Decorso clinico della limitazione temporomandibolare trattata con terapia manuale praticata dall’odontoiatra

    Clinical course of temporomandibular limitation treated with manual therapy practiced by dentistry

    Fig. 2 Distribuzioni di frequenza percentuale per classi di ROM a T0, T1 e T2.
    Scopo del lavoro:

    Lo scopo di questo lavoro era quello di valutare il decorso clinico della limitazione mandibolare in pazienti con disordini temporomandibolari trattati mediante terapia fisica manuale praticata dall’odontoiatra nella reale pratica clinica quotidiana.

    Materiali e metodi:

    In questo studio osservazionale di una serie di casi clinici, abbiamo revisionato le cartelle mediche e selezionato pazienti adulti con diagnosi di disordine temporomandibolare e intervallo di movimento di apertura mandibolare <40mm, che furono trattati esclusivamente mediante un programma di 4-6 sedute di terapia fisica manuale praticata dall’odontoiatra, escludendo quindi pazienti trattati contemporaneamente con altre procedure (es: farmaci, placche occlusali). È stato registrato il grado di apertura della bocca che fu misurato all’inizio (T0), in corso di trattamento (T1) e a due settimane dal termine del trattamento (T2). Una analisi statistica ripetuta è stata condotta per valutare la differenza tra le mediane (p<0,017). 

    Risultati:

    La serie di casi clinici era costituita da 15 pazienti con età media 46±13 anni e 80% di genere femminile. La più comune causa clinica di limitazione mandibolare è stata la dislocazione del disco senza riduzione presente nel 53% dei casi. Il livello di apertura mandibolare mediano a T0 era 32,7 IQR 8,7 mm; a T1 era 38,8 IQR 3,1 mm; a T2 era 41,5 IQR 7,1 mm con una differenza statisticamente significativa tra T0-T1 (p=0,00006), T1-T2 (p= 0,0124 5) e T0-T2 (p=0,00001).

    Conclusioni:

    Nonostante i limiti, il presente lavoro ha dimostrato mediante una serie di casi clinici autocontrollati, un decorso favorevole della limitazione mandibolare in pazienti con disordini temporomandibolari trattati mediante terapia fisica manuale esercitata direttamente dall’odontoiatra nella reale pratica clinica quotidiana. Tutti gli odontoiatri interessati alla gestione dei disordini temporomandibolari erano incoraggiati ad acquisire conoscenze e abilità specifiche nel settore della terapia manuale craniomandibolare.

    INTRODUZIONE

    La limitazione funzionale mandibolare e gli episodi di blocco temporomandibolare sono alcune delle manifestazioni tipiche dei disordini temporomandibolari (temporomandibular disorders; TMD) (1). Con il termine TMD si intende una serie di condizioni muscoloscheletriche caratterizzate da dolore e/o disfunzione alle articolazioni temporomandibolari, ai muscoli masticatori e alle strutture ad essi correlate, con una prevalenza stimata nella popolazione generale compresa tra il 5% ed il 12% (2). Escludendo le cause riferibili a patologie organiche (es: neoplastiche, reumatiche), le più comuni forme di TMD non sono attribuibili a un singolo fattore causale bensì a una eziopatogenesi multifattoriale di tipo biopsicosociale con fattori predisponenti, scatenanti e perpetuanti (3). La diagnosi di TMD è prevalentemente clinica, con la necessità di approcciare il dolore orofacciale e la disfunzione temporomandibolare mediante una iniziale adeguata diagnosi medica differenziale per escludere la responsabilità di patologie di natura organica e/o sistemica ed individuare comorbidità o problematiche sovrapposte (4). Procedure conservative e reversibili hanno dimostrato efficacia nella gestione clinica delle manifestazioni da TMD, pertanto l’approccio iniziale al dolore e alla limitazione dovrebbe avvalersi di counselling, terapia farmacologica, terapia fisica, placche occlusali e procedure cognitivo-comportamentali (5). In particolare, tra le procedure fisiche, la terapia manuale (manual therapy; MT) applicata alle strutture craniomandibolari, pur non essendo superiore ad altre modalità conservative e pur non esistendo dati conclusivi, rappresenta ad oggi una possibile modalità di gestione del dolore e della limitazione del movimento mandibolare in caso di TMD (6,7). La quota massima di apertura mandibolare attiva (range of movement; ROM) varia fisiologicamente con l’età, il genere e la razza, e un ampio intervallo di valori è considerato normale. L’esclusiva entità del ROM non è dunque necessariamente correlata ad una diagnosi di TMD o al suo livello di gravità (8) e pur potendo registrare una significativa riduzione del ROM tra casi di TMD e controlli, i valori in media risultano nel range di normalità per entrambi gruppi (1,9). Inserita tuttavia nel contesto di una valutazione clinica generale, la determinazione del ROM contribuisce a formulare una diagnosi di TMD, a definire un subgruppo di appartenenza, oltre a sviluppare mirati programmi terapeutici e a verificare l’andamento interindividuale del caso clinico. I valori per un ROM ristretto sono tradizionalmente considerati inferiori a 40 mm per i disturbi muscolari e uguali/inferiori a 35 mm per certi disordini articolari (10). L’effetto della MT sul ROM mandibolare è stato indagato attraverso diversi trial clinici di intervento eseguiti per lo più in ambiente fisioterapeutico, ma poche informazioni sono disponibili sulla osservazione dei dati provenienti dalla realtà clinica quotidiana, quale espressione del trasferimento dei dati dagli ambienti di ricerca a quelli assistenziali, e in special modo per procedure di MT esercitate direttamente dal medico odontoiatra. Scopo del presente lavoro è stato quello di valutare l’andamento del ROM mandibolare in corso di trattamento e alla fine dello stesso, rispetto ai valori registrati inizialmente in una serie di pazienti con TMD e limitazione mandibolare gestiti mediante un programma di MT esercitata direttamente dall’odontoiatra in un contesto assistenziale di cure secondarie per il dolore orofacciale e i TMD. 

    MATERIALI E METODI

    Tipo di studio: studio di una serie di casi clinici autocontrollati (11).

    Selezione dei casi clinici 

    Dall’archivio di un ambulatorio di pratica odontoiatrica privata principalmente orientata al dolore orofacciale e TMD sono state estratte tutte le cartelle relative a pazienti riferiti per dolore craniofacciale e/o disfunzione mandibolare con età compresa tra 18 anni e 65 anni, in condizioni di buona/discreta salute generale (ASA I-II), con diagnosi di TMD non attribuibile a cause organiche (es: neoplastiche, reumatiche, etc…), con ROM mandibolare <40 mm e sottoposti a un piano terapeutico di gestione iniziale consistente in MT esercitata direttamente dal medico odontoiatra mediante un programma semi standardizzato di 4-6 sedute, con una seduta ogni 7-10 giorni. Dalle cartelle così inizialmente selezionate sono state poi escluse quelle relative a pazienti che furono trattati in concomitanza alla MT (o nelle settimane precedenti) con altre procedure per TMD (es: placche occlusali, farmaci), pazienti contemporaneamente in trattamento presso altre figure mediche o sanitarie per problemi diversi di dolore o limitazione funzionale (es: lombalgie, cervicalgie) o in trattamento con corticosteroidi, pazienti che non completarono il ciclo programmato di MT o che furono sottoposti per diverse evenienze a un numero inferiore a 4 o superiore a 6 sedute di MT, e infine esclusi pazienti le cui cartelle risultavano incomplete rispetto alle variabili di studio. Dalla revisione delle cartelle cliniche è stata selezionata una serie di casi clinici costituita da 15 pazienti. 

    Procedure cliniche 

    Ogni paziente fu sottoposto a una prima visita particolarmente orientata alla valutazione e alla diagnosi medica differenziale per il dolore cranio facciale e la disfunzione mandibolare. Fu registrato il periodo iniziale di insorgenza delle manifestazioni lamentate e il livello medio del dolore riferito su scala numerica del dolore (numeric rating scale; NRS) a 11 punti (0= nessun dolore; 10=dolore massimo percepito) (12). L’esame obiettivo fu condotto mediante ispezione, palpazione e auscultazione. Il ROM mandibolare in massima apertura possibile fu misurato mediante calibro digitale in mm, misurando da bordo incisivo superiore a bordo incisivo inferiore, aggiungendo il valore dell’overbite incisivo e approssimando a una cifra decimale (13). Se necessari, furono eseguiti altri test clinici semiologici e/o richiesti esami strumentali, di laboratorio o per immagine. Quando ritenuto utile fu richiesta consulenza presso medici di altre specialità (es: neurologi, reumatologi). I casi di TMD furono classificati in subgruppi secondo Research Diagnostic Criteria for Temporomandibular Disorders – asse I (RCD/TMD) (10). Stabilita la diagnosi inziale, ogni paziente ricevette informazioni, rassicurazioni e semplici consigli di autogestione e raccolto il consenso informato alle cure, si procedette da parte dell’odontoiatra (AU:MR) allo svolgimento di un programma di MT finalizzato alla riduzione della sintomatologia algica ed al recupero del ROM, prevalentemente mediante tecniche articolari temporomandibolari o tecniche miofasciali per la regione cranio-facciale (14,15). Le tecniche di MT furono selezionate in base alle necessità del singolo caso clinico ed eseguite nel contesto di un programma semi-standardizzato di 4-6 sedute ad intervalli di 7-10 giorni. I pazienti furono sottoposti a una rivalutazione intermedia (dopo 2-3 sedute di MT) e a una rivalutazione finale a due settimane dal termine del trattamento (dopo 4-6 sedute di MT), e in tali occasioni il ROM mandibolare in massima apertura possibile fu nuovamente misurato. Sommariamente il periodo intercorso tra la prima visita e la rivalutazione finale fu di 7-8 settimane. 

    Variabili raccolte 

    Per ogni paziente (P: 1-15) sono state raccolte le seguenti variabili: genere (maschio; femmina), età (anni: 18-65), livello iniziale del dolore craniofacciale attribuibile a TMD (NRS:0-10), classificazione subgruppo TMD (secondo criteri RDC/TMD), periodo di insorgenza del TMD (<3 mesi; ≥3 mesi), ROM mandibolare in massima apertura (mm) al momento della visita iniziale (T0), al momento di una rivalutazione intermedia (T1) e alla rivalutazione finale due settimane dopo aver completato il programma di MT (T2).

    Analisi statistica 

    La serie di casi clinici è stata complessivamente caratterizzata, quando indicato mediante tendenze centrali e dispersioni oppure per frequenze, in relazione alla natura delle variabili raccolte. Una preliminare valutazione statistica delle differenze del ROM tra coppie ha individuato set di dati con distribuzione non normale tra T0-T1 (test di Shapiro-Wilk; W=0,01; p<0,05) e tra T0-T2 (test di Shapiro-Wilk; W=0,04; p<0,05) e una distribuzione normale tra T1-T2 (test di Shapiro-Wilk; W=0,91; p>0,05). In relazione a tali risultati, per confrontare i valori del ROM prima (T0), durante (T1) e dopo (T2) il trattamento di MT è stato utilizzato il test dei segni per ranghi di Wilcoxon a due code con confronti multipli (K=3). Ipotesi nulla è stata considerata l’uguaglianza tra le mediane, ipotesi alternativa è stata considerata la disuguaglianza tra le mediane (H0: μe prima= μe dopo; H1: μe prima≠ μe dopo). Il livello di significatività è stato inizialmente fissato per α=0,05, tuttavia la correzione di Bonferroni è stata eseguita per limitare la probabilità di commettere un errore di I tipo, pertanto il nuovo livello di significatività è stato fissato per α=0,017 (p<0,017). La differenza tra le mediane del ROM è stata inoltre utilizzata come indicatore assoluto, espresso in mm, della dimensione dell’effetto clinico.

    RISULTATI

    Il campione era costituito da una serie di 15 pazienti, 12 femmine (80%) e 3 maschi (20%), età media 46±13 anni. Il livello medio di dolore craniofacciale riferito su scala NRS/10 era 6,1±2,7 e il periodo riferito di insorgenza del TMD era <3 mesi in 9 casi (60%) e ≥3 mesi in 6 casi (40%). Considerando la possibilità di diagnosi multiple, un disordine muscolare è stato diagnosticato nel 53% dei casi, altrettanto una dislocazione del disco nel 53% mentre un disordine articolare nel 80% dei casi. In 12 casi (80%) la limitazione del ROM è stata attribuita a una causa singola (5 casi da dolore miofasciale con limitazione; 6 casi da dislocazione del disco senza riduzione; 1 caso da osteoartrite) mentre in 3 casi (20%) la limitazione del ROM è stata attribuita a una doppia causa (1 caso dislocazione del disco senza riduzione + dolore miofasciale con limitazione; 1 caso dislocazione del disco senza riduzione + osteoartrite). La causa più comune clinicamente determinata di limitazione è stata la dislocazione del disco senza riduzione presente in 8 casi (53%). Il ROM mandibolare medio a T0 era 30,1±7,8 mm, a T1 era 38,2±4,3 mm, a T2 era 41,4 ±4,6 mm. In figura 1 è stato riportato il grafico a colonne con i valori del ROM per ogni singolo caso clinico a T0, T1 e T2. In figura 2 è stato riportato il grafico a colonne per le distribuzioni di frequenza percentuale per classi di ROM. Il ROM mandibolare mediano a T0 era 32,7 IQR 8,7 mm; a T1 era 38,8 IQR 3,1 mm; a T2 era 41,5 IQR 7,1 mm. Il confronto tra mediane ha dimostrato una differenza statisticamente significativa (test di Wilcoxon; p<0,017) del ROM mandibolare tra T0-T1 (p=0,00006), T1-T2 (p=0,0124 5) e T0-T2 (p=0,00001). Per ogni confronto è stata rifiutata l’ipotesi nulla ed accettata l’ipotesi alternativa di disuguaglianza tra mediane. La differenza mediana del ROM tra T0-T1 è stata di 6,1 mm con incremento dei valori di apertura mandibolare in 15 casi (100%), tra T1-T2 è stata di 2,7 mm con incremento in 12 casi (80%), infine tra T0-T2 è stata di 8,8 mm con incremento in 14 casi (93%). 

    Fig. 1 Valori del ROM per ogni singolo caso clinico a T0, T1 e T2.

    DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

    Nel presente studio un miglioramento del ROM mandibolare nel passaggio da T0 a T1 è stato registrato nel 100% dei casi clinici con incremento mediano di 6,1 mm. In letteratura era ben noto l’effetto rapido positivo indotto dalla MT sul ROM mandibolare, con tuttavia difficoltà a mantenere tali livelli di efficacia nel tempo (16, 17,18). Operatori poco attenti ad una valutazione metodologicamente corretta del loro operato potevano in tal senso correre il rischio di sovrastimare l’efficacia dei loro trattamenti. Nel passaggio da T1 a T2 è stato registrato un incremento mediano del ROM pari a 2,7 mm, che, sebbene di apparente esigua significatività clinica, ha permesso di raggiungere e superare mediamente e medianamente i 40 mm di apertura (media da 38,2 mm a 41,4 mm; mediana da 38,8 mm a 41,5 mm) riducendo progressivamente il criterio per la limitazione mandibolare miofasciale (10): la prevalenza percentuale di un ROM ≥40 mm è infatti passata da 0% in T0 a 34% in T1, fino a 67% in T2 (fig. 2). Il passaggio complessivo da T0 a T2 ha registrato aumento del ROM nel 93% dei casi con aumento medio di 11,3 mm e mediano di 8,8 mm con differenza staticamente significativa (p<0,017).

    Fig. 2 Distribuzioni di frequenza percentuale per classi di ROM a T0, T1 e T2.

    Considerando che la percentuale di successo generale della terapia conservativa per i TMD era stimata tra 75% e 90% (19) e in particolare il guadagno medio del ROM mandibolare attribuibile alla terapia fisica manuale era sommariamente di circa 1 cm nel post trattamento (18), le nostre osservazioni hanno permesso di confermare nella realtà clinica quotidiana, i dati precedentemente ottenuti dalla ricerca clinica sperimentale, sostenendo peraltro anche l’agevole possibilità di gestione della terapia fisica manuale direttamente da parte del medico odontoiatra. In letteratura è stato ampliamente riconosciuto il ruolo centrale dell’odontoiatra nel settore del dolore orofacciale e TMD (20) (consideriamo ad esempio la sua grande confidenza con i tessuti orofacciali unitamente al suo ruolo diagnostico riservato alle sole figure mediche), pertanto l’ulteriore e lecita acquisizione di conoscenze e abilità specifiche finalizzate anche alla terapia fisica manuale craniomandibolare da parte dell’odontoiatra poteva significare garantire ai pazienti una vantaggiosa continuità assistenziale diagnostico-terapeutica, che non escludeva, se ritenuta utile, una richiesta di collaborazione con altre figure sanitarie, ma senza abdicare al suo ruolo medico centrale nel processo diagnostico e terapeutico dei TMD (21). La letteratura scientifica nella gestione dei TMD indicava non solo assenza di chiara superiorità di un procedimento conservativo rispetto ad altri (22,23), ma anche assenza di superiorità di uno specifico approccio manuale rispetto ad altri (7,24). Era pertanto suggerita all’odontoiatra interessato a esercitare la MT l’acquisizione di consapevolezza sull’efficacia di tali procedure basate per lo più su effetti multipli e comuni a diverse tecniche manuali, indipendentemente dai presupposti specifici con i quali gli autori avevano originariamente descritto il loro approccio basato su considerazioni anatomiche, ipotesi o intuizioni spesso affascinanti ma mai chiaramente dimostrate (25). In tale contesto erano gli aspetti di diagnosi medica differenziale, il riconoscimento dei fattori psicosociali e la conseguente adeguata impostazione terapeutica a garantire migliori risultati, piuttosto che l’applicazione di una singola specifica tecnica (26). L’esperienza clinica, analiticamente osservata nel presente studio attraverso una serie di casi clinici autocontrollati, ha registrato in pazienti con TMD e limitazione funzionale del ROM un decorso significativamente positivo in caso di trattamento mediante MT esercitata direttamente dall’odontoiatra (p<0,017). È tuttavia opportuno considerare che l’indagine è stata condotta su un numero limitato di pazienti e in un ambiente clinico assistenziale, dunque a basso livello di costrizione, in cui non è stato possibile minimizzare gli effetti di disturbo, ridurre la variabilità interindividuale tra pazienti o isolare l’effetto della terapia erogata rispetto alle obbligatorie informazioni e rassicurazioni fornite inizialmente, all’effetto placebo, alle aspettative del paziente e al decorso naturale del disordine. Tali apparenti limiti scientifici in realtà riflettevano l’obiettivo primario ricercato nello studio, ovvero l’indagine nel contesto clinico “reale” in cui era massima sia la variabilità interindividuale che l’omogeneità entro le coppie confrontate. Quindi nonostante la bassa validità interna del presente lavoro che impediva conclusioni generalizzabili, il disegno dello studio proposto, concepito come una serie di casi autocontrollati, garantiva la possibilità di rappresentare con maggior fedeltà possibile le condizioni del “mondo reale” e dunque i risultati ottenuti in una pratica quotidiana assistenziale, quali espressioni del trasferimento dei dati dalla ricerca alla quotidianità. In tal senso la letteratura necessitava di entrambe le informazioni che si completavano e integravano a vicenda, senza correre il pericolo di attribuire troppa enfasi relativa ai trial clinici esplicativi e alla ricerca indirizzata dalla popolazione ai pazienti e poca all’osservazione delle esperienze cliniche provenienti dal mondo reale (si intende quando raccolte in modo analitico e metodologicamente corretto) che viaggiavano in senso opposto (dai pazienti alla popolazione) e attribuivano valore alle singolari realtà di ogni ambiente di cura, di ogni operatore e di ogni paziente. Dopotutto la stessa medicina basata sull’evidenza (27), al fine di assumere decisioni cliniche, richiamava tradizionalmente a una integrazione tra i migliori risultati provenienti dalla ricerca e variabili di contesto legate al singolo paziente o all’esperienza dell’operatore. In conclusione, nonostante i limiti citati, il presente studio clinico di osservazione ha dimostrato mediante una serie di casi clinici autocontrollati, un decorso favorevole del ROM mandibolare in pazienti con TMD e limitazione dell’apertura mandibolare, sottoposti a un trattamento semi standardizzato di MT esercitata direttamente dal medico odontoiatra in un ambiente di cure secondarie per il dolore orofacciale e i TMD. In tal senso tutti gli odontoiatri interessati al settore dei TMD erano incoraggiati ad acquisire conoscenze ed abilità specifiche di MT. In futuro saranno necessari ulteriori studi provenienti dal mondo reale e dalla quotidianità assistenziale per confrontare le diverse esperienze cliniche e/o confermare ed integrare i dati provenienti dalla ricerca sperimentale. 

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    Materials and methods:

    In this observational case series study, we reviewed medical records and selected adult patients with temporomandibular disorder and mandibular range of motion <40mm, treated exclusively with 4-6 session of manual physical therapy practiced by dentist, thus excluding patients treated simultaneously with other procedures (e.g. drugs, occlusal appliances). The degree of mouth opening was measured at baseline (T0), during treatment (T1) and two weeks after treatment (T2), with repeated statistical analysis for the difference between medians (p <0.017).

    Aim of the work:

    The aim of this work was to evaluate the clinical course of mandibular limitation in patients with temporomandibular disorders treated with manual physical therapy practiced by dentist in real daily clinical practice.

    Results:

    The case series consisted of 15 patients with a mean age of 46 ± 13 years and 80% female. The most common clinical cause of mandibular limitation was disc displacement without reduction present in 53% of the cases. The median mandibular opening level at T0 was 32.7 IQR 8.7 mm; at T1 it was 38.8 IQR 3.1 mm; at T2 it was 41.5 IQR 7.1 mm with a statistically significant difference between T0-T1 (p = 0,00006), T1-T2 (p = 0,0124 5) and T0-T2 (p = 0,00001).

    Conclusion:

    Despite the limitations, this work has demonstrated through a series of self-controlled clinical cases, a favourable course of mandibular limitation in patients with temporomandibular disorders treated with manual physical therapy exercised directly by dentist in real daily clinical practice. All dentists interested in the management of temporomandibular disorders were encouraged to acquire specific knowledge and skills in the area of craniomandibular manual therapy.