Split crest con cunei in acciaio e split crest con inserimento implantare immediato: valutazione e predicibilità delle due tecniche chirurgiche

    Split crest with steel wedges vs. dplit crest with immediate implant insertion: evaluation and predictability of the two surgical techniques

    Fig. 7 Visione occlusale dopo 3 mesi dall’espansione.
    Scopo del lavoro: Lo scopo del lavoro è stato investigare la stabilità ossea marginale attorno agli impianti dentali inseriti con due tecniche differenti: split crest ed inserimento impiantare immediato (Gruppo A) e split crest utilizzando cunei in acciaio chirurgico e inserimento impiantare dilazionato a tre mesi dal primo intervento (Gruppo B).
    Materiali e metodi:

    Sono stati arruolati nell studio 20 pazienti con almeno una zona edentula del cavo orale con atrofia di Classe IV secondo Cawood & Howell. Ogni paziente inserito nello studio è stato assegnato ad uno dei due protocolli di intervento mediante apertura di una busta chiusa, contenente il gruppo di intervento, durante l’intervento chirurgico, dopo aver separato le due corticali.

    Risultati:

    Sono stati inseriti un totale di 53 impianti, 25 per il gruppo test e 28 per il gruppo controllo. In entrambi i gruppi si è verificato un fallimento implantare prima del carico. Per ogni impianto è stata misurata la perdita ossea verticale: il gruppo A ha registrato 1,871 ± 0,201 mm; il gruppo B 2,026 ± 0,218 mm.

    Conclusioni:

    I dati raccolti mostrano risultati confortanti per l’utilizzo della tecnica di split crest associata al posizionamento degli impianti. Tuttavia sono necessari studi con un follow up più esteso e andrebbero valutati anche altri parametri, comparandoli, come per esempio con lo schema di riassorbimento osseo orizzontale o variazioni dei risultati estetici.

    Il riassorbimento osseo che si determina in seguito alla perdita degli elementi dentali modifica in modo significativo le creste residue dei mascellari.

    L’atrofia ossea che si determina condiziona in modo rilevante il posizionamento degli impianti sia in senso verticale che in senso buccale e questo, se non si programma un opportuno intervento di rigenerazione ossea, potrebbe alterare il profilo di emergenza delle corone protesiche, gli spazi di igiene e l’estetica finale della riabilitazione.

    Quando il deficit osseo è prevalentemente di tipo orizzontale, una delle tecniche chirurgiche che più spesso può essere utilizzata per ripristinare il fisiologico volume è l’espansione dei processi alveolari residui.

    Questa tecnica chirurgica, nota anche come bone splitting, bone expansion, ridge expansion, permette di dislocare la corticale vestibolare in senso buccale con lo scopo di ottenere un aumento dello spessore crestale tale da compensare il riassorbimento osseo determinatosi.

    Lo scopo di questa tecnica è quello di poter utilizzare impianti di appropriato diametro e di poterli posizionare seguendo i moderni criteri di chirurgia protesicamente guidata.

    I meccanismi che seguono la separazione delle due corticali sono del tutto simili a quelli delle fratture ossee.

    Successivamente all’estrazione degli elementi dentari, si verifica una sostanziale alterazione dell’anatomia della cresta alveolare.

    Queste condizioni possono portare ad un’atrofia verticale/ orizzontale di vario grado delle creste alveolari ma non è infrequente riscontrare classi IV secondo la classificazione di Cawood & Howell.

    In questi casi è necessario procedere con tecniche di rigenerazione ossea orizzontali, verticali o combinate per ottenere un volume osseo adeguato per un posizionamento implantare profeticamente guidato.

    Gli aumenti di volume osseo possono essere eseguiti mediante numerose tecniche, come la rigenerazione ossea guidata (GBR), gli innesti a blocco, le griglie in titanio; come alternativa, un altro metodo che può fornire risultati soddisfacenti e predicibili è rappresentato dalla tecnica dello split crest (SC).

    I primi tentativi di espansione prestale vennero descritti per la prima volta da Osborn nel 1985 e Tatum nel 1986. Successivamente la tecnica venne ripresa da Simion nel 1992 e Scipioni nel 1994: è da questi lavori che la tecnica è stata codificata e poi sviluppata.

    Dalla prima serie di casi, diversi Autori hanno proposto variazioni della tecnica chirurgica originale sia per il disegno del lembo che per la separazione delle superfici ossee: spessore totale, spessore parziale, lembo a libro; separazione con inserimento simultaneo degli impianti, separazione con i cunei ed inserimento impiantare differito; utilizzo di strumenti rotanti o approccio piezoelettrico.

    Ad ogni modo, prendendo in considerazione tutte le varianti menzionate, questa è un’opzione ben documentata per gestire i casi di IV classe secondo Cawood & Howell ma solo pochi articoli hanno comparato la stabilità dell’osso marginale attorno alle piattaforme impiantare utilizzando tecniche di splitting differenti.

    Materiali e metodi

    Il nostro centro ha arruolato e trattato venti pazienti che presentavano almeno un zona del cavo orale edentula con atrofia di classe IV secondo la classifica di Cawood & Howell.

    I risultati clinici dei due gruppi sono stati registrati a distanza di 6 mesi dal carico protesico, sebbene i pazienti si siano sottoposti a controlli regolari durante le fasi chirurgiche e protesiche.

    Arruolamento pazienti

    Sono stati identificati 20 pazienti, ognuno dei quali doveva rispondere ai seguenti requisiti:

    • età maggiore o uguale a diciotto anni;
    • assenza di malattie sistemiche;
    • Periodontal Screening and Recording (PSR) minore di 3 in tutti i sestanti;
    • Full Mouth Plaque Score (FMPS) e Full Mouth Bleeding Score (FMBS) minori del 25%;
    • meno di dieci sigarette al giorno;
    • presenza di almeno un’area edentula con atrofia di classe IV secondo la classificazione di Cawood & Howell;
    • assenza di precedenti interventi ricostruttivi nella zona da trattare.

    Tutti i pazienti trattati in questo studio hanno manifestato il loro consenso informato. Son stati eseguiti i principi sanciti dalla Dichiarazione di Helsinki riguardanti la sperimentazione sugli esseri umani sia per quanto concerne l’ottenimento del consenso informato, sia nell’organizzazione di tutto lo studio.

    I possibili effetti collaterali della procedura chirurgica sono stati spiegati secondo gli standard correnti nella pratica clinica.

    Ogni paziente inserito nello studio è stato assegnato ad uno dei due protocolli di intervento mediante apertura di una busta chiusa, contenente il gruppo di intervento, durante l’intervento chirurgico, dopo aver separato le due corticali.

    Trattamento A

    Durante la stessa procedura chirurgica, dopo aver splittato le corticali, sono stati inseriti gli impianti e posizionate le viti di guarigione. Il lembo è stato suturato con sutura riassorbibile (Vicryl 4/0, Eticon Inc., Somerville, NJ, USA). (Fig. 1-4)

    Trattamento B

    Sono stati posizionati dei cunei di acciaio medicale tra i due piatti corticali, all’interno dell’osso midollare, con lo scopo di mantenere lo spazio creato. Il lembo è stato suturato con lo stesso filamento del gruppo A. Dopo tre mesi di guarigione i pazienti sono stati sottoposti ad una seconda fase chirurgica per il posizionamento degli impianti. (Fig. 5-8)

    Risultati

    Sono stati inseriti un totale di 53 impianti, 25 per il gruppo test e 28 per il gruppo controllo. In entrambi i gruppi si è verificato un fallimento implantare prima del carico. Per ogni impianto è stata misurata la perdita ossea verticale: il gruppo A ha registrato 1,871 ± 0,201 mm; il gruppo B 2,026 ± 0,218 mm. I valori dei singoli impianti sono stati riportati nelle tabelle che seguono.

    Discussione e conclusioni

    La tecnica dell’espansione ossea consiste nel separare la corticale vestibolare e linguale/palatale, dislocando, sia in mandibola che mascella, la prima in direzione vestibolare e creando uno spazio mediano generalmente riempito per la maggior parte dai corpi impiantare.

    Lo spazio lasciato vuoto può essere riempito da diversi materiali: particolato di osso autologo, biomateriali, derivati del plasma come il plasma ricco di fibrina, collageni sintetico. La tecnica di splitting classica prevede l’ulilizzo di scalpelli molto affilati o seghe rotanti/oscillanti.

    L’utilizzo dei primi traumatizza il paziente per le percussioni subite durante la chirurgia. Gli strumenti rotanti o oscillanti sono molto efficaci ma presentano il grande svantaggio di poter lacerare i tessuti molli che ne limitano l’accessibilità, e sottrarre volumetrie ossee anche a quelle già esigue presenti.

    Gli effetti biologici degli strumenti meccanici sulla struttura ossea e la vitalità delle cellule ossee sono degli aspetti da tenere in considerazione nell’approccio alla chirurgia rigenerativa. Temperature relativamente elevale, anche se applicate per un periodo ridotto, sono pericolose per la cellula e possono causare necrosi ossea.

    Per tale motivo è da preferire lo strumento piezoelettrico poiché grazie all’estremo frazionamento dell’onda d’urto prodotta dalla velocità ultrasonica permette di ridurre notevolmente la pressione da esercitare sul manipolo che si riduce da diversi chilogrammi solo a qualche centinaio di grammi. Ciò modifica completamente tutti i parametri intraoperatori in termini di precisione, controllo di taglio, sicurezza operatoria e trauma chirurgico.

    Inoltre la stimolazione cellulare prodotta dalle onde d’urto delle vibrazioni ultrasoniche in combinazione con l’effetto cavitazionale della soluzione salina agiscono favorevolmente sui parametri clinici del processo di guarigione tessutale e di conseguenza sulla riduzione della morbilità per il paziente.

    Alcuni lavori scientifici affermano che l’osso recuperato con una fresa tipo Trephine e frese da preparazione implantare consentono di ottenere materiale amorfo e acellulare mentre con strumenti come il Safe scraper si ottengono poche cellule vitali con predominanza di cellule non vitali.

    Resta comunque il fatto che l’utilizzo della chirurgia ossea ultrasonica per l’osteotomia rappresenta una tecnica vantaggiosa e alternativa alla chirurgia tradizionale con scalpelli o rotanti.

    La precisione di taglio della chirurgia piezoelettrica dipende dalle micro vibrazioni meccaniche a frequenza ultrasonica che lo generano. Le vibrazioni, che non sono visibili ad occhio nudo, a parità di efficenza di taglio, permettono il massimo controllo intraoperatorio rispetto alle altre tecniche chirurgiche.

    Il taglio selettivo è un’importante proprietà dello strumento piezoelettrico e consiste nel poter tagliare con efficacia i tessuti mineralizzati, senza ledere i tessuti molli. Quest’ultimi infatti, sono privi di una sufficiente durezza di superficie e quindi non offrono una adeguata resistenza meccanica all’azione di taglio.

    Il controllo chirurgico intraoperatorio è la risultante di molti fattori, ma, a parità di anatomia, dipende prevalentemente dalle caratteristiche di taglio dello strumento chirurgico utilizzato. Durante l’azione chirurgica, infatti, è importante che l’operatore abbia una buona sensibilità per sfruttare le ridotte vibrazioni meccaniche ed ottenere il taglio desiderato.

    L’effetto cavitazionale è quel fenomeno fisico determinato dal contatto della soluzione salina di raffreddamento con la superficie dell’inserto piezoelettrico che vibra a frequenta ultrasonica.

    Gli effetti clinici più interessati prodotti dall’effetto cavitazionale sono: ossigenazione tissutale, riduzione della perdita ematica, campo operatorio esangue, deterso e sterilizzato.

    Entrambe le tecniche adottate rappresentano una valida opzione terapeutica per la riabilitazione delle creste che presentano atrofia ossea di classe IV di Cawood & Howell: tutti i pazienti trattati sono stati riabilitati con successo e gli impianti hanno mostrato risultati analoghi a quelli riportati in letteratura.

    Sono state osservate differenze statisticamente significative utilizzando differenti approcci per la stessa tecnica chirurgica: l’inserimento immediato degli impianti (gruppo A) ha mostrato una minor perdita ossea rispetto all’utilizzo di cunei in acciaio chirurgico e l’inserimento di impianti a distanza di tre mesi dal primo intervento (gruppo B).

    Questo risultato clinico potrebbe in parte essere spiegato con il fatto che, nel gruppo A, gli impianti sono stati inseriti nell’immediato mentre, nel gruppo B, c’è stato un doppio trauma chirurgico dovuto in un primo momento al trauma dello split associato alla successiva osteotomia per la preparazione delle sedi implatari.

    L’utilizzo dei cunei prevede lunghi tempi di attesa e problemi nella gestione del paziente nel lungo periodo. Un’ulteriore problematica riscontrata è stata che non sempre la sede dei cunei corrisponde con quella del successivo inserimento implantare.

    L’utilizzo dei cunei è da preferire nel caso in cui non ci sia soddisfazione con l’espansione implantare; quindi in prima istanza si consiglia l’inserimento implantare contestualmente all’espansione ossea per ridurre gli insulti chirurgici.

    Conclusioni

    Con i limiti del presente studio, i dati raccolti mostrano risultati confortanti per l’utilizzo della tecnica di split crest associata al posizionamento degli impianti.

    Tuttavia sono necessari studi con un follow up più esteso e andrebbero valutati anche altri parametri, comparandoli, come per esempio con lo schema di riassorbimento osseo orizzontale o variazioni dei risultati estetici.

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    To cite:

    Mottola F., Manenti C., Quasso F., Tetè G. – Split crest con cunei in acciaio e split crest con inserimento implantare immediato: valutazione e predicibilità delle due tecniche chirugiche – Doctor Os 2018 – 29(3) 8-13

    Materials and methods:

    Twenty patients were enrolled in this study. Each patient had an oral edentulous area with Class IV atrophy according to Cawood & Howell. Each patient included in the study was assigned to one of the two intervention protocols by opening a closed envelope containing the intervention group during the surgery, after having separated the two cortices.

    Aim of the work:

    The aim was to investigate the marginal bone stability around dental implants inserted with two different techniques: split crest and Immediate Implant Insertion (Group A) and split crest using surgical steel wedges and implant insertion after three months from the first operation (Group B).

    Results:

    They underwent placement of 53 dental implants in edentulous region. Twenty-five dental implants (Group A) were placed after split-crest ridge expansion procedure and immediate loading and twenty-eight dental implants (Group B) were placed after split-crest ridge expansion procedure and the loading after three months. Crestal bone levels were measured at baseline and at 6 months after the implant placement. For each implant, vertical bone loss was measured: group A recorded 1,871 ± 0.201 mm; the group B 2,026 ± 0,218 mm.

    Conclusion:

    The collected data show encouraging results for the use of the split crest technique associated with implant placement. However, more extensive follow-up studies are needed and other parameters should be evaluated, comparing them, such as for example with the horizontal bone resorption scheme or changes in esthetic outcomes.