Perché documentare? Perché conservare?

Alcuni lettori ribadiscono la richiesta di chiarimenti sull’obbligo di conservazione della documentazione del paziente, sul dovere di consegna al paziente, sulle modalità di conservazione.
Rientriamo volentieri nel merito del quesito che, indubbiamente, affronta un argomento da sempre da noi ritenuto centrale nel rapporto tra medico e paziente.
Se infatti riconosciamo il ruolo di centralità in detto rapporto all’efficacia dello scambio informativo tra chi riceve la prestazione e chi la eroga (e ovviamente viceversa), pensiamo che il medico odontoiatra, in qualità di soggetto “competente”, abbia il dovere di salvaguardare detto rapporto nell’interesse di ambo le parti coinvolte. Già negli anni Novanta il codice deontologico dell’ADA (American Dental Association) riconosceva all’odontoiatra questo dovere/diritto di tutela del rapporto professionale.
Ammesso quindi questo compito di vigilanza e “protezione” da parte dell’operatore, ne deriva la necessità di mantenere tutte le tracce opportune dell’attività svolta sia in fase diagnostica che in fase terapeutica; non solo perché questa è la “storia” della terapia svolta, ma anche come strumento di rivalutazione “a distanza” degli interventi svolti.
La documentazione è di proprietà giuridica esclusiva del paziente: corrisponde infatti a dati personali e sensibili che l’odontoiatra conserva ma che, a richiesta dell’interessato (secondo le modalità dettate dal codice deontologico della FNOMCeO) consegna. Ne potrà trarre una copia, salvo diverso avviso del paziente che dovrà però in questo caso sottoscrivere una dichiarazione che attesti la richiesta di non conservazione della copia stessa, potrà consegnare allegando elenco dettagliato di quanto fornito e richiedendo sottoscrizione con firma della documentazione stessa.
Attenzione! Anche i manufatti precedentemente installati e rimossi andrebbero conservati ovvero consegnati al paziente! In recenti contenziosi (dove proprio si discuteva sulla congruità di esecuzione delle protesi precedenti) questo problema è stato dibattuto riaffermando che le protesi precedenti sono anch’esse di proprietà del paziente!
Quanto tempo conservare? Difficile rispondere in modo netto, giacché in teoria, utilizzando il confine della prescrizione della responsabilità contrattuale, il tempo minimo è dieci anni; ma da quando? Dalla fine della terapia? O da quando il paziente possa percepire una potenziale anomalia? (come afferma Cassazione). E se così fosse può questo aspetto determinare un criterio standard? Ovviamente no; ma nella nostra esperienza possiamo affermare che, dal momento della fine delle cure, dieci anni sono un tempo più che ragionevole.
Come conservare: in originale ciò che non può essere digitalizzato, modelli studio, cerature, radiografie analogiche eccetera; in copia tutto ciò che è copiabile, dalla cartella clinica ai file fotografici, radiografici eccetera. Se questa documentazione viene consegnata, può essere riprodotta con un sistema “chiuso”, un CD ad esempio, ovvero stampata ed autenticata con timbro firma e data di stampa.
È la documentazione che permette di ben ricostruire il percorso clinico e formale (preventivo, consenso, fatture eccetera), soprattutto tutto ciò che permetta di ricostruire la fase diagnostica pre cure. Nell’esame di un caso infatti, dal punto di vista odontologico forense, i passaggi preliminari obbligati sono relativi alla verifica dello stato “attuale” che consente di verificare se l’opera eseguita sia o meno conforme, è lo stato “anteriore” che consente di verificare la “provenienza” e soprattutto la validità della diagnosi e della proposta terapeutica iniziale.
Oggi, nei quesiti del Giudice, si fa riferimento, molto più che un tempo, allo stato anteriore, a quali fossero le terapie necessarie e se tutte siano state eseguite, con riferimento specifico e frequente al trattamento parodontale ed alla conformità alle linee guida o raccomandazioni cliniche.
Una cartella clinica adeguatamente compilata, immagini di supporto adeguate (e quindi neppure in eccesso) daranno l’immagine e la prova di un comportamento diligente, prudente e perito, ovvero consentiranno di concentrare l’attenzione, in caso di problema, sul problema reale e non su una generica contestazione del “tutto quanto eseguito”. ●

A cura di: Marco Lorenzo Scarpelli