il chirurgo deve avere quando si occupa di un distretto corporeo così complesso come quello della testa: si può quindi notare che Cavina anticipò di diversi decenni quell’approccio multidisciplinare (chirurgia maxillo-facciale, chirurgia estetica, otorinolaringoiatria, oculistica, neurochirurgia) necessario al giorno d’oggi a chi si occupa di interventi inerenti alle patologie complesse del capo e del volto.