Avulsione terzo molare inferiore semincluso con tecnica tradizionale

Extraction of the third mandibular molar using the traditional method

Fig. 1a, 1b Esame clinico intraorale: elemento 3.8 in seminclusione mucosa.
Scopo del lavoro:

L’obiettivo del presente articolo è quello di presentare ogni singola fase per l’approccio chirurgico, tramite tecnica tradizionale, al terzo molare inferiore e alla enucleazione della cisti follicolare correlata, dalla pianificazione chirurgica fino alla gestione delle più comuni complicanze.

Materiali e metodi:

È stato eseguito lo studio e il trattamento di un caso clinico in cura presso il Dipartimento di Odontoiatria, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano (Direttore prof. E. Gherlone). Il paziente è stato inserito in un protocollo operativo e seguito durante l’iter diagnostico, terapeutico e durante il periodo di follow-up.  All’analisi clinica è stata affiancata una revisione narrativa della letteratura scientifica.

Risultati:

Il caso clinico descritto ha mostrato, durante il periodo di follow-up, un’ottima guarigione dei tessuti molli e duri, un’ampia accettazione da parte del paziente e non sono state osservate complicanze postoperatorie.

Conclusioni:

Il successo clinico dell’intervento chirurgico e la sua predicibilità, quindi, sono resi possibili da diversi elementi quali una corretta diagnosi preoperatoria, una scelta razionale degli strumenti chirurgici, una tecnica chirurgica minimamente invasiva e a prescrizioni di indagini strumentali pertinenti.

Introduzione

L’estrazione degli elementi dentari inclusi o seminclusi è una procedura molto frequente nell’ambito della chirurgia orale. Questa pratica può essere relativamente facile o estremamente impegnativa in relazione a numerose variabili legate all’elemento da estrarre (localizzazione, morfologia della corona dentale e delle radici, profondità e tipo di inclusione, eccetera). Da un punto di vista statistico, il sesso femminile viene maggiormente interessato da inclusioni dentarie. In ordine di frequenza le inclusioni coinvolgono: il terzo molare inferiore; il terzo molare superiore; il canino superiore; il premolare inferiore; il premolare superiore; il canino inferiore; l’incisivo centrale superiore; l’incisivo laterale superiore (1). L’eruzione dentaria è di norma un processo fisiologico che avviene attraverso stadi odontogenetici predeterminati. Un ostacolo al processo eruttivo può condurre a gradi diversi di disodontiasi: dal malposizionamento all’inclusione parziale o totale degli elementi dentari (2).

I terzi molari mandibolari sono frequentemente inclusi, o seminclusi, a causa del poco spazio esistente tra la porzione distale del secondo molare e il bordo anteriore del ramo mandibolare. Possono essere asintomatici o correlati ad altre patologie quali carie, pericoronariti, cisti, tumori e riassorbimenti radicolari di denti adiacenti. Interessante è osservare una progressiva evoluzione della specie, in cui i diametri maxillo-mandibolari si riducono, in accordo con una dieta più morbida, per cui l’apparato masticatorio viene sempre meno coinvolto. Per l’estrazione dei denti del giudizio inferiori seminclusi o inclusi è necessario eseguire un corretto inquadramento preoperatorio che permetta di affrontare la chirurgia in modo sicuro. Svariate classificazioni, fondate prevalentemente sulle immagini radiografiche, sono state proposte nel corso degli anni da diversi autori (3,4). Le classificazioni maggiormente utilizzate sono quella di Winter (5) e le due di Pell e Gregory, che prendono in esame tre parametri: l’angolazione dell’elemento incluso, la posizione di quest’ultimo rispetto alla branca montante della mandibola e la sua profondità di inclusione rispetto al piano occlusale dei denti adiacenti. L’inquadramento secondo tale modello classificativo è in grado di guidare l’operatore nella scelta del tipo di lembo e nella programmazione dell’ostectomia e dell’odontotomia. In particolare, la classificazione di Winter permette di determinare l’angolazione di inclusione del terzo molare in rapporto all’asse del secondo. Si possono quindi distinguere gli elementi mesio-inclinati che sono i più frequenti e presentano un grado di difficoltà in media minore; seguono, in ordine di frequenza, gli elementi in inclusione orizzontale e gli elementi normo-inclinati; per ultimi, gli elementi disto-inclinati statisticamente sono i meno frequenti e, in genere, i più impegnativi da affrontare. Pell e Gregory hanno basato la loro classificazione sulla profondità di inclusione e sul rapporto che il terzo molare incluso ha con il ramo mandibolare. In base alla profondità di inclusione si classificano: elementi seminclusi, o in classe A, che presentano il piano occlusale a livello di quello dei secondi molari; elementi in inclusione ossea parziale, o in classe B, la cui porzione coronale è coperta completamente dalla mucosa ma si presenta in parte al di fuori dalla cresta ossea; elementi in inclusione ossea totale, o in classe C, che sono interamente compresi all’interno dell’osso mandibolare. Il livello di difficoltà dell’operazione è chiaramente maggiore per questi ultimi. Il rapporto del terzo molare incluso nei confronti della branca montante della mandibola viene inserito in classe I se tutta la corona è posizionata anteriormente rispetto al ramo mandibolare, in classe II se circa la metà della corona dell’ottavo è sovrapposta alla branca montante e in classe III se la branca montante è completamente anteriore all’elemento incluso (6).

MATERIALI E METODI

È stato eseguito lo studio e il trattamento di un caso clinico in cura presso il Dipartimento di Odontoiatria, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano (Direttore prof. E. Gherlone). Il paziente è stato inserito in un protocollo operativo e seguito durante l’iter diagnostico, terapeutico e durante il periodo di follow-up. All’analisi clinica è stata affiancata una revisione narrativa della letteratura scientifica.

Valutazioni preoperatorie (esame clinico e radiografico)

Risulta di fondamentale importanza eseguire una corretta pianificazione dell’intervento che consenta, da una parte, di ridurre al minimo il rischio di complicanze e, dall’altra, di poter gestire queste ultime in modo corretto, sempre con il minor costo biologico per il paziente. La fase chirurgica vera e propria deve essere preceduta da un’attenta anamnesi per valutare lo stato di salute generale del paziente. L’esame clinico accurato consente di determinare il grado di accessibilità al sito operatorio; nell’esame obiettivo del cavo orale, l’ispezione e la palpazione possono aiutare ad avvertire protuberanze al di sotto della mucosa in grado di guidare l’operatore verso la localizzazione dell’elemento dentario incluso o semincluso. L’indagine radiografica, tradizionale o tridimensionale, è dirimente in quanto permette di acquisire informazioni dettagliate riguardo all’area di interesse (7).

Fig. 2 Ortopantomografia (indagine radiografica di I livello): elemento 3.8 in seminclusione ossea. Fig. 3 TC cone beam: cross section (indagine di II livello).

L’ortopantomografia rappresenta l’esame radiografico di routine dal quale non si può prescindere se si vuole pianificare correttamente l’intervento. La vicinanza dell’elemento dentario semincluso al canale mandibolare, e quindi al decorso del nervo alveolare inferiore, è un fattore che può determinare difficoltà maggiori durante l’estrazione e allungare i tempi dell’intervento. Eventuali variazioni radiografiche del decorso del canale mandibolare, evidenziabili nelle radiografie panoramiche, possono essere indicative di una stretta correlazione dell’elemento dentario con il canale stesso. In particolare, nell’immagine radiografica talvolta è evidenziabile una fascia più radiotrasparente in corrispondenza degli apici radicolari; tale riscontro rappresenta la stretta vicinanza delle radici al fascio vascolo-nervoso. Altri segni radiologici di contiguità tra il dente e il fascio vascolo-nervoso possono essere il restringimento o l’interruzione del bordo superiore del canale mandibolare, così come la presenza di un’intaccatura a livello degli apici radicolari del terzo molare. Quindi l’ortopantomografia è l’esame di prima scelta per la diagnosi e la pianificazione chirurgica nell’estrazione dei denti. Di contro, si possono ottenere immagini solamente sul piano verticale e talvolta si può verificare una distorsione anche minima dovuta a una rotazione standard dell’apparecchiatura che può ridurre l’accuratezza delle informazioni. Infatti, l’elevata definizione di immagine offerta dai sistemi volumetrici, quali la tomografia computerizzata cone beam e la risonanza magnetica nucleare, permette di evidenziare nel dettaglio i rapporti tra elementi dentali e strutture anatomiche di rispetto e trova applicazione diagnostica nei casi in cui gli esami radiografici tradizionali si dimostrano insufficienti. La TC cone beam è una metodica a bassa emissione di radiazioni che permette di ottenere immagini tridimensionali visualizzando i rapporti tra semincluso e strutture contigue in campi di dimensione limitata. Tale indagine consente, soprattutto con le scansioni parassiali, la localizzazione tridimensionale e in scala 1:1 del canale mandibolare e la visualizzazione del suo reale rapporto con le radici del dente. Nel caso clinico qui presentato, alla paziente, giunta alla nostra osservazione presso il Dipartimento di Odontoiatria, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano (Direttore prof. E. Gherlone), dopo aver svolto un accurato esame clinico intraorale, che ha rivelato una seminclusione mucosa dell’elemento 3.8 (fig. 1 a-b), abbiamo effettuato anche indagini radiografiche sia di I livello, l’ortopantomografia (fig. 2), e sia di II livello, TC cone beam (fig. 3) dato il rapporto di contiguità della porzione radicolare dell’elemento con il fascio vascolo-nervoso del NAI (nervo alveolare inferiore).

La paziente in esame è una donna di anni 26, studentessa universitaria, fumatrice (10 sigarette al giorno), che mostra un’anamnesi negativa per qualsiasi tipo di patologia e/o allergia in atto o pregressa e gli unici farmaci da lei assunti sono integratori alimentari e vitamine.  L’esame clinico e radiografico accertano una seminclusione sia mucosa che ossea dell’elemento 3.8, classe “d” secondo Winter e classe “I a” secondo Pell e Gregory.

Atto chirurgico 

Prima di procede, alla paziente è stato spiegato il tipo di intervento, fornendo informazioni in maniera dettagliata ed esposte in modo comprensibile. Alla paziente è stato, quindi, consegnato un consenso informato che autorizzi all’esecuzione dell’intervento stesso. Una volta acquisito il consenso informato, alla paziente sono stati fatti eseguire sciacqui con collutorio a base di clorexidina 0,20% allo scopo di diminuire la carica batterica intraorale.

Anestesia 

Si effettua, quindi, anestesia tronculare del nervo alveolare inferiore e del nervo buccale. Si rinforza l’effetto con anestesia plessica a livello del fornice vestibolare tra 2° e 3° molare, nella regione retromolare e allo stesso modo nella regione linguale. L’anestetico scelto è articaina con adrenalina nel rapporto 1:100000, per la plessica e senza adrenalina per la tronculare. Tutte le sostanze anestetiche utilizzate agiscono interrompendo la conduzione dello stimolo nervoso lungo la fibra a livello dei nodi di Ranvier, prevenendo il processo di depolarizzazione e bloccando il passaggio ionico.

Incisione e scollamento del lembo 

Viene eseguita, tramite bisturi Parker con lama 15c, una incisione marginale intrasulculare con preservazione della papilla e una incisione di svincolo disto-vestibolare, con una mobilizzazione a spessore totale del tessuto, generando un lembo triangolare (Fig. 4 a, b). Si procede con lo scollamento del lembo, tramite dissezione con scollatore a 45°, al fine di esporre la superficie ossea (Fig. 5). L’accesso viene perciò effettuato attraverso un lembo a spessore totale dalla zona disto-vestibolare dell’elemento dentale 3.8 fino all’elemento 3.6, il più possibile conservativo ma che permetta un accesso in visione diretta per le manovre chirurgiche di estrazione dell’elemento dentario in esame.

Fig. 4a, 4b Allestimento lembo triangolare.

La progettazione del lembo deve essere effettuata preoperatoriamente a seconda della posizione del terzo molare. In generale, quando si disegna il lembo si devono rispettare i seguenti principi: accesso chirurgico visivo e strumentale adeguato, una buona visibilità infatti consente di eseguire in modo controllato e sicuro le manovre chirurgiche finalizzate all’estrazione, quali l’ostectomia e l’odontotomia; adeguata distanza dalle strutture anatomiche circostanti. Il nervo linguale decorre circa 2,5 mm medialmente e inferiormente alla cresta alveolare, anche se in alcuni casi è situato al di sopra della cresta linguale o direttamente nei tessuti molli del trigono retromolare. Per evitare lesioni neurologiche, l’incisione distale deve essere diretta di 45° in direzione buccale rispetto alla linea che collega le fosse centrali dei molari. L’arteria facciale incrocia invece il bordo inferiore della mandibola all’altezza dei molari e prosegue verso l’alto nello spessore della guancia. Un’incisione verticale di scarico nella zona del settimo può lesionarla se viene superato il fondo del fornice vestibolare; corretto riposizionamento del lembo e agevole sutura.

Fig. 5 Mobilizzazione a spessore totale del lembo che permette un accesso in visione diretta al sito operatorio. Fig. 6 Ostectomia elemento dentario 3.8 utilizzando fresa ossivora multilama montata su manipolo dritto.

Una volta effettuata l’incisione, si procede con lo scollamento a tutto spessore del lembo iniziando dal tratto di incisione più anteriore.  Una qualche resistenza nello scollamento del periostio si può incontrare distalmente al settimo dove il lembo può comprendere una parte dell’inserzione del rafe pterigomandibolare. Dopo avere scollato il lembo nella sua interezza, si inserisce vestibolarmente il divaricatore tra lembo e linea obliqua esterna, al fine di proteggere l’arteria facciale durante le successive manovre. Non si allestisce invece nessun lembo sul versante linguale. La protezione di questo versante viene effettuata semplicemente appoggiando lo scollatore sul versante distale e linguale per evitare lesioni del nervo linguale.

Ostectomia 

Utilizzando delle frese ossivore multilama montate su manipolo dritto chirurgico, è stata effettuata l’ostectomia (fig. 6), al fine di esporre maggiormente la corona dell’elemento dentario, superando il suo equatore, e renderne possibile la lussazione. Quindi la finalità dell’ostectomia è quella di esporre la corona dell’elemento fino, o oltre, la giunzione amelo-cementizia. Questa fase chirurgica risulta di estrema importanza: un’insufficiente rimozione di tessuto osseo, infatti, può rendere estremamente difficoltosa l’estrazione, dilatando i tempi operatori e creando grossi disagi al paziente. Per l’ostectomia è consigliato l’utilizzo di un manipolo diritto con un torque elevato, a basso numero di giri e con irrigazione di soluzione fisiologica. Le frese più comunemente utilizzate sono a fessura in carburo di tungsteno. In caso di inclusione parziale si asporta solamente una quantità di osso tale da consentire l’inserimento di una leva che permetta di lussare l’elemento da estrarre. La rimozione di tessuto osseo non deve mai interessare il versante linguale al fine di evitare lesioni al nervo linguale.

Fig. 7a, 7b Odontotomia elemento 3.8 tramite fresa a fiamma diamantata montata su turbina.

Odontotomia ed estrazione 

Risulta necessario nella maggioranza dei casi eseguire l’odontotomia, ossia la separazione dell’elemento dentario al fine di consentirne l’estrazione. Dopo l’ostectomia, quindi, si prosegue con la coronotomia e l’odontotomia, tramite fresa a fiamma diamantata montata su turbina per favorire la mobilizzazione dell’elemento (fig. 7 a, b) e, attraverso la lussazione, si ottiene l’avulsione dei frammenti, seguita dall’enucleazione della lesione cistica distale. Questa poi, è stata inviata al laboratorio per l’esame istopatologico. Grazie all’ausilio di leve dritte e curve, l’elemento dentario è stato prima lussato e poi estratto con pinze da estrazione (fig. 8).

Fig. 8 Elemento 3.8 estratto con contestuale enucleazione della lesione cistica distale.

L’inserimento di una leva dritta nella breccia creata dalla fresa permette, grazie a un movimento rotatorio, di completare la separazione per frattura della piccola porzione di tessuto dentale ancora integro. Durante le manovre di avulsione, si è cercato di rispettare il più possibile i tessuti del paziente, riducendo al minimo il sacrificio di tessuto osseo. È fondamentale ricordare che prima di procedere con l’estrazione il dente deve essere sempre ben lussato. Una volta che, poi, l’elemento appare lussato adeguatamente, si procede con l’estrazione dei frammenti coronali e radicolari. Durante l’odontotomia non si deve mai affondare la fresa completamente nella parte di dentina e smalto del dente rivolte verso la parete linguale. Allo stesso modo l’utilizzo della fresa per ulteriori separazioni di frammenti coronali o radicolari deve essere ben controllato quando ci si dirige verso lo spazio parodontale del secondo molare o si è molto vicini al canale mandibolare. Anche e soprattutto durante questa fase è raccomandato proteggere con appositi strumenti chirurgici i tessuti molli e il labbro per non rischiare che siano lacerati rispettivamente dalla punta o dal gambo degli strumenti rotanti. Nello specifico, il tipo di sezioni che si vanno a effettuare con la fresa a carico dell’elemento da estrarre sono in relazione con il tipo di angolazione che questo elemento presenta e con la morfologia radicolare. L’estrazione si completa con l’utilizzo di leve diritte o leve angolate che consentono di lussare, con forze controllate, l’elemento da estratte o i frammenti residui. Nel caso in cui la lussazione non sia efficace, prima di proseguire nell’estrazione con l’utilizzo di pinze, è meglio ampliare l’ostectomia o effettuare ulteriori separazioni radicolari per poi riprendere con i movimenti di lussazione. Forze non controllate vanno comunque sempre evitate perché possono determinare fratture radicolari difficilmente gestibili o in casi peggiori la frattura della mandibola.

Revisione della cavità post-estrattiva e sutura 

Viene eseguita la revisione della cavità alveolare e una volta completato il curettage dell’alveolo, tramite cucchiai alveolari, si irriga abbondantemente la cavità con soluzione fisiologica al fine di rimuovere tutti gli eventuali residui tissutali (fig. 9 a, b). Dopo che tutti i frammenti di tessuto molle sono stati rimossi, si ottiene il controllo dell’emostasi tramite spugna di collagene per la stabilizzazione del coagulo e sutura non riassorbibile. Dopo, quindi, il corretto posizionamento dei lembi, è stata effettuata la sutura in seta 3/0, solo nella parte distale del lembo. La parte mesiale del lembo è stata semplicemente riaccostata alle papille gengivali, al fine di avere una via di minore resistenza dell’essudato infiammatorio e ridurre quindi l’eventuale edema e gonfiore del paziente.

Fig. 9a, 9b Revisione cavità post-estrattiva.

Gestione postoperatoria 

Appena terminato l’intervento si comprime la ferita con un tampone di garza e si consegna al paziente una confezione di ghiaccio sintetico da tenere sulla guancia. Viene prescritta la terapia antibiotica (amoxicillina 1gr 2 volte al dì x 6 gg), antidolorifica (tachipirina 1gr al bisogno) e terapia antisettica fino alla completa guarigione mucosa (collutorio clorexidina 0,2% bis in die). È consigliabile trattenere il paziente per qualche minuto per accertarsi dell’avvenuta emostasi prima di dimetterlo. Quindi vengono fornite al paziente le istruzioni postoperatorie; si dimette il paziente in terapia farmacologica domiciliare e controllo ambulatoriale.  È sempre opportuno avvisare preventivamente il paziente che è possibile la comparsa di lieve sanguinamento, dolore moderato, ecchimosi e gonfiore nella zona operata e anche una riduzione dell’apertura della bocca. In particolare, ecchimosi e gonfiore possono manifestarsi non nell’immediato postoperatorio quanto nella seconda o terza giornata post-intervento per poi diminuire gradualmente. È vietato fumare e assumere alcool per almeno le prime 24 ore. Si consiglia, inoltre, di evitare l’esercizio fisico soprattutto se intenso per i primi giorni e durante il riposo la testa deve essere sempre mantenuta sollevata rispetto al corpo per le prime 24 ore. La dieta deve essere semiliquida e fredda per il primo giorno e, in aggiunta, è consigliabile evitare cibi con briciole o semi; inoltre, si avvisa il paziente di cercare di masticare esclusivamente dal lato opposto all’area operata. L’igiene orale deve essere effettuata con uno spazzolino morbido, mentre l’area operata deve essere detersa solo mediante l’uso del collutorio a base di clorexidina. Bisogna avvisare il paziente di evitare di sciacquare e sputare in modo tale da prevenire la rottura del coagulo con conseguente sanguinamento.

Controllo 

Fig. 10 Controllo a 10 giorni dall’intervento chirurgico.

La paziente è stata richiamata 10 giorni dopo l’intervento per un controllo (fig. 10). Il controllo a 10 giorni dall’intervento ha mostrato l’assenza di dolore e gonfiore postoperatorio e una buona guarigione del tessuto mucoso, per cui è stata eseguita la rimozione della sutura. Il decorso postoperatorio è stato regolare e non è stata osservata alcuna complicanza.  Il referto dell’esame istologico ha confermato l’ipotesi diagnostica di cisti follicolare. Nel controllo a 30 giorni non è presente gonfiore, i tessuti appaiono privi di infiammazione, la guarigione appare buona e non sono state osservate complicanze post-operatorie. A 6 mesi sono stati eseguiti un controllo clinico ed una radiografia endorale, per controllare la guarigione. Non risultano sondaggi parodontali distali al 3.7 e radiograficamente si può apprezzare la mineralizzazione nella sede estrattiva.

Potenziali complicanze intra e postoperatorie 

Qualsiasi intervento chirurgico non è scevro da complicanze più o meno gravi. L’abilità del chirurgo risiede nel saper prevenire e gestire nel modo più opportuno le complicanze stesse. Si possono verificare diversi fenomeni: 

  • il dolore postoperatorio è spesso presente se l’estrazione è stata particolarmente indaginosa. Una terapia antidolorifica iniziata subito dopo l’intervento, nel momento in cui è ancora presente l’anestesia, rende la sintomatologia meno intensa. I farmaci utilizzati maggiormente per il trattamento del dolore postoperatorio sono gli antinfiammatori non steroidei e i corticosteroidi;
  • lesioni iatrogene a carico del nervo alveolare inferiore e del nervo linguale: il paziente deve essere correttamente informato sul rischio di incorrere in una lesione neurologica che può dare luogo ad anestesia o parestesia della regione di interesse; nella maggior parte dei casi questi disturbi sono comunque reversibili entro due anni dall’intervento. Un’attenta valutazione preoperatoria e una corretta gestione di tutte le fasi chirurgiche riduce il rischio di creare lesioni neurologiche (8).

Da un punto di vista classificativo, si distinguono tre gradi di lesione con prognosi differenti: neuroprassia, che consiste nella temporanea interruzione della conduzione nervosa per compressione o stiramento del nervo e ha un periodo di regressione di circa 3 settimane senza alcun trattamento; assonotmesi, che prevede un’interruzione a livello della membrana mentre il tessuto stromale rimane integro. Anche in questo caso si assiste a una ripresa funzionale entro i 6 mesi; neurotmesi, che è l’interruzione completa dell’assone. Non vi è possibilità di ripresa funzionale e si necessita del trattamento neurochirurgico. Ognuno di questi eventi può determinare l’insorgenza di sintomi quali parestesia (alterata sensibilità nel territorio di innervazione), disestesia (alterata sensibilità associata a dolore), anestesia (assenza di sensibilità) o iperestesia (accentuata sensibilità).

L’incidenza riportata dalla letteratura per quanto concerne le complicanze neurologiche del nervo alveolare varia dallo 0,26% all’ 8,4% (9), mentre per il nervo linguale varia dallo 0% al 23% per il danno temporaneo e dallo 0% all’ 8% per il danno permanente (10).

  • Emorragia: quando si verifica una lesione a carico dei tessuti spesso si determina una lacerazione di strutture vascolari di piccola-media entità che provoca, però, un sanguinamento fastidioso con difficoltà di visione dell’area chirurgica. In genere, a livello dei tessuti molli la semplice compressione con una garza fa cessare il sanguinamento. Si possono utilizzare, in aggiunta, spugne di fibrina o sostanze emostatiche (fiale di acido tranexamico). Per i pazienti in terapia anticoagulante è utile richiedere, in fase preoperatoria, esami ematochimici mirati (INR, PT, PTT) ed eventualmente consultare il medico specialista del paziente. Emorragie più importanti si hanno in caso di lesione dell’arteria facciale, l’emorragia che ne deriva non è controllabile con mezzi locali, ma si deve procedere con la legatura dell’arteria.
  • L’alveolite del sito postestrattivo è una delle complicanze postoperatorie che si presentano con maggior frequenza (circa il 20% dei casi). Il fumo e alcuni farmaci tendono ad aumentarne l’incidenza. Per prevenire questa complicanza possono essere utili uno sciacquo preoperatorio con un collutorio a base di clorexidina allo scopo di ridurre la carica batterica nel campo operatorio, abbondanti irrigazioni di soluzione fisiologica nell’alveolo postestrattivo e il posizionamento topico di piccole quantità di antibiotico in fiala. Il trattamento dell’alveolite consiste in irrigazioni del sito e nel delicato raschiamento delle pareti alveolari al fine di creare sanguinamento e la formazione di un nuovo coagulo.
  • La frequenza varia dallo 0,3% al 26% (11-13).
  • Fratture ossee: sono complicanze correlate principalmente all’applicazione di forze eccessive e alla presenza di osso alveolare particolarmente denso. Nella maggior parte dei casi interessano il processo alveolare e, più raramente, anche l’osso basale.
  • È stato riportato che l’incidenza di frattura mandibolare durante o dopo la rimozione del terzo molare è pari allo 0,0049% (14).
  • Enfisema: l’utilizzo della turbina o l’insufflazione di aria con la siringa aria-acqua possono portare alla formazione dell’enfisema sottocutaneo che è dato da una raccolta d’aria nel tessuto connettivo che distende la cute sovrastante. Si manifesta come una tumefazione di dimensioni anche importanti; la cute appare normale per colore e temperatura.
  • Edema e infezione: l’edema si può facilmente presentare dopo l’estrazione di un elemento dentario indaginoso, in particolare in seconda e in terza giornata. Un’infezione della ferita chirurgica, invece, è di norma più rara. 
  • È stato riportato che le infezioni postoperatorie dopo la rimozione del terzo molare variano dallo 0,8% al 4,2% (15-17).
  • Dislocazione dentaria: un ottavo inferiore o una sua parte può essere accidentalmente dislocato nelle aree anatomiche circostanti. I terzi molari mandibolari possono essere dislocati iatrogenicamente negli spazi sublinguale, sottomandibolare, pterigomandibolare e faringeo laterale (18-21).
  • Lussazione dell’articolazione temporo-mandibolare: una relazione causale tra l’estrazione dei terzi molari e la lesione temporo-mandibolare ha attualmente scarso supporto in letteratura. È stato suggerito che poiché la procedura di estrazione dei terzi molari mandibolari prevede che il paziente apra la bocca per un lungo periodo di tempo ed eserciti una forza variabile sulla mandibola, è possibile che nei pazienti predisposti si possa manifestare una lussazione dell’articolazione temporo-mandibolare che consiste nella dislocazione del condilo anteriormente all’eminenza articolare con conseguente impossibilità del paziente a chiudere spontaneamente la bocca (22).

CONCLUSIONI

L’estrazione del terzo molare mandibolare è uno degli interventi più frequenti nella chirurgia orale. Ed è spesso associato a complicanze più o meno gravi, ma grazie alla corretta conoscenza dell’anatomia, ad un’attenta valutazione radiologica ed alla scelta di una tecnica operatoria standardizzata, i potenziali rischi, sia intra che post operatori, si riducono notevolmente. Il successo clinico dell’intervento chirurgico, quindi, è reso possibile da diversi elementi quali una corretta diagnosi preoperatoria, una scelta razionale degli strumenti chirurgici, una tecnica chirurgica minimamente invasiva e a prescrizioni di indagini strumentali corrette, come l’ortopantomografia e la tomografia computerizzata cone beam. Il caso presentato, affiancato da una revisione narrativa della letteratura scientifica, vuole essere esemplificativo di un approccio chirurgico che, in relazione allo studio clinico del caso e alle conoscenze dell’operatore, può essere attuato al fine di limitare eventuali complicanze chirurgiche ed ottenere risultati clinici predicibili.

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Materials and methods:

The study and treatment of a clinical case under treatment at the Dipartimento di Odontoiatria, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano (Direttore prof. E. Gherlone) was performed. The patient was included in an operational protocol and followed during the diagnostic and therapeutic process and during the follow-up period. The clinical analysis was accompanied by a narrative review of the scientific literature.

Aim of the work:

The aim of this article is to present every single step for the surgical approach, using traditional techniques, to the lower third molar and to the enucleation of the related follicular cyst, from surgical planning to the management of the most common complications.

Results:

The clinical case described showed, during the follow-up period, excellent healing of soft and hard tissues, a wide acceptance by the patient and no postoperative complications were observed.

Conclusion:

The clinical success of the surgery and its predictability, therefore, is made possible by various elements such as a correct preoperative diagnosis, a rational choice of surgical instruments, a minimally invasive surgical technique and the prescriptions of relevant instrumental investigations.