Uno degli obiettivi che oggi si pongono i dentisti che praticano l’implantologia dentale è quello di garantire al paziente condizioni di vita accettabili durante le varie fasi della terapia, conducendolo senza ansia verso la soluzione implantoprotesica definitiva più idonea. Il concetto di idoneità è da legarsi al ripristino delle condizioni di salute dell’apparato stomatognatico, ossia non solo dei lavori implantoprotesici, ma anche, con pari attenzione, dei muscoli, dei tessuti molli, delle articolazioni e dei legamenti che fanno parte dell’apparato.
Numerosi studi gnatologici (1-10) confermano che i denti posteriori rivestono grande importanza nel determinare l’altezza verticale, arrestando al momento opportuno la corsa della mandibola verso l’alto, impedendo che le articolazioni temporomandibolari vadano incontro a compressione da parte dei condili mandibolari (11-18) e preservando il trofismo dei muscoli elevatori (fig. 1).
In mancanza di denti naturali posteriori, l’opposizione rigida all’azione elevatrice dei muscoli masticatori può avvenire solamente se esistono radici implantari capaci di sopportare il medesimo sforzo, collocate nelle posizioni funzionalmente idonee in cui stavano i denti preesistenti.
Le protesi mobili, le protesi rimovibili e le protesi fisse con estensioni distali non sono in grado di svolgere questo compito e quindi rappresentano soluzioni di seconda scelta, capaci di offrire al paziente solamente un risultato parziale. Infatti con queste riabilitazioni protesiche è prassi consolidata la riduzione al minimo del carico occlusale posteriore, per non stressare i tessuti molli e i pilastri portanti proteggendo il lavoro implantoprotesico a discapito dello stato di salute dell’apparato stomatognatico (fig. 2).
A questo assetto patologico consegue un’alterazione dell’attività muscolare dell’apparato stomatognatico, in quanto la deglutizione, che in condizioni di fisiologia vede impegnati i muscoli elevatori (massetere, pterigoideo interno e temporale) e contestualmente i muscoli abbassatori (digastrico, genio e miloioideo) in un’intensa azione finalizzata a determinare la peristalsi della lingua, torna in mancanza di denti posteriori ad essere governata dai muscoli circum orali e facciali, come avviene nella deglutizione infantile (17-21). Si instaura quindi una situazione di compenso forzato finalizzato alla preservazione di una funzione vitale essenziale. Tale situazione di compenso può decorrere asintomatica, ma è certamente in distonia con i dati strumentali che caratterizzano l’occlusione fisiologica. Si rilevano infatti alterazioni dell’equilibrio tra le attività muscolari all’esame chinesiografico ed elettromiografico, alterazioni della deglutizione, asimmetrie algiche muscolari evocabili alla palpazione, l’insorgenza di segni di patologia dell’articolazione temporomandibolare e algie della muscolatura del collo (22-27). Si configura una sindrome da deficit di altezza verticale (SDAV), la cui terapia è il ripristino della fisiologia, partendo dal rispristino dell’altezza verticale andata perduta e impostando su di essa funzioni occlusali mutualmente protette.
Questo obiettivo è ottenibile realizzando una protesi fissa supportata da pilastri dentari o implantari presenti fino alle estremità dell’arcata; non ci devono essere estensioni che indeboliscano il sistema con momenti flettenti.
Il Consensus AISI 2003 (28) ha affrontato in modo approfondito il tema del carico su impianti. Secondo questo documento, condiviso da tredici specialisti in sede di congresso internazionale, la riabilitazione migliore è quella che consente il “carico fisiologico ed effettivo” ossia il “carico in occlusione centrica e nei movimenti acentrici secondo quanto previsto per la fisiologia occlusale” ottenibile con “una protesi fissa che trasmette al tessuto osseo le sollecitazioni originanti dalla funzione solamente tramite gli impianti e i denti”. Questa tipologia di riabilitazione protesica è considerata “riabilitante” perché “tende a riportare a condizioni di corretta funzionalità anche la muscolatura e l’articolazione temporomandibolare”.
Il “carico attuato con una protesi rimovibile impianto ritenuta e muco supportata” è definito “misto” e non è quindi “riabilitante”, in quanto scarica una parte del carico sulle mucose, che cedono alla spinta e non possono quindi essere caricate con intensità, per evitare decubiti da compressione. Si veda, a riguardo, lo studio pubblicato da Shah e collaboratori (27).
Materiali e Metodi
Nel presente studio si propone una metodica chirurgico protesica per trattare con una protesi fissa adeguata al ripristino delle funzioni fisiologiche quei casi in cui il paziente abbia nell’arcata superiore elementi dentari con parodontite in fase espulsiva, senza causargli gravi disagi durante le fasi della terapia.
Per quanto una parte della letteratura sostenga che i pazienti affetti da parodontite non siano adatti all’implantologia immediatamente post estrattiva, che sarebbe inevitabilmente destinata all’insuccesso (29, 30, 31), i risultati da tempo in nostro possesso non lo confermano (32, 33) e molti altri autori sembrano concordare con noi (34-37). Reputiamo quindi che l’argomento vada affrontato con approfondimenti più concreti, cercando di spiegare perché impianti in titanio collocati in sedi alveolari affette da flogosi cronica subito dopo l’estrazione del dente vadano, con adeguata procedura, regolarmente incontro a successo.
Nei casi di parodontite generalizzata, l’impostazione terapeutica tradizionale prevede la bonifica e la conseguente applicazione transitoria di protesi mobili, in attesa che il tessuto osseo guarisca e si possa programmare l’eventuale nuovo intervento di applicazione degli impianti, normalmente finalizzato alla realizzazione di una protesi definitiva rimovibile. Con questa procedura, al paziente viene imposto il passaggio per la protesi mobile, cosa che può condurlo ad una condizione di depressione difficilmente reversibile, poiché si sente ormai invalidato non solo dal punto di vista masticatorio, ma anche da quello relazionale.
L’obiettivo del trattamento qui descritto è quello di evitare al paziente di essere costretto, anche temporaneamente, a portare la protesi mobile, permettendogli di passare direttamente a quella fissa.
Ovviamente, trattandosi di casi limite di parodontite, tale terapia è articolata in alcuni punti, si avvale di alcuni strumenti ed è basata su alcuni presupposti qui di seguito descritti.
Adottando una procedura attenta, basata sull’accurato trattamento dei tessuti molli durante e dopo l’estrazione ed all’impiego di impianti di forma adatta, si possono inserire impianti subito dopo estrazione anche nelle parodontopatie molto avanzate.
Il caso di figura 3 documenta inequivocabilmente come un caso parodontale estremo, con denti mobili trattenuti in sede solo dai tessuti molli infiammati, possa essere trattato con impianti post estrattivi immediati senza alcun insuccesso e con un eccellente risultato parodontale.
Incoraggiati dai risultati, abbiamo ritenuto percorribile la strada del posizionamento immediato di impianti negli alveoli post estrattivi di denti affetti da parodontite e del loro carico immediato. Si apre quindi la via per riuscire a trattare i casi parodontali gravi in modo risolutivo portando il paziente ad una nuova situazione definitiva fissa senza mai passare per protesi mobili o rimovibili. Tuttavia, va tenuto in considerazione che, nei casi di atrofia e parodontite combinate, il rapporto tra la parte di impianto inserita nel tessuto osseo e la parte che emerge da esso è particolarmente sfavorevole. È quindi necessario utilizzare un valido mezzo di contenzione per far sì che gli impianti si mantengano immobili nonostante il carico.
Abbiamo individuato, come mezzo di contenzione ideale, la saldatura intraorale, in quanto consente di unire fermamente con una barra qualsiasi tipo di impianto in titanio, permettendo la scelta incondizionata dei presidi che meglio si adattano alla variabilità anatomica delle sedi atrofiche.
La saldatura endorale
La saldatrice endorale fu inventata, sperimentata e presentata dal dottor Pier Luigi Mondani di Genova negli anni Settanta. Con questo apparecchio è possibile saldare il titanio in bocca, poiché la carica elettrica che passa attraverso i due elementi di titanio che vengono saldati è talmente rapida (4 msec) che determina aumento di temperatura solo nel punto di contatto. La descrizione della tecnica fu pubblicata sotto l’egida dell’Università di Modena nel 1982 (38) (fig. 4).
Questo apparecchio è utilizzabile in molti casi, sia con gli impianti emergenti che con gli impianti sommersi (39-45).
Nel presente articolo si descrive la procedura Auriga con la quale si sfrutta, per il trattamento di casi di atrofia marcata e parodontite diffusa, la capacità di questo apparecchio di unire impianti appena posizionati ad impianti già osteointegrati.
Tecnica Auriga
La tecnica Auriga prevede l’impiego dei seguenti strumenti:
- impianti a vite sommersa;
- impianti a vite in monoblocco (in casi particolari, anche a lama e a cilindro);
- saldatrice endorale;
- barra di titanio per saldatura.
Le conoscenze tecniche specifiche necessarie sono:
- tecnica di posizionamento degli impianti nel tuber;
- tecnica di posizionamento degli impianti subito dopo estrazione;
- tecnica di saldatura endorale;
- competenza nella gestione della protesi provvisoria e dei rapporti occlusali statici e dinamici con il carico immediato su impianti.
Procedura
La procedura qui descritta rappresenta una modalità ripetibile di trattamento di casi limite di parodontopatia, in grado di evitare al paziente la necessità di portare, anche per un periodo transitorio, la protesi mobile.
Ci si avvale della combinazione di diverse tecniche implantologiche e della tecnica di saldatura endorale.
La procedura prevede le seguenti fasi.
- Fase 1. Posizionamento di impianti a vite sommersa nel settore posteriore superiore (tuber maxillae e, se disponibile, zona del settimo), avendo cura che non affiorino dalla gengiva in superficie. Questi impianti vengono inseriti dietro agli ultimi denti dell’arcata superiore e quindi non cambiano la situazione orale del paziente che, dopo la rimozione dei punti di sutura, sta esattamente come prima dell’intervento. Si attende quindi per 4-6 mesi l’inclusione ossea di questi impianti in stato di quiescenza (fig. 5).
- Fase 2. Dopo 4-6 mesi, si procede alla seconda fase; nella medesima seduta si procede a (figg. 6 e 7):
- scoprire gli impianti posti nei tuber e applicarvi i monconi in titanio definitivi;
- estrarre gli elementi dentari o implantari affetti da parodontite/perimplantite;
- inserire immediatamente gli impianti post estrattivi;
- mettere in contenzione tutti gli impianti saldando in bocca un filo o una barra di titanio;
- ribasare e cementare immediatamente una protesi fissa provvisoria al complesso implantare, caricando gli impianti in occlusione fisiologica.
- Fase 3. Dopo altri 2 mesi, utili alla stabilizzazione dei tessuti, si eseguono le impronte definitive ed i passaggi necessari per la costruzione e messa in opera della protesi definitiva, che ingloberà la barra (45, 46, 47). In alternativa, se le condizioni biomeccaniche lo consentono, si possono attendere, invece di 2, 4 mesi e quindi procedere all’eliminazione della contenzione per preparare singolarmente i monconi e realizzare una protesi priva di barra (45, 46, 47).
Caso clinico
Paziente SM, sesso femminile, età 63 anni, portatrice di una protesi fissa in lega metallica/ceramica sostenuta da pilastri naturali ormai mobili e dolenti.
Se si fossero estratti tout-court gli elementi dentari, la paziente sarebbe stata inevitabilmente destinata alla protesi mobile.
La prima fase della procedura Auriga prevede l’inserzione di impianti sommersi nei settori posteriori dell’arcata superiore, dietro ai denti presenti (fig. 8).
Nel contempo si provvede a mantenere sotto controllo l’instabilità del ponte, con correzioni occlusali, rinforzandone la struttura con splint e prescrivendo i farmaci necessari a sedare gli eventuali disturbi.
Dopo i 6 mesi necessari perché gli impianti sommersi nei tuber siano adeguatamente inclusi dall’osso in stato di quiescenza, si passa alla fase 2 (figg. 9 e 10), provvedendo ad applicare i monconi definitivi agli impianti posteriori, a smontare il ponte ed estrarre i denti semiespulsi, ad inserire gli impianti a vite in monoblocco di titanio post estrattivi, a saldare una barra di titanio che unisce tutti gli impianti presenti nell’arcata e ad applicare a fine seduta una protesi fissa circolare in resina (figg. 11 e 12).
Già in questa fase, è assolutamente indispensabile registrare alla perfezione l’occlusione statica e dinamica (48, 49). L’occlusione centrica deve essere basata su contatti assiali sui denti posteriori. La guida anteriore dev’essere presente e quanto più passiva possibile. Nel periodo che segue l’intervento, l’occlusione va ricontrollata ogni 15 giorni, compensando la ripresa di tono muscolare che progressivamente si instaura e le eventuali asimmetrie ad essa legate.
A distanza di alcuni mesi si completa l’esecuzione della protesi fissa definitiva. La radiografia panoramica di figura 13 documenta l’ottimo risultato raggiunto in rapporto alla situazione di partenza.
La procedura sopra descritta è ripetibile. Si riesce a dotare di protesi fisse affidabili nel tempo pazienti che partono da condizioni disperate. Durante il periodo del trattamento, il paziente deve essere collaborante e disponibile per poter effettuare le eventuali correzioni occlusali che si rendono necessarie per porre rimedio agli squilibri che sopravvengono in conseguenza del ripristino di una tonica attività muscolare, che si ridetermina in conseguenza della riabilitazione.
Se la cresta ossea anteriore (premaxilla) è sottile, si possono utilizzare impianti a lama, che ben si adattano a queste situazioni offrendo condizioni di grande stabilità (figg. 14 e 15). È infatti indispensabile conservare il tessuto osseo senza indebolire la tenuta delle corticali vestibolare e linguale con procedure di split crest o rigenerazione, che sono scarsamente compatibili con il carico immediato.
La tecnica Auriga è attuabile anche monolateralmente, per eseguire una protesi fissa a ponte monolaterale.
Risultati statistici
Per valutare una procedura di questo tipo sono osservabili due criteri di rilevazione statistica:
- un criterio basato sulla sopravvivenza degli impianti;
- un criterio basato sulla sopravvivenza del lavoro implantoprotesico allo stato del congedo di fine lavoro.
Reputiamo che il secondo criterio sia più aderente alla percezione del paziente. Infatti, in questa procedura, destinata a pazienti portatori di gravi ipotrofie dei mascellari, si cerca di utilizzare quanti più impianti possibile, sfruttando anche le zone più povere di osso. Il periodo di tempo in cui il paziente porta la protesi provvisoria fissa servirà a verificare il buon esito degli impianti. Qualora la semeiotica di uno di essi mostri segni o sintomi di scarsa affidabilità, è consigliabile rimuoverlo prima di procedere alla protesizzazione definitiva, prevenendo problemi successivi nell’interesse del paziente. Allo stesso modo, prima di arrivare alle fasi relative alla protesi fissa, si può anche approfittare delle sedute intermedie per aggiungere uno o più impianti. Si noti ad esempio che, nell’ortopantomografia di figura 13, rispetto all’intervento documentato in figure 9 e 10, sono stati aggiunti un impianto a vite in zona 2.4 e un impianto ad ago in zona 2.1, immediatamente saldati alla barra e caricati con la protesi provvisoria.
Auriga circolare (intera arcata superiore)
A partire dal 2004 sono state realizzate 14 intere arcate superiori per un totale di 193 elementi di protesi fissa su 121 impianti. Le specifiche sono ripotate in tabella 1.
Anno (di conclusione del lavoro) | Sesso | Iniziali | Età (Range) | N. Impianti | Pilastri distali | Elementi |
---|---|---|---|---|---|---|
2004 | F | VM | 51-60 | 8 (MS) | 2 S | 14 (1.7-2.7) |
2004 | F | PG | 71-80 | 6 (LS) | 2 S | 13 (1.7-2.6) |
2005 | F | CM | 71-80 | 8 (LM) | 2 L | 16 (1.8-2.8) |
2006 | F | SM | 61-70 | 12 (MSA) | 2 S | 14 (1.7-2.7) |
2006 | M | RG | 41-50 | 12 (LMSA) | 2 S | 15 (1.7-2.8) |
2006 | M | BG | 61-70 | 9 (LMS) | M – S | 12 (1.5-2.7) |
2007 | F | AD | 41-50 | 10 (MS) | 2 S | 15 (1.8-2.7) |
2008 | F | PE | 71-80 | 7 (LMS) | 2 S | 14 (1.7-2.7) |
2008 | F | TL | 71-80 | 8 (LMS) | L – S | 11 (1.6-2.5) |
2013 | F | PD | 61-70 | 9 (MS) | 2 S | 14 (1.7-2.7) |
2013 | F | SI | 61-70 | 7 (LMS) | 2 S | 14 (1.7-2.7) |
2014 | F | ZG | 71-80 | 7 (LMSA) | S - L | 14 (1.7-2.7) |
2014 | F | BM | 61-70 | 9 (MS) | 2 S | 12 (1.7-1.5) |
2014 | F | MM | 41-50 | 9 (MSA) | 2 S | 15 (1.8-2.7) |
Legenda (M=viti in monoblocco; S=viti sommerse; L=lame; A=cilindri sottili) |
Al momento della consegna di questo articolo per la stampa non si registrano insuccessi né dei singoli impianti né delle implantoprotesi circolari seguendo i due criteri di rilevazione sopra citati.
Auriga monolaterale
Per quanto concerne le riabilitazioni implantoprotesiche monolaterali, si è proceduto, nella prima seduta chirurgica, a inserire un impianto nel tuber, nella seconda seduta, chirurgico protesica, a distanza di 4-6 mesi, si è proceduto a:
- estrarre gli elementi dentari affetti da parodontite (quinto e, se necessario, quarto);
- inserire immediatamente gli impianti post estrattivi al posto dei denti;
- saldare in bocca con una barra di titanio i nuovi impianti all’impianto presente nel tuber;
- caricare immediatamente la struttura con una protesi fissa provvisoria.
Le emiarcate trattate nel periodo 2002-2014 sono state 28, così suddivise:
- 16 implantoprotesi quarto-settimo su tre pilastri (quarto, quinto e settimo costituito dall’impianto a vite sommersa inserito nel tuber inclinato in avanti) (fig. 16).
- 4 implantoprotesi quinto-settimo su due pilastri (quinto e settimo costituito dall’impianto a vite sommersa inserito nel tuber inclinato in avanti);
- 8 implantoprotesi quarto-settimo su due pilastri (quarto e settimo costituito dall’impianto a vite sommersa inserito nel tuber inclinato in avanti).
In una delle implantoprotesi del terzo gruppo si è registrata la frattura del pilastro mesiale e si è quindi proceduto ad eseguire una protesi fissa terzo-settimo.
In un caso, un impianto posizionato nel tuber del primo gruppo è stato estratto per infiammazione, consentendo comunque alla paziente di mantenere la protesi fissa fino al sesto, sostenuta in estensione dalla barra saldata ancorata ai due impianti presenti in zone quarto e quinto.
Discussione
La saldatura endorale secondo Mondani permette di studiare nuove soluzioni implantoprotesiche, in cui impianti sommersi e one-piece insieme permettono al paziente la migliore delle riabilitazioni. Con la tecnica denominata Auriga si lavora in grande sicurezza, cominciando da dietro la dentatura del paziente e procedendo poi alla riabilitazione con impianti che assumono subito grande stabilità grazie alla saldatura a quelli posteriori già osteointegrati. Il paziente non necessita mai di protesi mobile.
Questa tecnica, che fu pubblicata in anteprima nel 2007 negli atti di un congresso (50), è stata migliorata nel corso degli anni in alcuni aspetti chirurgici e protesici.
Eventuali impianti che vadano incontro a problemi possono essere rimossi dalla struttura implantare prima di arrivare alle fasi protesiche definitive, lasciando inalterata la forza della struttura, che poggia su numerosi impianti uniti da una barra saldata di titanio.
La saldatura immediata degli impianti li protegge da deflessioni laterali e migliora la sintomatologia postoperatoria, di norma del tutto trascurabile.
Conclusioni
La tecnica Auriga trova la principale indicazione nei casi in cui il seno mascellare sia fortemente pneumatizzato, con grave atrofia del terzo medio del mascellare superiore. Questa tecnica permette di programmare il carico immediato di intere arcate e di gestirlo nel tempo arrivando in estrema sicurezza alla protesi fissa definitiva. Con questa procedura si conserva al massimo la compliance del paziente. Per quanto riguarda le ipotesi di sviluppo, stiamo già effettuando casi inserendo impianti conometrici nella premaxilla per raggiungere risultati protesici ancora migliori. ●
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