Impianti dentali in pazienti con malattie cardiovascolari: revisione della letteratura

Impianti dentali in pazienti con malattie cardiovascolari: revisione della letteratura
Scopo del lavoro: Le malattie cardiovascolari (CVD) sono patologie del sistema circolatorio che interessano l’anatomia e la fisiopatologia del cuore e dei vasi sanguigni. Al giorno d’oggi, diverse patologie come le malattie cardiovascolari potrebbero essere considerate come controindicazioni alla terapia chirurgica implantare, ma poiché nella pratica clinica molti pazienti con questo tipo di patologie necessitano di riabilitazione implanto-protesica, è necessario un piano di trattamento efficace e sicuro. Lo scopo di questa revisione della letteratura è quello di prestare attenzione alla prevedibilità dell’inserimento implantare in pazienti ipertesi, in pazienti che assumono anticoagulanti orali e in pazienti con rischio di endocardite batterica. La ricerca sui database scientifici è stata effettuata attraverso la piattaforma MEDLINE (NCBI PubMed e PMC). Sono stati selezionati 34 articoli, utilizzando le seguenti parole chiave: ”ipertensione”; ”impianti dentali”; ”anticoagulanti”; ”endocardite batterica”. La letteratura ha dimostrato che l’ipertensione non è associata al fallimento dell’impianto, che l’interruzione degli anticoagulanti deve prestare particolare attenzione al rapporto rischio-beneficio dell’emostasi rispetto alla trombosi e che la profilassi antibiotica con 2 g di amoxicillina aiuta a prevenire l’insorgenza di batteriemia nei pazienti ad alto rischio di endocardite batterica. In conclusione, l’odontoiatra deve sempre tenere conto di tutte le esigenze del paziente con malattie cardiovascolari, per stabilire un piano di trattamento che analizzi tutte le possibili complicanze e che permetta il successo della terapia implantare.

INTRODUZIONE

Le malattie cardiovascolari (CVD) sono patologie del sistema circolatorio che riguardano l’anatomia e la fisiopatologia del cuore e dei vasi sanguigni.

In questo ampio gruppo rientrano l’ipertensione, la cardiopatia ischemica, le malattie cerebrovascolari (ictus), le malattie vascolari periferiche, l’insufficienza cardiaca, le cardiopatie reumatiche, le cardiopatie valvolari e le cardiopatie congenite. Le CVD sono caratterizzate da fattori di rischio non modificabili (età, sesso e storia familiare) e da fattori di rischio modificabili, legati a comportamenti e stili di vita (sedentarietà, dieta, fumo) (Young DR. et al. 2016).

Il tasso di mortalità per le malattie cardiovascolari varia in base a molteplici fattori: età, sesso, razza, etnia, classe sociale e livello di istruzione. La mortalità è maggiore in età avanzata ed è più alta del 40% nei maschi e tra i neri non ispanici. Fino alla menopausa, le donne hanno un potenziale ormonale che le protegge, ma poi possono essere colpite da eventi cardiovascolari anche più gravi degli uomini (Kurrelmeyer K. 2017 – Roger VL. et. al. 2020).

A livello globale, le malattie cardiovascolari (CVD) sono la principale causa di morte. L’OMS in un rapporto afferma che nel 2008 circa 17,3 milioni di persone sono morte a causa di malattie cardiovascolari; quindi circa il 30% di tutti i decessi globali e si stima che entro il 2030 questo numero salirà a circa 23,6 milioni di persone (Balakumar P. et al 2016).

Lo scopo di questa revisione della letteratura è quello di prestare attenzione alla prevedibilità dell’inserimento dell’impianto nei pazienti ipertesi, in quelli che assumono anticoagulanti orali e in quelli a rischio di endocardite batterica.

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MATERIALI E METODI

Per ottenere le fonti di informazione è stato utilizzato il database MEDLINE (NCBI PubMed e PMC). È stata effettuata una ricerca online per selezionare gli articoli riguardanti l’inserimento di impianti dentali in pazienti con malattie cardiovascolari.

Sono stati presi in considerazione studi controllati randomizzati (RCT), studi prospettici, studi osservazionali, revisioni e studi retrospettivi. Sono stati poi esaminati i libri di testo rilevanti per l’argomento, e sono state esaminate le citazioni di ogni articolo recuperato e quelle delle revisioni e delle opinioni degli esperti per includere il maggior numero possibile di conoscenze, applicando le parole chiave “ipertensione”, “impianti dentali”, “anticoagulanti”, e “endocardite batterica”, 35 articoli hanno risposto all’argomento di ricerca.

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Impianti dentali e malattie cardiovascolari

L’implantologia, negli ultimi 50 anni, si è notevolmente evoluta permettendo di ottenere risultati predicibili nella riabilitazione di pazienti totalmente o parzialmente edentuli, consentendo il ripristino di aspetti funzionali, biologici ed estetici precedentemente perduti, garantendo tassi di successo superiori e di sopravvivenza del 95% (Buser D. et al 2012 – Fischer K. et al 2012).

Gli obiettivi della terapia implantare possono essere suddivisi in primari e secondari. Il raggiungimento del successo funzionale, estetico e fonetico e un basso rischio di complicanze intra e postoperatorie fanno parte degli obiettivi primari, mentre un numero ridotto di interventi chirurgici e il raggiungimento di un dolore e di una morbilità minimi nella fase di guarigione fanno parte degli obiettivi secondari (De Bruyn H. et al. 2015 – Cheng T. et al. 2012).

Al giorno d’oggi, diverse patologie come quelle cardiovascolari potrebbero essere considerate controindicazioni alla terapia chirurgica implantare, ma poiché nella pratica clinica un gran numero di pazienti con queste patologie necessita di riabilitazione implanto-protesica, è necessario un piano di trattamento efficace e sicuro (Aghaloo T. et al 2019).

Quando si esegue la chirurgia implantare in pazienti con patologie cardiovascolari, le preoccupazioni sono legate alla possibile sospensione degli anticoagulanti nella fase preoperatoria o alle variazioni della pressione arteriosa, date dai vasocostrittori contenuti negli anestetici locali. Una revisione scientifica dimostra che i farmaci antipertensivi come i beta-bloccanti, i diuretici tiazidici e gli ACE-inibitori hanno un effetto positivo sul tasso di sopravvivenza dell’impianto (Schimmel M et al. 2018 – Wu X. et al. 2016).

L’uso di anestetici locali per i pazienti con malattie cardiovascolari è molto controverso. Nonostante le proprietà benefiche dei vasocostrittori, nei pazienti con CVD l’iniezione intravascolare involontaria di adrenalina è associata a effetti cardiovascolari avversi (Becker DE et al., 2006).

Poiché l’evidenza scientifica su questo argomento è ancora poco sviluppata, non vi sono prove che le malattie cardiovascolari siano una controindicazione all’inserimento dell’impianto; tuttavia, le complicazioni che questi pazienti possono incontrare devono essere considerate; pertanto, il consulto del cardiologo prima dell’intervento è essenziale (Scully C. 2010).

L’analisi retrospettiva di Khadivi V. et al. 1999 ha dimostrato che, dopo aver eseguito il trattamento implantare su un gruppo di prova di pazienti con malattie cardiovascolari e su un gruppo di controllo sano equivalente, non sono state rilevate differenze significative tra i due gruppi in termini di successo dell’impianto (Khadivi V. et al. 1999).

Uno studio recente ha dimostrato che l’uso intrachirurgico della sedazione endovenosa con Midazolam e Propofol potrebbe essere utile nel trattamento di pazienti con malattie cardiovascolari, perché sembra prevenire i picchi di pressione sanguigna e stabilizzare l’emodinamica del paziente (Taguchi T. et al. 2011). Tuttavia, la somministrazione di Midazolam durante il posizionamento dell’impianto non sembra prevenire le aritmie cardiache (Romano MM. et. al 2012).

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Paziente iperteso

L’ipertensione è definita come l’aumento cronico della pressione arteriosa sistemica al di sopra di un certo valore soglia. Una pressione sanguigna superiore a 115/75 mmHg aumenta il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (Giles TD et al., 2009).

Nel 2014 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dichiarato che l’ipertensione è responsabile del 51% dei decessi per ictus e del 45% della mortalità per malattie cardiovascolari (Task Force for the management of arterial hypertension of the European Society of Hypertension, 2013). Per evitare il rischio di complicanze vascolari nei pazienti con ipertensione, è di fondamentale importanza eseguire il controllo e il monitoraggio della pressione arteriosa prima di procedere a determinati interventi chirurgici odontoiatrici.

Lo studio retrospettivo di Tonini KR. et al., 2022, indaga l’associazione tra ipertensione e assunzione di farmaci antipertensivi con il fallimento degli impianti dentali. Sono stati impiantati 602 impianti in un totale di 602 pazienti.

Il 71,43% dei pazienti era normoteso e il 28,36% iperteso. Il tasso di successo degli impianti dentali nel gruppo dei normotesi era del 93,98%, mentre nel gruppo degli ipertesi era del 92,99%. In quest’ultimo gruppo, la percentuale di successo era simile sia che avessero assunto farmaci antipertensivi sia che non li avessero assunti.

È quindi possibile affermare che la patologia ipertensiva, così come l’uso di farmaci antipertensivi, non può essere associata al fallimento dell’impianto (Tonini KR. et al., 2022). Nguyen TTH et al., 2019, hanno dimostrato che l’uso di impianti dentali corti (SDI) in pazienti con vari disturbi sistemici, uno dei quali l’ipertensione non controllata, sono prevedibili e affidabili rispetto agli impianti standard in una popolazione sana; in quanto consentono di evitare procedure come il rialzo del seno mascellare o gli innesti ossei, quando necessari (Nguyen TTH et al., 2019). Marchio V et al., 2020, hanno valutato la sopravvivenza e il tasso di successo degli impianti dentali inseriti in pazienti sani e in pazienti con problemi medici.

I pazienti in totale erano 72, 36 sani e 36 con problemi medici, affetti da malattie cardiovascolari come l’ipertensione, malattie metaboliche e malattie gastrointestinali. Tra i pazienti sani, due impianti sono falliti, mentre tra i pazienti con problemi medici solo un impianto è fallito. Ciò indica che non ci sono differenze statisticamente significative in termini di successo, fallimento e tasso di sopravvivenza tra gli impianti nei soggetti sani e quelli con malattie cardiovascolari (Marchio V et al., 2020).

Sitkin SI et al., 2015, hanno studiato l’effetto dell’analgesia e della sedazione durante un intervento di implantologia in pazienti con ipertensione. Lo studio ha esaminato 76 pazienti, in 40 dei quali la chirurgia implantare è stata eseguita solo con anestesia locale, mentre, nei restanti 36 pazienti, la chirurgia implantare è stata eseguita in anestesia locale con sedazione e analgesici preventivi.

Si è visto che l’uso combinato di sedazione e analgesici ha permesso di mantenere una pressione intraoperatoria più bassa rispetto a quando è stata eseguita solo l’anestesia locale (Sitkin SI et al., 2015).

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Paziente a rischio di endocardite batterica

L’endocardite batterica è una grave infezione che comporta l’infiammazione dell’endocardio ed è causata da agenti infettivi, tra cui stafilococchi, streptococchi, funghi e pseudomonas aeruginosa; tale patologia ha un alto tasso di mortalità (Cahill TJ et al., 2016).

La cavità orale è nota per essere una fonte di agenti patogeni che possono colpire le valvole cardiache; nel caso dell’endocardite, la diffusione batterica avviene per via ematogena. Poiché molte procedure chirurgiche odontoiatriche causano batteriemia, nei pazienti ad alto rischio di endocardite batterica è necessaria la profilassi antibiotica (Dar-Odeh NS et al., 2010).

In generale, i pazienti ad alto rischio sono quelli a cui è stata inserita una valvola cardiaca artificiale, quelli con un’anamnesi di endocardite batterica e quelli con difetti congeniti. Nel 2008 il NICE (National Institute for Health and Care Excellence) ha suggerito la profilassi antibiotica per alcune procedure odontoiatriche nei pazienti ad alto rischio di endocardite infettiva. Tuttavia, non è stata prestata particolare attenzione alla profilassi prima dell’inserimento di un impianto (Prophylaxis Against Infective Endocarditis: Antimicrobial Prophylaxis Against Infective Endocarditis in Adults and Children Undergoing Interventional Procedures, 2008).

La disseminazione batterica in seguito all’inserimento di impianti dentali, in pazienti a rischio di endocardite batterica, può avvenire in due fasi: nella fase iniziale, quando l’impianto viene inserito, o in una fase successiva che comporta mucosite e poi perimplantite (Bölükbaşı N. et al, 2012) (Algraffee H. et al., 2012) Lo studio di Findler M. et al., 2014, ha esaminato il posizionamento di 57 impianti dentali in 13 pazienti con rischio di endocardite batterica. I pazienti erano stati sottoposti a sostituzione della valvola aortica, sostituzione della valvola mitrale, sostituzione di entrambe le valvole e uno di loro aveva anche una malformazione congenita.

Prima dell’intervento, tutti i pazienti avevano ricevuto un trattamento profilattico con 2 g di amoxicillina per via orale un’ora prima dell’intervento ed erano stati risciacquati con clorexidina allo 0,2%. Solo due impianti non sono stati correttamente osteointegrati, mentre non si sono verificati casi di endocardite batterica (Findler M. et al., 2014). Esposito M. et al., 2013, hanno valutato gli effetti benefici o dannosi della profilassi antibiotica per i pazienti con endocardite batterica sottoposti a chirurgia implantare. È stato dimostrato che 2 o 3 g di amoxicillina, somministrati un’ora prima dell’intervento, riducono il fallimento dell’impianto dentale (Esposito M. et al., 2013).

La letteratura, quindi, afferma che l’uso dell’antibiotico a scopo profilattico in pazienti ad alto rischio aiuta a ridurre al minimo l’insorgenza di batteriemia, originatasi in seguito all’inserimento di impianti dentali, che può portare allo sviluppo di endocardite batterica.

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Paziente trattato con anticoagulanti

La procedura di inserimento di un impianto dentale, in pazienti sani, è considerata sicura e prevedibile, ma la gestione dei pazienti che assumono anticoagulanti rimane ancora controversa; infatti, non è ancora chiaro se l’interruzione dell’anticoagulante prima di eseguire la procedura chirurgica riduca o meno il rischio di sanguinamento (Dawoud BES et al, 2021).

L’introduzione dei DOAC (anticoagulanti orali diretti) e la diminuzione dell’uso del warfarin hanno permesso un’evoluzione nella gestione del paziente che assume anticoagulanti. I DOAC causano meno sanguinamenti rispetto al Warfarin e hanno un’emivita più breve; tuttavia, non sono ancora stati descritti protocolli chiari per la gestione dei pazienti che devono sottoporsi a interventi chirurgici (Eikelboom J. et al., 2016). Manor Y. et al., 2021, hanno analizzato in un’analisi retrospettiva se i pazienti che assumono anticoagulanti possono o meno sottoporsi a un intervento chirurgico di impianto senza interrompere il farmaco.

Lo studio ha incluso un totale di 193 pazienti, 72 dei quali assumevano anticoagulanti e sono stati quindi assegnati al gruppo di studio; i restanti 121 pazienti facevano parte del gruppo di controllo. Solo 4 pazienti del gruppo di studio e 7 del gruppo di controllo hanno avuto emorragie post-operatorie, che si sono risolte con metodi di emostasi locale.

Pertanto, nei limiti di questo studio, si può affermare che la procedura di inserimento di impianti dentali in pazienti che assumono anticoagulanti è sicura, indipendentemente dalla sospensione o meno del farmaco, e che le eventuali complicanze si risolvono su base ambulatoriale. La procedura di inserimento di impianti dentali, in pazienti sani, è considerata sicura e prevedibile, ma la gestione dei pazienti che assumono anticoagulanti rimane controversa; infatti, non è ancora chiaro se l’interruzione dell’anticoagulante, prima di eseguire la procedura chirurgica, riduca o meno il rischio di sanguinamento (Dawoud BES et al, 2021).

L’introduzione dei DOAC (anticoagulanti orali diretti) e la diminuzione dell’uso del Warfarin hanno permesso un’evoluzione nella gestione dei pazienti che assumono anticoagulanti. I DOAC causano meno sanguinamenti rispetto al Warfarin, hanno un’emivita più breve; tuttavia, non sono ancora stati descritti protocolli chiari per la gestione dei pazienti che devono sottoporsi a interventi chirurgici (Eikelboom J. et al., 2016). Manor Y. et al., 2021, attraverso un’analisi retrospettiva hanno analizzato se i pazienti che assumono anticoagulanti possono o meno sottoporsi a interventi chirurgici di impianto senza interrompere il farmaco.

Lo studio ha incluso un totale di 193 pazienti, 72 dei quali assumevano anticoagulanti e quindi sono stati assegnati al gruppo di studio; i restanti 121 pazienti facevano invece parte del gruppo di controllo. Solo 4 pazienti del gruppo di studio e 7 del gruppo di controllo hanno avuto un’emorragia post-operatoria, che tuttavia si è risolta con metodi di emostasi locale.

Pertanto, nei limiti di questo studio, è possibile affermare che la procedura di inserimento di impianti dentali in pazienti che assumono anticoagulanti è sicura, indipendentemente dalla sospensione o meno del farmaco, e che le eventuali complicazioni si risolvono su base ambulatoriale (Manor Y. et al., 2021). Capparè P. et al., 2020, hanno analizzato il sanguinamento post-operatorio dei pazienti in terapia anticoagulante (Warfarin e Rivaroxaban) dopo essere stati sottoposti a riabilitazione implantare secondo la tecnica ”all-on-four”.

I pazienti erano in totale 120, di cui 40 assumevano Warfarin, 40 Rivaroxaban e i restanti 40 facevano parte del gruppo di controllo come soggetti sani. I pazienti che assumevano Warfarin hanno mostrato un sanguinamento post-operatorio maggiore rispetto agli altri gruppi. In ogni caso, non si sono verificate emorragie gravi. Questo studio caso-controllo ha dimostrato che la riabilitazione secondo la tecnica “all-on-four” è una procedura sicura e prevedibile nei pazienti che non subiscono interruzioni o modifiche della terapia anticoagulante (Capparé P. et al., 2020).

Lo studio retrospettivo di coorte di Okamoto T., et al, 2018, ha valutato quali sono i possibili fattori di rischio legati all’insorgenza di complicanze in seguito all’inserimento di impianti dentali in pazienti trattati con anticoagulanti. Sono stati presi in considerazione diversi fattori di rischio quali: età, sesso, larghezza e lunghezza dell’impianto, sito implantare, numero di impianti inseriti, presenza o assenza di malattie sistemiche e uso di terapia anticoagulante.

Lo studio ha dimostrato che le complicazioni, nelle prime fasi dopo l’inserimento dell’impianto, si sono verificate nei pazienti anziani in terapia anticoagulante, mentre, nelle fasi più avanzate, le complicazioni sono sorte nei pazienti che assumevano anticoagulanti e soffrivano di malattie sistemiche come il diabete.

Pertanto, il chirurgo deve prestare attenzione ai fattori di rischio quando elabora il piano di trattamento, se questo prevede l’inserimento dell’impianto in pazienti che assumono anticoagulanti orali (Okamoto T., et al, 2018) La letteratura esaminata dimostra che la mancata sospensione degli anticoagulanti prima della chirurgia implantare non aumenta il rischio di emorragie post-operatorie e che, nei casi in cui queste si sono verificate, sono state sufficienti semplici procedure di emostasi locale. Wahl MJ et al., 2015, attraverso una revisione della letteratura hanno dimostrato che nei pazienti in cui si è verificata l’interruzione della terapia anticoagulante (Warfarin), si sono verificate sia complicanze emboliche che eventi fatali per i pazienti.

Pertanto, essi affermano che la somministrazione di Warfarin non deve necessariamente essere interrotta nella maggior parte degli interventi odontoiatrici (Wahl MJ et al., 2015).

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CONCLUSIONI

Nei limiti di questo studio, sebbene non sia possibile stabilire con certezza quali siano i fattori predisponenti, la letteratura scientifica dimostra che l’ipertensione non è associata al fallimento dell’impianto, che l’interruzione degli anticoagulanti deve prestare particolare attenzione al rapporto rischio-beneficio dell’emostasi rispetto alla trombosi e che la profilassi antibiotica con 2 g di amoxicillina aiuta a prevenire l’insorgenza di batteriemia nei pazienti ad alto rischio di endocardite batterica.

In conclusione, il chirurgo odontoiatrico deve sempre tenere in debito conto tutte le esigenze del paziente con malattie cardiovascolari, cercando di operare soprattutto a livello di prevenzione, e cercando di stabilire un piano di trattamento che analizzi tutte le possibili complicanze e che permetta il successo della terapia implantare.

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