L’evoluzione dell’endodonzia nel novecento: alcuni aspetti storici

endodonzia

La consacrazione definitiva dell’ endodonzia, è evidente, avviene nel secolo ventesimo: devesi notare come lo studio dell’istologia della polpa e della morfologia dei canali radicolari abbia senza dubbio portato a quello sviluppo vertiginoso che nel giro di pochi anni tale disciplina ha avuto.

Si può affermare senz’altro come gli studi di grandi anatomici e morfologi dell’epoca (odontoiatri e non), quali Purkinje, Hertwig, Waldeyer, Miller, Walkhoff, Kolliker, Gysi abbiano introdotto il metodo scientifico e sperimentale in odontoiatria.

Ci fu così l’inizio della differenziazione delle specialità odontostomatologiche, e fra queste l’endodonzia era quella che necessitava maggiormente di applicazione.

Ciò portò ad una dicotomia: odontoiatria sperimentale da un lato, odontoiatria pratica dall’altro che era ancora legata, anche per carenza di scuole e disposizioni legislative, alle teorie del passato.

I canali radicolari

Lo svizzero Gustav Preiswerk nel 1912 dimostrò, con una serie di preparati anatomici, la variabilità di numero, di forma e di percorso dei canali radicolari, mettendo in evidenza anche le frequenti anastomosi.

Nei medesimi anni anche il tedesco Guido Fisher compì analoghe indagini.

Nel 1913 gli italiani Gaetano Fasoli ed Alessandro Arlotta, dell’Istituto Stomatologico Italiano di Milano, pubblicarono i risultati di un loro lavoro sperimentale sulla morfologia dei canali radicolari con il metodo della diafanizzazione, che consentiva, dopo opportuni trattamenti di decalcificazione, di rendere trasparente il dente e di riempirlo con una soluzione di cinabro in modo da visualizzare i canali. Esso veniva poi osservato per transilluminazione.

Jasper, intorno agli anni venti e trenta, propose l’utilizzo dei coni d’argento per la chiusura dei canali radicolari dopo asportazione della polpa; la loro rigidità permetteva il loro inserimento fino all’apice del dente. Tuttavia presentavano lo svantaggio di una chiusura non completa, con il conseguente rischio di infezione.

Uno dei padri fondatori della moderna endodonzia è senza dubbio lo svizzero-tedesco
Walter Hess, fondatore della scuola odontoiatrica di Zurigo di cui furono poi esponenti Luigi Castagnola e Augusto Biaggi.

Innumerevoli i contributi da lui offerti in questo campo: ricorderemo le indagini istologiche sulla morfologia pulpare e sulla anatomia dei canali, dal 1917; l’introduzione del concetto di conservazione della polpa esposta con l’incappucciamento diretto con Calxyl, (già proposto da Hermann) materiale composto da idrossido di calcio, potassio e bicarbonato di sodio (1920 e seguenti); l’utilizzo di paste medicamentose per l’otturazione canalare dopo asportazione della polpa radicolare a base di clorofenolo, mentolo, timolo, argento.

Le sue tavole anatomiche raffiguranti la morfologia dei canali radicolari sono state punto di riferimento per intere generazioni di studiosi e di pratici.

Intorno agli anni venti del XX secolo, in Italia, un ruolo preminente nello sviluppo dell’endodonzia spetta alla scuola di Pavia, diretta da Silvio Palazzi, dal 1925 direttore dell’Istituto di odontoiatria dell’Università di Pavia.

I suoi contributi furono molteplici: innanzitutto propose il concetto di sterilizzazione di tutto lo strumentario endodontico e la realizzazione dell’intervento radicolare in asepsi.

Indagini radiologiche

È da ricordare che intorno al 1925, specie in Italia, le indagini radiologiche erano ancora poco diffuse, cosicché coloro che esercitavano la terapia radicolare non avevano possibilità di controllo sulla entità del processo patologico, né sui risultati terapeutici; il Palazzi propose una linea di condotta basata sul controllo radiografico pre e post-intervento.

L’impiego sistematico delle radiografie nella diagnosi e nel controllo dei denti trattati, già affetti da gravi lesioni periapicali, permise di valutare la possibilità di restituito ad integrum dopo una corretta terapia endodontica.

Palazzi introdusse, a tal proposito, in Italia, la colloid-terapia, vale a dire il trattamento e la medicazione dei canali con una sostanza composta di argento colloidale e iodoformio.
Ulteriori contributi vennero forniti da altri allievi di scuola pavese: Carlo Zerosi, Giovanni Amici e Antonio Baratieri.

Da segnalare gli studi sperimentali di Zerosi sull’impiego di antibiotici nella terapia dei canali settici, sul controllo batteriologico in terapia radicolare, sulla innervazione della polpa e della dentina, sulla detersione dei canali mediante lavaggi con apparecchi appositi.

Amici e Baratieri condussero indagini sulla fisiopatologia dei processi settico-degenerativi della polpa, sulla terapia biologica, sulla associazione enzimatico-antibiotica nella terapia canalare.

Approcci terapeutici innovativi

Di scuola pavese, anche se indipendente, può considerarsi anche l’odontoiatra svizzero Angelo Sargenti, ideatore del metodo N2 in terapia endodontica.

Tale metodo consisteva nell’utilizzo di un cemento canalare costituito da ossido di zinco, ossido di titanio, paraformaldeide, idrossido di calcio, solfato di bario, solfato di calcio.

Sin dagli anni cinquanta questa metodica ebbe una larga diffusione, ottenendo un buon successo anche per gli studi di ordine sperimentale compiuti dalla scuola di Pavia: ricordiamo le ricerche di Zerosi, Amici e Baratieri sul comportamento dei tessuti periapicali dopo pulpectomie e pulpotomie seguite da otturazioni del canale radicolare con N2.

Sempre intorno agli anni cinquanta Andrè Marmasse sostenne la validità della devitalizzazione con arsenico, attribuendo a quest’ultimo un’azione stimolante nella guarigione della ferita dopo pulpectomia.

In questo periodo vi furono anche indagini sperimentali da parte di Grossmann e della sua scuola relativamente all’utilizzo della penicillina, della streptomicina e della bacitracina e caprilato, che componevano una pasta chiamata PBSC, per la disinfezione dei canali radicolari; tali studi vennero ripresi anche da Palazzi e collaboratori in Italia.

Il francese Bernard, a partire dal 1952, ideò la terapia endo-ocalessica, consistente nell’utilizzo dell’ossido di calcio per l’otturazione canalare.

Tale tecnica prevedeva la possibilità di reazione del materiale con le molecole d’acqua presenti nei canali principali ed in quelli accessori, giungendo a zone non facilmente accessibili ed esercitando nel contempo un’azione antisettica.

Bonsack, negli anni cinquanta, propose l’incappucciamento indiretto della polpa con ossido di zinco-eugenolo ottenendo buoni risultati anche con polpe infiammate.

A partire dagli anni sessanta e per i successivi due decenni del ‘900, l’endodonzia era oramai una realtà ben consolidata nell’ambito delle discipline odontostomatologiche.

In questi anni vennero introdotte nuove tecniche, nuovi materiali, nuovo strumentario, nuove concezioni biologiche.

Ricordiamo ad esempio l’introduzione dei misuratori apicali, degli alesatori in acciaio a sezione triangolare (reamer), dei manipoli endodontici meccanici tipo Giromatic o Endomat; fra gli strumenti manuali menzioniamo lo spingipasta che porta il nome di Henry Lentulo, endodontista francese.

Schilder, nel 1967, propose la tecnica della condensazione verticale a caldo della guttaperca per otturazione dei canali; essa prevedeva un’accurata preparazione tronco-conica dei canali stessi, che presentano sezioni crescenti in senso coronale.

La guttaperca, che grazie al calore acquisisce plasticità, deve essere poi compattata nei canali precedentemente preparati.

Negli anni settanta McSpadden ideò il metodo di otturazione canalare della condensazione termomeccanica della guttaperca, che veniva resa plastica grazie ad uno strumento denominato Compactor. Quest’ultimo deve essere montato su un contrangolo, fatto ruotare a circa 8000 giri al minuto; in questo modo si genera il calore, per attrito, necessario a rendere la guttaperca malleabile, la quale viene contemporaneamente compattata.

Sempre sul finire degli anni settanta Johnson (1979) presentò la tecnica di otturazione canalare con Thermafil.

L’otturatore che porta questo nome è costituito da una struttura di vario materiale (acciaio o plastica) rivestito da uno strato di guttaperca.

Mediante un apparecchio apposito tale otturatore viene riscaldato ed immediatamente introdotto nel canale.

Intorno alla metà degli anni ottanta vennero poi introdotti gli strumenti rotanti in nichel-titanio, che consentirono di sostituire la strumentazione manuale.