Mi è stato chiesto di aprire questo numero di Doctor Os parlando di Europa.
Ho accettato volentieri, anche se è un incarico certamente non facile in un momento storico in cui l’Europa, intesa come unione non solo di Stati ma anche di culture, suscita immediatamente sentimenti e reazioni viscerali e contrastanti.

Ma la nostra professione dimostra come sia possibile un approccio diverso.
Siamo in assoluta controtendenza:

mai come oggi le associazioni e gli ordini che rappresentano nel CED i dentisti di 30 paesi europei vivono un’unione di forze, di intenti, di intelligenze e competenze per affrontare al meglio i grandi problemi che gravano sul nostro settore.

Un’analisi approfondita richiederebbe ben più di un breve editoriale, per cui mi limito a citare solo quattro fenomeni, sicuramente diversi fra loro ma che possono comunque essere considerati come facce diverse della stessa medaglia.

In parte collegati, colpiscono trasversalmente molti Paesi, ma si manifestano in ambiti diversi e con tempi e aspetti non sempre sovrapponibili.

Una prima considerazione riguarda un fenomeno che, seppur presente solo in alcuni paesi dove l’odontoiatria privata ha convenzioni generalizzate con il sistema sanitario nazionale, risulta pericolosamente in crescita.

È la tendenza dei governi, in particolare in Francia e Danimarca, a restringere la libertà dei professionisti con tariffe calmierate e limitazioni di prestazioni e di scelta del curante.
Tutto ciò sta provocando reazioni accese e preoccupate da parte di associazioni e ordini che finora avevano collaborato e stretto accordi nazionali in modo accettabile.

Assistiamo invece in altri paesi, in particolare in quelli dove più recente è la presenza di organi di autogoverno della professione, come la Lituania, al tentativo di sopprimere gli ordini professionali autonomi, in parte per attuare una deregulation in nome di un presunto beneficio del mercato dei servizi, e in parte per riportare la professione sotto il controllo diretto dello Stato, così come avveniva sotto il regime comunista. Questo disegno appare anche quantomeno contraddittorio sul piano ideologico.

Parlando invece di istituzioni europee, abbiamo più volte espresso le preoccupazioni dei dentisti, unitamente alle altre professioni sanitarie, sia per la scarsa sensibilità per gli investimenti sulla salute nei capitoli di spesa del budget UE, sia in merito al progressivo passaggio delle competenze sanitarie verso l’ambito del mercato. Attendiamo le elezioni europee e l’insediamento della prossima Commissione per verificare la possibilità di invertire questa pericolosa tendenza.

Corollario di quanto sopra riferito è un ulteriore segnale preoccupante che riguarda l’attività del CEN, l’organismo europeo che riunisce gli enti di standardizzazione nazionali (in Italia ISO), con lo scopo di normare, e dunque “standardizzare”, il rapporto col paziente e le cure ad esso fornite.

Nonostante le reiterate assicurazioni del CEN sull’assenza di volontà di standardizzare le cure, è stato recentemente elaborato un documento, ancora in bozza, che malgrado il rassicurante titolo “Patient involvement in person-centred care”, si avvicina pericolosamente a definire in modo vincolante cosa debba essere comunicato al paziente e in quale forma, allontanandosi dal dichiarato obiettivo di tutta la medicina che è l’individualizzazione del rapporto terapeutico al massimo livello.

Ma il problema più “caldo”, e anche più scontato, è quello della cosiddetta “corporate dentistry”, in Italia e in altri paesi visto più come la diffusione a tappeto delle catene di studi e cliniche odontoiatriche che come il semplice ingresso degli investitori extraprofessionali nella gestione di queste strutture.

Gli scandali che hanno colpito in particolare la Spagna, con migliaia di pazienti truffati e danneggiati, sono solo una parte di questo fenomeno che vede la progressiva acquisizione da parte di grandi gruppi di investitori di percentuali sempre maggiori di strutture odontoiatriche in molti paesi, compreso il nostro, modificando profondamente il tradizionale rapporto tra dentisti e pazienti.

Sarebbe antistorico e velleitario qualsiasi tentativo legislativo di porre limiti agli investimenti in quanto tali, tranne quando le posizioni dominanti si tramutano in veri e propri monopoli come sta avvenendo in qualche stato nordico, ma occorre agire subito per salvaguardare il controllo dell’appropriatezza delle cure in rapporto al miglior interesse dei pazienti per la propria salute.

Non ci può essere un’unica soluzione per tutti gli Stati: culture e sistemi di gestione e controllo della professione molto diversi tra loro richiedono grande attenzione e rispetto.

Una cosa è però certa: è solo con la contemporanea applicazione di norme legislative che tutelino la posizione dei dentisti come ultimi decisori clinici, e di efficaci sistemi di verifica etica e di eventuale conseguente sanzione disciplinare professionale, che si può difendere il diritto dei pazienti ad avere le cure migliori e realmente necessarie.

Un modello da cui attingere qualche spunto può essere quello del Regno Unito (con buona pace della Brexit) dove il 51% dei membri del consiglio di amministrazione di una struttura sanitaria deve essere composto da professionisti “registrati” e dunque soggetti a controllo disciplinare.

Anche qui occorre limitare gli eccessi, in quanto per la medesima inadempienza etica o regolamentare il professionista può arrivare anche a subire tre sanzioni diverse: oltre a quella generata dall’obbligatoria registrazione presso il General Dental Council, si possono sommare quelle comminate dalla British Dental Association e dal National Health System, se associato e convenzionato.

Concludendo, non si può, in modo manicheo e semplicistico, dividere i dentisti dagli investitori nelle colonne dei buoni e dei cattivi. L’induzione a cure non necessarie o, peggio, dannose attraverso pubblicità fuorviante o ingannevoli proposte finanziarie non è sempre solo appannaggio di manager senza scrupoli che non vestono il camice.

Talvolta la connivenza con gli effettivi curanti o con i direttori sanitari è palese e, contemporaneamente, la tentazione di usare le stesse metodologie scorrette colpisce anche il singolo dentista titolare di studio.

Ciò che risulta comunque inaccettabile è la pressione esercitata sulle decisioni terapeutiche unita allo sfruttamento economico delle parti più deboli della professione, in particolare i giovani.

A loro va rivolto subito lo sforzo degli organismi professionali (in Italia sindacati e ordine) per supportarne con strumenti efficaci la possibilità di contrastare le spinte ad una odontoiatria ispirata unicamente a massimizzare il profitto dell’investitore.

Il CED ha approvato all’unanimità lo scorso novembre una risoluzione sulla “corporate dentistry” che afferma dei principi irrinunciabili a tutela dei pazienti, dei dentisti e dei sistemi sanitari, in rappresentanza di 340.000 dentisti europei.

Invito tutti a scaricarla dal sito www.cedentists.eu (oppure tramite il qr-code a destra) e a considerarla un punto di partenza per un possibile ed effettivo cambiamento.