scopo del lavoro
Innumerevoli sono le metodiche chirurgiche per ricostruire i danni dovuti alla perdita dei denti, ma spesso esse sono indaginose, costose e poco predicibili. Si propone una tecnica di facile utilizzo che permette in tempi brevi di risolvere problemi legati a difetti osteo-mucosi che frequentemente l’odontoiatra si trova ad affrontare.
Materiali e metodi
Vengono descritti i principi tecnici ed il protocollo operativo della tecnica Flying Bone.
Risultati e Conclusioni
Superando i limiti delle tecniche di bone splitting, la Flying Bone si pone come valida alternativa a metodiche complesse, costose e di dubbio successo, offrendo in termini di velocità e predicibilità notevoli vantaggi sia per il professionista che per il paziente. Tutte le tecniche di espansione ossea hanno come vincolo almeno 3 mm di spessore osseo residuo e possono risolvere solo difetti orizzontali. La Flying Bone supera questi limiti, basandosi sulla mobilitazione e la rotazione di lembi osteomucosi e sulla successiva guarigione per seconda intenzione per ottenere in un unico tempo la correzione sia dei tessuti duri che di quelli molli. Ormai eseguita con successo da 15 anni, ha aperto la strada ad innumerevoli sue applicazioni, che sorprendono per versatilità e successo.
Negli ultimi anni c’è stato un ritorno al passato nell’approccio all’implantologia.
Così come negli anni Settanta l’implantologia era di tipo adattativo, oggi si tende sempre più a sfruttare l’osso basale e a non eseguire tecniche d’incremento, poiché esse si sono dimostrate negli anni non sempre durature e vantaggiose (1, 2, 3), oltre a richiedere tempi di degenza e di attesa che fanno lievitare i costi rendendo tali interventi oggi applicabili ad un numero sempre minore di individui.
Quando c’è un problema estetico, funzionale o la totale impossibilità a inserire impianti per la mancanza d’osso, bisogna necessariamente ricorrere a tecniche di aumento dei tessuti duri, che permettono di ottenere diametro e posizione emergente dell’impianto, rapporto impianto-osso e tessuti duri-molli perimplantare ideali, migliorando, in definitiva, la stabilità biomeccanica del sistema impianto-osso-mucosa.
Esiste una lunga lista di procedure chirurgiche finalizzate a ciò, utilizzate l’una rispetto all’altra non per evidenze scientifiche o reali indicazioni, ma per consuetudini cliniche o riscontri commerciali.
Esse comunque dovrebbero rispondere a semplici obiettivi: efficacia, predicibilità e costi biologici ed economici contenuti. La scelta nasce quindi da reali necessità e la loro applicazione da una valutazione ponderata ed erudita, piuttosto che legata a scuole di pensiero.
È stato stabilito che “il successo implantare non può precludere dall’inserimento di una protesi funzionale ed estetica soddisfacente sia per il paziente che per il dentista” (1).
La dichiarazione di cui sopra pone l’accento sull’idea che il posizionamento dell’impianto, oltre ad essere “protesicamente guidato” (2), deve permettere alla protesi di integrarsi con successo all’anatomia delle aree adiacenti.
Tale valutazione deve includere il complesso osso-mucosa-gengivale (OMG), oltre che il restauro protesico.
Il grado di successo, quindi, si riferisce non solo all’integrazione funzionale dell’impianto, ma anche all’aspetto anatomico complessivo che deriva dagli sforzi ricostruttivi per correggere i danni creati dalla perdita dei denti (3, 4, 5).
Il risultato “ideale” dovrebbe includere le seguenti caratteristiche:
- volume osseo che permette un impianto di dimensioni adeguate, collocato nella posizione più favorevole;
- mucosa alveolare e gengiva cheratinizzata di adeguata dimensione, volume e colore in corretta relazione anatomica con la protesi e i tessuti adiacenti;
- papille interprossimali della forma corretta al giusto livello;
- giunzione muco-gengivale confluente con i siti adiacenti;
- presenza anche di bozze radicolari ove necessario;
- restauro protesico appropriato in forma, profilo di emergenza e colore;
- infine, ma non ultima, la manutenzione a lungo termine e la stabilità dei risultati.
Se uno o più di queste caratteristiche non è soddisfacente, sarà compromesso il risultato finale (1).
Le tecniche rigenerative puntano a far riformare ex novo i tessuti persi, focalizzando l’attenzione su quelli duri e spesso stravolgendo l’anatomia di quelli molli. Solo in una seconda fase chirurgica si cerca di rimediare ai danni subiti da essi con risultati spesso non ottimali (6).
Il rimodellamento osseo permette di utilizzare il tessuto già presente modificandolo. Il punto di riferimento tra le tecniche di bone splitting che si basano su questi principi è sicuramente la Morphogenic Bone Splitting (MBS) (7).
Essa produce una restaurazione morfologica del complesso osso-mucosa-gengivale perimplantare, trattando tessuti duri e molli in un’unica fase chirurgica e utilizzando il processo di inserimento dell’impianto come parte della tecnica di rimodellamento stessa.
La MBS non considera l’impianto semplicemente come un mezzo per l’ancoraggio protesico, piuttosto lo impiega come un dispositivo attraverso il quale pianificare, realizzare e stabilizzare le modifiche anatomiche previste (7). Essa permette un intervento in un tempo sul complesso osteo-mucoso, la possibilità di sfruttare la guarigione per seconda intenzione, l’emergenza implantare protesicamente corretta, nessun uso di membrane e come timing solitamente in una fase.
Le indicazioni sono le prime quattro classi descritte da Cawood e Howell (8), difetti quindi orizzontali, in cui vi è la presenza di una cresta ossea di almeno 10 mm in altezza e 3/4 mm di spessore.
Il presente articolo descrive la Flying Bone quale tecnica originale che si prefissa di superare le indicazioni della MBS, pur utilizzando con precisione le medesime procedure operative.
MATERIALI E METODI
L’obiettivo della Flying Bone è l’aumento del volume del complesso OMG nel sito implantare, permettendo di risolvere deficit ossei non altrimenti risolvibili, se non con tecniche complesse e non predicibili (3), in una singola sessione chirurgica o al massimo due.
La Flying Bone permette di superare i vincoli degli allargamenti ossei con la risoluzione di casi anche molto complessi in modo mini invasivo ed in tempi rapidi.
Indicazioni
Difetto osseo orizzontale e/o verticale minore di 3 mm intercalato tra elementi dentari e/o in prossimità di un’adeguata quantità di osso da spostare.
Vantaggi
Gli stessi della MBS (7):
anche in situazioni estreme permette un miglioramento in breve tempo e con ottima predicibilità di difetti ossei non altrimenti trattabili;
quando associata a tecnica flapless riduce drasticamente i tempi operatori;
permette la neoformazione di osso e tessuto mucoso di ottima qualità e stabilità nel tempo.
Svantaggi
È necessaria la presenza di elementi dentari contigui e/o di osso da spostare; l’operatore deve avere capacità manuali.
Protocollo operativo
La tecnica può essere divisa in varie fasi:
- l’accesso all’osso tramite un lembo muco-gengivale a spessore parziale o, quando possibile, flapless;
- incisioni ossee primarie e secondarie;
- mobilizzazione del lembo osteo-muco-gengivale;
- preparazione finale del sito ricevente all’inserimento dell’impianto o la ricostruzione di tessuti da gestire in una seconda fase;
- protezione del sito.
L’accesso all’osso si effettua attraverso un lembo a spessore parziale, che conserva il tessuto connettivo e il periostio. Ciò permette di mantenere un’adeguata vascolarizzazione ossea e soprattutto la riconnessione del tessuto vascolarizzante in termini molto brevi, senza previa demineralizzazione dell’osso, per ridurre il più possibile il riassorbimento dello stesso.
L’incisione è para-marginale e quindi evita danni all’unità dente-gengivale adiacente riducendo il rischio di perdita di attacco. Attraverso uno studio preliminare, se assolutamente sicuri dell’anatomia sottostante, è enormemente vantaggioso non mobilizzare il lembo e quindi procedere con approccio flapless.
Oltre ai vantaggi di morbilità per il paziente, a livello tecnico è comodo avere tessuti connettivali totalmente integri, che permettono la riparabilità di ogni errore.
L’obiettivo è quello di creare lembi ossei di flessibilità tali da consentirne lo spostamento senza causarne il distacco. Poiché l’elasticità è proporzionale alla lunghezza, è necessaria un’altezza complessiva di non meno di 10 mm.
Le incisioni primarie dell’osso possono essere effettuate con molti strumenti sia manuali che sonici, oggi molto di ausilio per velocizzare e rendere il tutto meno traumatico per il paziente.
Il o i frammenti ossei da mobilitare devono essere pianificati secondo l’emergenza dell’impianto, lo spessore e l’angolazione della cresta e la presenza di deficit vestibolari o palatali.
Per correggerli si interviene con incisioni molto profonde nelle sedi dove risulta conservata una giusta quantità di osso e, a seconda del tipo di movimento che deve compiere, si esercitano delle osteotomie che ne permettono la corretta dislocazione.
Classico è il caso del deficit orizzontale di un dente intercalato in cui non è possibile effettuare un semplice allargamento, sia per l’assenza delle indicazioni, sia perché esso non basterebbe a risolvere il problema (figg. 1 a-c; fig. 2 a).
In questi casi le osteotomie sono identiche alla MBS (7), ma effettuate solo dove esiste una quantità di osso, ricordiamo, di almeno 3 mm. Di norma ciò avviene nei pressi dei denti contigui per il trofismo del legamento parodontale.
Successivamente si inizia la mobilizzazione e la rotazione dei frammenti ossei con un movimento lento e controllato. Il movimento è simile alle ali di una scatola che dall’interno ruotano a chiuderla.
Ciò permette di creare una cavità auto-contenente-coagulo, che farà da contenitore all’impianto.
La dislocazione inizia con una leggera mobilizzazione del lembo osteo-mucoso e durante questa fase possono verificarsi micro-fratture, ma poiché le strutture coinvolte sono protette dal periostio e dal tessuto connettivo sovrastante, la guarigione ossea è sempre maggiore della fase iniziale.
Sono gli impianti stessi ad essere usati per ottenere la stabilizzazione delle modifiche ottenute e a dare forma alla futura anatomia del sito.
Il ritorno elastico della porzione coronale, dovuta all’elasticità delle pareti mobilitate, contribuirà alla stabilità primaria.
Una delle caratteristiche fondamentali della tecnica MBS è lo sfruttamento dei processi di guarigione per seconda intenzione ottenendo la rigenerazione dei tessuti molli e duri al sito trattato (7). Anche per la Flying Bone vale ciò e, per assicurare il successo di questo tipo di guarigione, è necessario stabilizzare e proteggere il coagulo entro gli alveoli creati chirurgicamente. A tale scopo basta un riempitivo di velocissimo riassorbimento come il collagene e un numero minimo di punti di sutura abbastanza lenti per favorire un ottimale apporto di sangue al lembo.
RISULTATI
La tecnica Flying Bone è stata applicata su un ampio campione di pazienti con follow up massimo di 17 anni.
Nel presente articolo vengono presentati i due casi, rispettivamente illustrati dalle figure 1 e 2.
Nel primo caso (figg. 1 a-h), il paziente riabilitato con tecnica Flying Bone è guarito senza complicanze e a distanza di 3 mesi dall’intervento è stato riabilitato direttamente con corona in metallo ceramica definitiva. I tessuti molli nel tempo si sono adattati alla protesi, rimanendo stabili fino al controllo ultimo a distanza di 13 anni. Allo stesso modo si è osservata mediante follow-up radiografico annuale una stabilità dei livelli di osso marginale nel tempo.
Il secondo caso (figg. 2 a-h) è stato trattato con tecnica Flying Bone Flapless, con doppia rotazione dei lembi ossei, finalizzato in 3 mesi con corona definitiva in metallo ceramica. Sin dall’inizio la qualità e quantità dei tessuti aderenti era molto buona: grazie a ciò è stata osservata una buona maturazione tissutale, con un’ottima integrazione dell’OMG con il manufatto protesico.
Oltre a questo, con follow up a 10 anni, si è osservata una stabilità dei tessuti duri perimplantari verificata radiograficamente.
DISCUSSIONE
In casi di forte riassorbimento osseo orizzontale, nelle mono-edentulie, fuori dalle indicazioni di tecniche di bone splitting, le procedure rigenerative spesso non considerano tutti i fattori determinanti il successo implantare (1), penalizzando la corretta morfologia dei tessuti molli a vantaggio di quelli duri. Esse, inoltre, sono spesso lunghe costose e non sempre predicibili (5).
Infatti possono derivare vari problemi estetici: tra i più frequenti, la festonatura della corona che si trova più apicale di quelle dei contigui, poiché per effettuare tecniche rigenerative il lembo a spessore totale spesso va a cambiare le naturali caratteristiche dei denti adiacenti. L’OMG può avere uno spessore notevolmente ridotto con una successiva deiscenza e futura esposizione della sovrastruttura o dello stesso impianto.
Inoltre il tessuto peri-implantare sottile e poco vascolarizzato è più sensibile agli insulti meccanici e batterici. L’esposizione del corpo dell’impianto, specialmente quello con superfici trattate, aumenta il rischio di peri-implantite.
Il profilo di emergenza dell’impianto spesso non ideale determina problemi per il riorientamento di componenti protesici, particolarmente problematico in regioni di importanza estetica.
L’aumento dello stress lungo un asse sfavorevole crea rischi meccanici (viti, pilastri e restauri) e alle componenti biologiche (cresta ossea e tessuti peri-implantari), in particolare sull’aspetto vestibolare del sito implantare.
La Flying Bone supera i limiti della MBS traendone gli stessi vantaggi e consente di risolvere casi molto complessi in breve tempo e con risultati stabili nel tempo.
Inoltre la modifica mirata del processo alveolare edentulo e dei relativi tessuti molli permette l’inserimento di un impianto lungo l’asse ideale, assicurando un profilo di emergenza che ottimizza lo spessore dei tessuti mucosi. Ciò elimina o minimizza eventuali “camouflage tecnici” per ottenere un corretto posizionamento della protesi.
CONCLUSIONI
La Flying Bone è una tecnica che permette di risolvere dei casi di atrofia ossea settoriali in modo mini invasivo e predicibile.
Superando le indicazioni della MBS, tale tecnica risulta applicabile anche nei difetti ossei orizzontali al di sotto di 3 mm e nei difetti verticali.
Le potenzialità della Flying Bone possono andare ben oltre quanto mostrato aprendo nuovi scenari sull’applicabilità in studi futuri. ●
BIBLIOGRAFIA
- Zarb GA, Albrektsson T. Consensus report: towards optimized treatment outcomes for dental implants. J Prosthet Dent 1998 Dec;80(6):641.
- Garber D. The esthetic dental implant: letting the restoration be the guide. JADA 1995;126:319.
- Chiapasco M, Ferrini F, Casentini P, Accardi S, Zaniboni M. Dental implants placed in expanded narrow edentulous ridges with the Extension-Crest® device: a 1 to 3-year multicenter follow-up study. Clin Oral Impl Res 2006;17:265–72.
- Engelke WG, Diederichs CG, Jacobs HG, Deckwer I. Alveolar reconstruction with splitting osteotomy and microfixation of implants. Int J Oral Maxillofac Impl 1997;12:310–8.
- Scipioni A, Bruschi GB, Calesini G.The edentulous ridge expansion technique: a five-year study. Int J Periodontics Restorative Dent 1994 Oct;14(5):451.
- Chiapasco M, Zaniboni M, Boisco M. Augmentation procedures for the rehabilitation of deficient edentulous ridges with oral implants. Clin Oral Impl Res 2006;17 (Suppl. 2):136–59.
- Scipioni A, Calesini G. Morphogenic bone splitting. Int J Prosthodont 2008 Sep-Oct;21(5):389-97.
- Cawood JI, Howell RA. A classification of edentulous jaws. Int J Oral Maxillofac Surg 1988 Aug;17(4):232-6.