Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la principale causa di fallimento del dente trattato endodonticamente non ha origine endodontica, bensì restaurativa (1), e questo perché le modifiche di carattere biochimico, biomeccanico e anatomico, che subisce il dente sottoposto a terapia endodontica, lo espongono inevitabilmente ad un maggior rischio di fratture corono-radicolari (2, 3). I fattori che maggiormente incidono nel determinare l’aumentata fragilità del dente devitalizzato sono: la riduzione del contenuto d’acqua, la perdita di propriocettori e nocicettori che vengono rimossi insieme alla polpa durante la terapia canalare, il cambiamento di composizione e disposizione dei fasci di fibre collagene, ma soprattutto la perdita di strutture anatomiche quali il tetto della camera pulpare e della dentina dell’istmo occlusale, che si realizzano in seguito all’apertura camerale, oltre alla perdita delle creste marginali e delle cuspidi a causa della patologia cariosa. Nel programmare la fase restaurativa di un dente trattato endodonticamente, questi aspetti devono essere tenuti in debita considerazione per evitare di incorrere in tempi medio brevi in una frattura dei tessuti dentali residui che metta a rischio l’intero trattamento riabilitativo (4, 5, 6). La copertura delle cuspidi rappresenta un fattore favorevole nella prognosi a lungo termine degli elementi posteriori trattati endodonticamente (7, 8). Il restauro del dente sottoposto a terapia endodontica dovrà consentire il mantenimento nel tempo della perfetta integrità del sigillo coronale, impedendo così la microinfiltrazione batterica marginale ostacolando la recidiva cariosa e la contaminazione dell’endodonto e del periapice. Parimenti, il restauro dovrà essere in grado di resistere alle sollecitazioni funzionali conservando nel tempo anatomia occlusale, estetica e funzione masticatoria, dovrà preservare da una eccessiva usura l’elemento dentario antagonista, non dovrà causare sofferenza dei tessuti parodontali e dovrà espletare una funzione di protezione sulle strutture dentali residue prevenendo fratture e incrinature. Oggi un approccio minimamente invasivo può essere adottato anche nei restauri che conseguono ad una terapia endodontica; è così possibile, dopo aver selezionato accuratamente il caso, eseguire restauri adesivi che ritardino la protesizzazione con corona integrale.
CRITERI DI SCELTA RESTAURATIVA
Partendo dai presupposti che il restauro del dente endodontico deve essere il più conservativo possibile e che i restauri adesivi diretti o indiretti sono più conservativi rispetto alla tecniche protesiche tradizionali, la scelta tra l’esecuzione di un restauro adesivo diretto o indiretto sarà dettata da alcuni fattori che dovranno attentamente esser valutati (9).
- Posizione del dente in arcata: tanto più anteriore sarà il dente tanto minori saranno le sollecitazioni funzionali (10)alle quali sarà sottoposto; tenendo presente che i restauri indiretti a copertura cuspidale sono quelli che meglio rispondono alle elevate sollecitazioni funzionali, i denti anteriori sono quelli che si avvalgono per eccellenza di tecniche restaurative di tipo diretto. I premolari superiori (11) e i molari inferiori (12) sono invece i denti con il più elevato rischio di frattura, nei quali più indicate sono le tecniche restaurative indirette.
- Quantità di tessuti duri dentali residui e conformazione cavitaria: sono i fattori più significativi (13, 14). Denti posteriori con una cavità residua ad una superficie e cuspidi robuste sono resistenti quasi quanto un dente integro (15) e dunque restaurabili con ricostruzioni adesive dirette (figg. 1-7).
Cavità a due superfici (OD e MO), con conservazione di una cresta marginale e cuspidi residue di almeno 2,5 mm di spessore, si avvalgono di metodiche restaurative dirette (16). Se lo spessore delle cuspidi è inferiore a 2,5 mm è indicato invece un restauro adesivo di tipo indiretto a ricopertura delle cuspidi indebolite (17). Cavità a tre superfici (MOD) possono esser restaurate con overlay indiretti (18) (figg. 8, 9 e 10).
- La quantità di smalto cervicale disponibile è un parametro spesso decisivo nella scelta del tipo di restauro che si andrà ad eseguire: più la cavità sarà profonda, minore sarà lo smalto disponibile per l’adesione. I restauri adesivi indiretti aderiscono meglio dei restauri adesivi diretti alla dentina radicolare (19). In presenza di uno smalto cervicale di quantità e qualità estremamente limitata, è preferibile optare per un restauro protesico tradizionale piuttosto che per un restauro adesivo (figg. 11 e 12).
- Occlusione e impiego funzionale del dente che si va a restaurare: elementi dentari isolati o che presentano un solo dente attiguo hanno un rischio di frattura più elevato rispetto a denti che hanno due punti di contatto (che cioè hanno un elemento attiguo mesiale ed uno distale) (20, 21). Dunque per il loro restauro spesso è conveniente il ricorso a tecniche restaurative indirette che prevedono la copertura delle cuspidi indebolite.
- Presenza di incrinature o parafunzioni: la tecnica indiretta a copertura delle cuspidi sembra essere la soluzione più predicibile (22).
- Età del paziente: tenendo sempre presente che, se si eccettuano le estrazioni, nessun altro trattamento odontoiatrico può essere considerato permanente (23), nei bambini son da preferire metodiche restaurative di tipo diretto.
- Disponibilità economica del paziente: è un parametro da non sottovalutare in quanto, in virtù di considerazioni di carattere economico, il paziente potrà richiedere l’abbandono delle soluzioni terapeutiche ideali più onerose in termini economici, per la scelta di soluzioni di compromesso fuori protocollo. Naturalmente dovrà essere adeguatamente informato che la scelta di soluzioni di compromesso non è scevra dal rischio di complicazioni che potranno causare anche il fallimento dell’intero trattamento riabilitativo.
PROTOCOLLO OPERATIVO PER LA REALIZZAZIONE DI RESTAURI ADESIVI INDIRETTI
Una volta valutati tutti gli aspetti del caso, si è deciso che per un determinato elemento dentario sottoposto a trattamento endodontico la miglior scelta restaurativa ricade sulla realizzazione di un intarsio adesivo indiretto a copertura cuspidale; il successo a lungo termine della riabilitazione che si andrà a realizzare dipenderà essenzialmente dal rispetto puntuale dei protocolli e dalla precisione clinico-operativa. Il protocollo operativo consta di una fase di build-up, nella preparazione dell’elemento da restaurare, nel rilievo delle impronte, di una fase di laboratorio in cui il manufatto viene realizzato e, infine, delle fasi di cementazione, rifinitura e lucidatura del restauro.
Fasi cliniche di build up e preparazione dell’elemento da restaurare
Completata l’endodonzia, si esegue il build up posizionando un composito flow sul pavimento camerale e sulle pareti cavitarie e poi stratificando e polimerizzando a piccoli incrementi del composito in pasta. In caso di carie interprossimale profonda con coinvolgimento dello smalto cervicale sarà utile riallocare il gradino cervicale in una posizione più coronale (si utilizzerà per tale scopo del composito flow in uno spessore massimo di 1 mm): questo semplificherà le fasi successive del trattamento: preparazione, impronta, rifinitura, lucidatura. Se l’estensione apicale della cavità cariosa avrà comportato una violazione dell’ampiezza biologica, prima di procedere al restauro sarà necessario sottoporre l’elemento dentario ad allungamento chirurgico di corona clinica.
La preparazione per l’intarsio dovrà essere semplice, priva di sottosquadri e facilmente leggibile dai materiali da impronta.
Per la preparazione dell’elemento dentario da restaurare con intarsio a copertura cuspidale viene proposta una procedura semplificata che consiste essenzialmente nell’abbattere cuspidi e creste marginali non adeguatamente sostenute, cioè con uno spessore smalto-dentinale inferiore ai 2,5 mm. La preparazione per intarsio dovrà avere angoli arrotondati, pareti lisce e divergenti di circa 10 gradi verso l’esterno; i biselli saranno assenti. La riduzione a livello occlusale, per garantire la sufficiente resistenza del materiale ai carichi masticatori, dovrà essere di almeno 1,5 mm. L’inserimento di strutture di ritenzione endocanalari (perni endocanalari in fibra di vetro) sarà riservato a quei casi in cui la ritenzione del restauro potrebbe essere inficiata da una troppo massiva distruzione coronale (nei casi ad esempio con coinvolgimento di entrambe le pareti interprossimali). Per una miglior resistenza alle forze dislocanti laterali è utile prevedere uno o più box o pozzetti di ritenzione all’interno della preparazione (fig. 13),
tali strutture consentiranno anche un più facile posizionamento del manufatto sulla preparazione effettuata. Il fatto che la preparazione sia totalmente sopragengivale facilita grandemente il rilievo delle impronte, la cementazione e il controllo della precisione del manufatto e infine la rimozione degli eccessi di materiale post cementazione.
Intarsi adesivi a copertura cuspidale possono esser realizzati con successo sia in materiali ceramici che in materiali compositi (24, 25) (figg. 14 e 15).
L’utilizzo delle vetroceramiche a base di disilicato di litio può risultare vantaggioso per alcuni aspetti: oltre alle migliori performance dei materiali ceramici, rispetto ai compositi, in termini di caratteristiche fisiche (resistenza all’usura simile allo smalto dentario, maggiore resistenza alla frattura dovuta al carico masticatorio eccetera), questo tipo di riabilitazioni risulta conveniente in termini biologici, in quanto consente di eseguire preparazioni più conservative (26) proprio e soprattutto per il fatto che la stessa resistenza del composito ai carichi masticatori si ottiene con spessori inferiori di disilicato di litio; è stato inoltre dimostrato che il disilicato di litio, quando cementato allo smalto con metodiche adesive, aumenta grandemente la propria resistenza alla frattura (27).
Procedure di laboratorio
Viene descritta la procedura per la realizzazione di intarsi in IPS e.max Press disilicato di litio (LS2) (Ivoclar Vivadent). Le impronte rilevate dal clinico vengono sviluppate con gesso di precisione extraduro secondo le metodiche del sistema Zeiser che prevede, dove necessario, la realizzazione di monconi sfilabili. L’elemento interessato per la realizzazione dell’intarsio verrà duplicato in silicone da laboratorio e questo permetterà di avere a disposizione due monconi: uno resterà sul modello master e sarà utilizzato per la modellazione dell’intarsio, l’altro servirà per il controllo e la definizione del perfetto sigillo marginale. La realizzazione dell’intarsio inizia con una modellazione effettuata mediante cere “ash free” che non sviluppano residui di combustione, evitando problemi di porosità e impurità all’interno del manufatto (fig. 16). Sigillati i margini del restauro, si procederà con “l’imperniatura” sulla base del cilindro IPS (fig. 17).
Seguirà la messa in rivestimento, poi il cilindro andrà inserito nel forno di preriscaldo, alla temperatura finale di 850 °C. A questo punto bisognerà permettere la totale combustione della cera e il materiale refrattario dovrà raggiungere la temperatura finale in modo omogeneo; saranno necessari circa 45 minuti per un cilindro da 100 g, 60 minuti per un cilindro da 200 g. Trascorso questo tempo, il cilindro sarà rimosso per poter inserire nel canale di pressata il grezzo dell’IPS e.max Press ed il pistone in Allumina (fig. 18).
Il tutto sarà collocato nel forno che, con apposito programma preimpostato, effettuerà la pressatura del disilicato di litio. Ultimato il programma, il cilindro sarà rimosso dal forno e posto sulla griglia di raffreddamento a temperatura ambiente per circa 60 minuti. Successivamente verrà effettuata la smuffolatura. Lo strato reattivo sul manufatto verrà rimosso in bagno ad ultrasuoni per 10-30 minuti. Seguono le fasi di detersione e sabbiatura con Al2O3.
Il manufatto (figg. 19 e 20) verrà separato dal canale di pressatura mediante disco diamantato mantenendolo costantemente umido. Si rifinirà con apposite frese e si procederà con i vari programmi di “stain” e “glasura”. Completati i programmi di cottura si andrà a brillantare meccanicamente l’intarsio con gommini e spazzolini dedicati per renderlo il più naturale possibile (fig. 21).
Fasi cliniche di cementazione, rifinitura e lucidatura del restauro
Prima della cementazione il manufatto andràmordenzato con acido fluoridrico al 5% per 20 secondi (fig. 22), i residui della mordenzatura andranno rimossi mediante bagno in vasca ad ultrasuoni per 5 minuti in acqua distillata e l’intarsio andrà infine silanizzato (fig. 23).
Si attueranno successivamente le normali procedure adesive sull’elemento dentario preparato, ricorrendo ad una mordenzatura secondo la metodica del total-etch con acido ortofosforico al 37% (fig. 24) e all’applicazione del sistema adesivo (fig. 25) che sarà fotopolimerizzato secondo le istruzioni del produttore. Sulla superficie interna dell’intarsio sarà applicato e disteso con un leggero soffio d’aria lo stesso sistema adesivo (fig. 26) e successivamente il cemento composito auto–foto indurente; il restauro verrà posizionato sull’elemento dentario preparato e sottoposto ad una pressione delicata e costante; gli eccessi di cemento che defluiranno dai margini della preparazione (fig. 27) andranno rimossi (fig. 28) quando avranno raggiunto una consistenza gommosa, prima della fotopolimerizzazione finale. Le fasi di build up della cavità post endodontica e la cementazione dell’intarsio andranno rigorosamente eseguite isolando da possibili contaminazioni di umidità il campo operatorio mediante diga di gomma. Il restauro dell’elemento dentario terminerà con le fasi di rifinitura e controllo occlusale (fig. 29).
CONCLUSIONI
La corona completa in metallo ceramica ha rappresentato per decenni il gold standard nel restauro dei denti trattati endodonticamente garantendo affidabilità ed estetica a lungo termine (28, 29). L’uso estensivo di corone a copertura integrale appare tuttavia oggi ingiustificato in virtù delle possibilità conservative offerte dalle attuali tecniche adesive dirette e indirette. Oggi ci si può affidare sempre con maggior fiducia ai restauri adesivi nella riabilitazione di denti trattati endodonticamente; tali tecniche restaurative hanno insite, oltre agli innegabili vantaggi della semplicità e mini invasività delle procedure, l’ulteriore vantaggio di preservare e proteggere nel tempo i tessuti coronali dentali residui (30, 31, 32). ●
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