Saldatrice endorale di Mondani. Principali applicazioni pratiche

    Saldatrice endorale di Mondani
    Fig. 1 Disegno raffigurante la saldatrice intra-orale.
    Scopo del lavoro: Tracciare il percorso storico della saldatrice endorale secondo Mondani e descriverne le principali applicazioni pratiche.
    Materiali e metodi:

    Si utilizza la saldatrice endorale di Mondani per saldare intraoralmente, in corso di chirurgia, impianti in titanio di diversa forma ad una barra di titanio od anche direttamente tra di loro, per renderli immediatamente stabili. In casi particolari, la saldatura viene utilizzata anche per saldare un impianto ad un dente adiacente.

    Risultati:

    La stabilizzazione immediata che si ottiene tramite saldatura endorale aumenta le prospettive di successo degli impianti, consente il carico immediato anche in situazioni di ipotrofia ossea o di osso scarsamente mineralizzato, serve a salvare impianti destinati a probabile fallimento, a recuperare impianti fratturati, permette di stabilizzare impianti sommersi posponendo la gestione della protesi, permette di realizzare protocolli riabilitativi efficienti per trattare casi difficili.

    Conclusioni:

    40 anni di esperienza con la saldatura intra-orale, descritti nel presente articolo, ne confermano la facilità d’uso e l’efficienza nel provvedere alla solidarizzazione immediata di impianti in titanio di ogni tipo.

    Nella letteratura nazionale ed in quella internazionale è ormai un dato acquisito che la contenzione immediata aumenti l’indice di successo degli impianti caricati immediatamente. Le prime intuizioni in merito, comprovate da casistica clinica, furono descritte da Ugo Pasqualini nel 1972, che così pubblicava: “Nella nostra esperienza, benché di fronte a non poche sconcertanti eccezioni, possiamo prudenzialmente consigliare di bloccare gli impianti o fra di loro o con altri elementi naturali il più precocemente possibile, avendo notato che l’immediata protesizzazione (eseguita secondo le regole della gnatologia) contribuisce a diminuire il numero degli insuccessi.”(1)
    Ugo Pasqualini diffuse queste sue intuizioni ad una schiera di discepoli, stimolandoli a trovare metodologie di soluzione pratica dei temi proposti. Numerosi specialisti del settore utilizzarono i più svariati mezzi di contenzione, basati per lo più sull’uso di protesi provvisorie e strutture armate in resina (2,3).

    L’ innovazione più importante in tema di contenzione degli impianti si ebbe durante gli anni ‘70, quando il dott. Pier Luigi Mondani, un dentista di Genova, presentò la sua saldatrice endorale, realizzata in collaborazione con l’Università di Modena. Con questo apparecchio fu finalmente possibile unire gli impianti tra di loro in un’unica struttura, senza soluzione di continuità e quindi senza alcun gioco tra le parti messe in contenzione. La saldatrice fu presentata ufficialmente nei primi anni ‘70, mentre la descrizione tecnica di quest’ invenzione fu pubblicata solo più tardi, nel 1982 (4). Il fine per cui Mondani si prodigò per realizzare questo apparecchio era quello di mettere in contenzione immediata gli impianti ad ago in titanio. Fino a quel momento, gli aghi di Scialom in tantalio, posizionati vicini tra di loro, venivano uniti con resina autopolimerizzabile all’emergenza dalla gengiva. Ancor più difficile risultava metterli in contenzione quando erano distanziati tra di loro, cosa che, nella norma, si gestiva usando retine metalliche in remanium che servivano a dar corpo alla contenzione, secondo un principio simile a quello del cemento armato. In effetti, tutte le meso-strutture a base resinosa potevano, sotto lo sforzo della funzione occlusale e masticatoria, staccarsi dagli aghi che, rimasti isolati, andavano facilmente incontro a problemi. L’introduzione di un dispositivo in grado di realizzare una contenzione stabile costituiva un’importante innovazione, che avrebbe consentito alla tecnica ad ago di diventare ripetibile e, quindi, scientificamente credibile. Era necessario individuare i materiali e gli strumenti adeguati.
    In quegli anni in Italia era stato seguito il suggerimento di Tramonte di convertire in titanio la produzione di impianti a vite, sinora realizzati in acciaio (5). Seguirono lo stesso trend anche le altre forme d’impianto: gli impianti a lama, gli impianti ad ago e, più tardivamente, gli impianti iuxtaossei. Questo cambiamento prese piede perché erano state rese note le qualità di resistenza alla corrosione del titanio, e si constatavano incoraggianti successi nelle sue applicazioni mediche. Il titanio veniva usato in aeronautica, essenzialmente nella lega con alluminio e vanadio, che garantiva elevata resistenza e alta temperatura di fusione. Pare che Mondani abbia tratto spunto da queste applicazioni e dagli studi che si stavano facendo per unire tra di loro, saldandole, le lastre che componevano la fusoliera degli aerei. Trovò le soluzioni adeguate per rendere idoneo all’uso sul paziente un apparecchio in grado di saldare il titanio direttamente nel cavo orale, riducendo al minimo i tempi di azione dell’ impulso elettrico, in modo tale da impedire al calore di diffondersi. Con la saldatrice veniva risolto anche il problema di unire gli impianti collocati lontani tra di loro, saldando ad essi una barra di contenzione di titanio che fungeva da travata rigida.
    La saldatrice endorale si prestò sin dall’inizio alle più svariate applicazioni.
    I dentisti esperti nell’uso di questo prezioso apparecchio, ne hanno poi individuato numerose applicazioni, che si aggiungono alla contenzione immediata degli impianti ad ago, funzione per la quale era stato ideato. Queste applicazioni vengono descritte nell’articolo che segue, con il supporto iconografico di disegni e di immagini tratte dalla casistica clinica.

    MATERIALI E METODI

    La saldatura degli impianti in titanio, secondo Mondani, dev’essere eseguita subito dopo il posizionamento degli impianti stessi.

    Saldatrice endorale di Mondani
    Fig. 1 Disegno raffigurante la saldatrice intra-orale.

    L’ apparecchio “saldatrice endorale” (figura 1) è provvisto di un accumulatore di corrente, di un potenziometro e di una pinza. Questo apparecchio emette una carica molto intensa, ma per un periodo così breve (4 msec.) che il calore sprigionato non si propaga oltre le zone limitrofe al punto di applicazione della pinza. Come presidio di sicurezza, la saldatura va comunque effettuata sotto raffreddamento con acqua. La saldatrice emette due impulsi in rapida successione. Con il primo i due pezzi vengono “puntati”, con il secondo vengono saldati. Requisito fondamentale è che i due pezzi di titanio da saldare siano in contatto tra di loro ed in contatto con i beccucci della pinza, in modo che vi sia un fluido passaggio di corrente (figura 2). La saldatura avviene per sincristallizzazione senza interposizione di saldame.

    Saldatrice endorale di Mondani
    Fig. 2 La saldatura della barra agli impianti realizza la struttura implantare.

    È possibile saldare due o più impianti tra di loro direttamente o a mezzo di una barra di contenzione di titanio.

    La struttura implantare

    Usando la barra di contenzione, si realizza un’unica struttura, costituita dagli impianti e dalla barra stessa, senza soluzione di continuità. Si costruisce un corpo unico, ossia una struttura implantare.

    Saldatrice endorale di Mondani
    Fig. 3 Al posto di una barra singola, possono essere utilizzati due o più fili di titanio sovrapposti.

    La contenzione può essere anche realizzata mediante più fili di titanio (figura 3).
    Per cercare di ridurre al minimo il volume interno della barra, la si può modellare prima di eseguire la saldatura in modo che si posizioni a centro cresta (figura 4).

    Saldatrice endorale di Mondani
    Fig. 4 La barra può essere modellata prima della saldatura in modo da farla correre a centro cresta.

    Applicazioni della saldatrice endorale di Mondani

    In linea generale, la saldatrice endorale può essere utilizzata per mettere in contenzione qualsiasi tipologia di impianto in titanio. Nello specifico, si elencano qui di seguito le applicazioni più frequenti, suddividendole in principali ed accessorie.

    Applicazioni principali:

    1. Mettere in contenzione immediata tra di loro impianti endoossei come contenzione definitiva come contenzione provvisoria
    2. Connettere nuovi impianti ad impianti endoossei già osteointegrati
    3. Stabilizzare altri impianti per prevenire problemi di stabilità per correggere problemi di stabilità

    Applicazioni accessorie:

    1. Connettere impianti già osteointegrati
      • Per realizzare una struttura più idonea per la protesi fissa
      • Per realizzare una barra di ancoraggio per la protesi mobile
    2. Mettere in contenzione tra di loro impianti endoossei e iuxtaossei
    3. Mettere in contenzione tra di loro, con adeguati connettori, denti ed impianti
    4. Ricostruire i monconi degli impianti di altezza o forma inadeguata
    5. Ricostruire impianti fratturati
    6. Connettere nuovi impianti ad impianti fratturati
    7. Mettere in contenzione gli impianti tra di loro con un filo di titanio saldato sotto la mucosa

    APPLICAZIONI PRINCIPALI

    1a. Contenzione definitiva

    Si tratta della principale applicazione della metodica di saldatura intra-orale. La contenzione immediata degli impianti influisce in senso positivo sulla loro stabilità, favorendo l’ inclusione ossea degli impianti senza tessuto connettivo interposto, ossia l’osteointegrazione. La contenzione immediata con la saldatura endorale può essere effettuata tra due o più impianti, per consentire il carico immediato e per proteggere gli impianti dall’azione espansiva della lingua (6-11). Quando se ne ravvisi la convenienza, la barra può essere mantenuta anche nella fase di protesizzazione definitiva (12-18).
    Studi recenti hanno dimostrato che la presenza della barra non crea problemi infiammatori diversi da quelli presenti con l’impianto tradizionale (19, 20).
    Uno dei vantaggi di questa metodica di contenzione è rappresentato dal fatto che, potendo essere saldati tra di loro impianti emergenti e sommersi di diversa forma, si consente all’ operatore la libera scelta dell’impianto da utilizzare (figure 5, 6).

    Arcata atrofica superiore
    Fig. 5 Arcata atrofica superiore trattata con 10 impianti di diverse forme uniti tra di loro con barra saldata.
    Protesi fissa definitiva
    Fig. 6 Protesi fissa definitiva fissata alla struttura implantare di figura 5.

    Questo aspetto non è affatto marginale, perché evita il vincolo con una sola ditta produttrice. Infatti, i sistemi di contenzione basati sull’impiego di barre avvitate sono caratterizzati da componentistica che, giocoforza, dovendosi accoppiare perfettamente, impone l’ utilizzazione di impianti della stessa casa produttrice. Questo limita le opzioni terapeutiche e quindi le possibilità di trattamento. Il problema si evidenzia particolarmente nei casi difficili, in cui l’uso di una sola tipologia d’impianto non sempre permette di risolvere il caso clinico.

    In linea di massima, quando si preveda di mantenere la barra di contenzione anche nella fase definitiva, é preferibile utilizzare impianti in mono-blocco (“one-piece”). Al contrario, quando si intenda eliminare la barra di contenzione prima di realizzare la protesi definitiva, si utilizzano impianti sommersi gestendo la fase protesica dopo l’osteointegrazione. Vi sono alcune deroghe a questa regola generale, legate alla programmazione chirurgica e protesica della riabilitazione in atto.
    Nel caso in cui s’intenda mantenere la barra di saldatura anche nella protesi definitiva (contenzione definitiva), il volume della stessa va valutato con attenzione in sede chirurgica, avendo cura di posizionarla in modo tale da evitare che condizioni negativamente la realizzazione della protesi ed in relazione agli spazi vitali di cui la lingua necessita all’interno del cavo orale. In genere la scelta di mantenere la barra è dovuta alla difficoltà del caso clinico. Infatti la barra permette di dar forza alla struttura non solo quando vi sia scarsa profondità ossea, ma anche quando gli impianti siano inseriti in modo inclinato per non invadere strutture anatomiche rilevanti, come ad esempio il forame mentoniero o il seno mascellare (figure 7-10).

    Uno studio sui criteri di mantenimento o eliminazione della barra è stato pubblicato di recente (21). In questo studio si propone l’uso di un Indice Prognostico Implantare (IPI) che classifica il rischio di insuccesso in diverse categorie, in base alla distanza inter-mascellare, all’asse dell’impianto ed alla distanza orizzontale tra le cuspidi di centrica. La presenza della barra saldata consente di mitigare l’effetto dei fattori negativi, estendendo la possibilità di trattamento anche a casi particolarmente difficili. In uno studio recente si sono riportati i dati di 14 casi di riabilitazione completa dell’arcata superiore atrofica, utilizzando 193 impianti con una procedura mista 2 tempi -1 tempo (procedura “Auriga”), con completo successo (17).

    Implantologia ad ago

    Nel caso dell’implantologia ad ago, la barra di saldatura va preferibilmente posizionata a centro cresta, in modo da consentire alla struttura su aghi il miglior assorbimento delle forze. La stessa regola vale anche per strutture implantari costruite con tipologie diverse di impianti sottili. Il posizionamento della barra a centro cresta permette di realizzare la protesi con corretti volumi interni ed esterni. L’elemento su cui la protesi andrà ad ancorarsi è costituito dall’insieme barra-monconi degli impianti.
    La tecnica di protesi presenta alcune particolarità. Necessita infatti di specifiche metodologie di impronta, di modellazione della struttura e di cementazione. Si rinvia a riguardo alla letteratura specialistica (13-14, 22-23).
    La soluzione di impianto ad aghi è particolarmente adatta a creste ossee sottili e allo sfruttamento di esigui recessi nel contesto del processo alveolare, sfruttando il principio del bicorticalismo.
    Per adeguata referenza bibliografica, si citano alcuni autori che studiarono ed approfondirono in modo determinante la tecnica ad ago negli anni ‘60-‘70: Scialom (inventore della tecnica), Ackermann, Iorio, Doms, Treves, Perni, Benkopf, Tamburo De Bella, Festuccia, Tauri, Paoleschi, Pecis, Cislaghi, Bandettini, Ballian, Cainero Iorio, Combres, Tauri, Pruin ed altri (24-47). Oggi la tecnica ad ago viene utilizzata nelle sue applicazioni specifiche ed applicando le migliorie chirurgico-protesiche derivate dalla lunga esperienza clinica maturata (48-53). Uno studio statistico su 16 anni (1996-2012) di casi clinici trattati con 351 impianti ad ago nella mandibola posteriore riporta le seguenti percentuali di successo: 99% a 5 anni e 95,8% a 10 anni (49, 52).

    1b. Contenzione provvisoria

    La saldatura può essere utilizzata per mettere in contenzione gli impianti tra di loro a fine intervento ed essere poi rimossa prima di eseguire la protesi definitiva.
    Quando, dopo aver ottenuto l’osteointegrazione sotto carico immediato, la barra viene rimossa, i passaggi protesici successivi sono agevolati dal fatto che le mucose sono già guarite e stabilizzate attorno ai monconi protesici. Infatti, qualsiasi tipologia d’impianto si utilizzi, la gestione del sigillo gengivale attorno al l’impianto va preparata già nella fase chirurgica, mentre l’impianto viene posizionato. L’ incisione della mucosa va fatta a centro cresta, nel contesto della gengiva aderente, che dovrà poi contornare il moncone dell’impianto, mantenendo una fisiologica ampiezza biologica. L’ incisione vestibolare, proposta per l’implantologia sommersa e poi abbandonata, non permette di ottenere questo risultato e non rappresenta una scelta adeguata.
    La contenzione può essere applicata a fine intervento ad impianti in mono-blocco o a combinazioni di impianti in mono-blocco e in più pezzi (id est: emergenti e sommersi) per stabilizzarli immediatamente ed essere poi rimossa dopo l’ inclusione ossea degli impianti, per eseguire una protesi fissa priva della barra di contenzione (17, 21). L’indicazione più frequente per eseguire questa procedura si ha quando in sedi adiacenti la morfologia della cresta ossea costringe ad utilizzare tipi di impianto differenti. Ad esempio, può esserci una cresta molto sottile nella zona del sesto inferiore, che può consigliare la scelta di un impianto in mono-blocco ed una cresta ampia in zona quinto, che consente l’ utilizzazione di un impianto a due pezzi (sommerso). In questo caso due o più impianti, sommersi e non sommersi, possono essere messi in contenzione temporanea, che verrà poi eliminata prima di procedere alla gestione della protesi definitiva (figure 15-18).


    L’assoluta identità di integrazione ossea tra impianti sommersi a due pezzi e impianti non-sommersi in mono-blocco è stata più volte dimostrata in letteratura (54, 55). Vantaggi notevoli si ottengono anche unendo tra di loro più impianti sommersi, dopo aver avvitato in essi i monconi di guarigione. Oltre a migliorare i requisiti biomeccanici della struttura implantare consentendo il carico immediato, si condizionano i tessuti molli già in sede di intervento, con i vantaggi già descritti in letteratura (8, 56, 57): 1. facilità di inserzione dei monconi definitivi dopo il periodo di guarigione, in tessuti già pronti a riceverli; 2. mantenimento della gengiva aderente attorno agli impianti durante il periodo di guarigione, escludendo la necessità del re-intervento per riposizionarla attorno al moncone; 3. riduzione delle sedute e dei disagi per il paziente; 4. semplicità di esecuzione; 5. miglior risultato con eccellente estetica.
    I monconi di guarigione vengono rimossi dopo essere stati separati dalla barra di contenzione, per essere sostituiti dagli abutment sui quali verrà realizzata la protesi definitiva (figure 19-20).

    2. Connettere nuovi impianti ad impianti endoossei già osteointegrati

    Questa modalità di gestione del caso clinico può essere programmata in anticipo nel piano terapeutico o può sorgere dal fatto che si debba trattare un paziente con impianti già osteointegrati.

    Modalità programmata

    In casi in cui il tessuto osseo disponibile sia scarso, il carico immediato degli impianti può dare risultati incerti. Si possono in questi casi posizionare impianti sommersi posteriormente rispetto agli elementi dentari o alle protesi fisse che si prevede di togliere. Dopo alcuni mesi, ad osteointegrazione avvenuta, si rimuovono i denti e le protesi, si inseriscono impianti adatti all’ osso atrofico e si stabilizzano con la barra di contenzione connettendoli agli impianti già osteointegrati posizionati precedentemente. La grande stabilità così costruita permette il carico immediato (tecnica Auriga, figure 21-24) (17, 58).

    Necessità insorgente

    La necessità di aggiungere impianti può insorgere per ampliare l’arcata protesica o per sostituire pilastri dentari o implantari inefficienti (figura 25). La saldatura all’impianto già osteointegrato conferisce immediata stabilità al nuovo impianto.

    saldatura all’impianto
    Fig. 25 Schema di saldatura all’impianto presente in zona 3.6 di un impianto a vite posizionato subito dopo estrazione del pilastro dentario 3.4 compromesso.

    3a. Stabilizzare altri impianti per prevenire problemi di stabilità

    Nelle situazioni in cui il solo impianto inserito non dia garanzie di stabilità per la scarsa disponibilità ossea offerta dal sito “recettore”, si può saldare un impianto ad ago, talora due, all’impianto principale, in modo da conferirgli immediata stabilità, rendendolo idoneo al carico immediato (figure 26-27) (51).


    Questa procedura di stabilizzazione immediata dell’impianto con impianti ad ago è particolarmente utile nei casi in cui la sede di inserzione dell’impianto non offra sufficiente profondità ossea, mentre un ancoraggio migliore può essere reperito nella sede ossea adiacente.

    3b. Stabilizzare altri impianti per correggere problemi di stabilità

    La saldatura di un impianto ad ago può avvenire anche in un secondo tempo, nel caso in cui vi siano perplessità dopo il periodo di osteo-inclusione. In questo caso l’ ago saldato salva l’impianto da sicuro fallimento e risolve in modo brillante situazioni di “impasse” che possono danneggiare irreparabilmente il rapporto con il paziente (figure 28-30).

    APPLICAZIONI ACCESSORIE

    4a. Connettere impianti già osteointegrati per realizzare una struttura più idonea per la protesi fissa

    Impianti già osteo-integrati possono essere uniti dalla saldatura per realizzare una struttura implantare più ritentiva.
    Qualora lo spazio verticale inter-arcate sia minimo, il moncone dell’impianto ha dimensioni molto esigue e risulta quindi poco ritentivo. La barra saldata può essere utilizzata per ampliare il volume di ancoraggio protesico (figura 31).

    Fig. 31 Quando il moncone dell’impianto sia di esigue dimensioni, la barra saldata può essere utilizzata per aumentare i volumi di ritenzione

    La saldatura di impianti già inclusi dall’ osso necessita di particolare attenzione. Infatti, la saldatura che mette in contenzione gli impianti subito dopo il loro posizionamento non crea problemi se questi vengono messi in tensione, anzi esercita un effetto distrattivo osteo-induttivo. Al contrario, dopo l’ osteo-inclusione, un eccesso di tensione potrebbe rivelarsi dannoso per l’ osso e foriero di sofferenza ossea da compressione.
    Qualora le condizioni anatomiche non siano tali da consentire il corretto posizionamento degli impianti nei confronti dell’ antagonista, la saldatura può essere utilizzata come mezzo di compensazione (figure 32-34).

    Riguardo al rapporto con l’ antagonista, un riferimento utile alla valutazione del caso è costituito dal cosiddetto IPI (Indice Prognostico Implantare) (21). Questo indice mette in relazione distanza, asse ed inclinazione del moncone implantare rispetto al centro fossa dell’ antagonista. Dall’analisi di questi tre aspetti deriva un valore dal quale si evince se è necessario o meno mantenere la barra saldata.

    4b. Connettere impianti già osteointegrati per realizzare una barra di ancoraggio per la protesi mobile

    Questa applicazione è facilmente attuabile utilizzando una barra di dimensione calibrata rispetto alle clips di ancoraggio della protesi (figure 35 e 36).

     

    5. Mettere in contenzione tra di loro impianti endoossei e iuxtaossei

    La saldatura può essere effettuata anche per stabilizzare impianti iuxtaossei. Quando il tessuto osseo residuo è ridotto alle basi ossee o poco più, l’impianto iuxtaosseo è una soluzione valida, ampiamente sperimentata. I requisiti di tenuta dell’impianto sono offerti dalla conformazione superficiale della cresta ossea residua. L’impianto iuxtaosseo può essere fuso già partendo da un disegno che preveda dei prolungamenti utili a permettere la saldatura ad impianti endoossei. La situazione migliore si realizza quando vi siano impianti endoossei preesistenti, quali ad esempio viti in titanio fratturate o posizionate allo scopo alcuni mesi prima. Questi impianti infatti offrono la migliore tenuta, stabilizzando immediatamente l’impianto iuxtaosseo che vi viene saldato. Se l’impianto endoosseo da saldare si trova all’interno del perimetro dell’impianto iuxtaosseo, la tenuta è ancora maggiore perché riduce al minimo le possibilità di dislocamento (figure 37-38) (59).

    6. Mettere in contenzione tra di loro un dente ed un impianto (cappa di Arnoldo Dal Carlo)

    Un’importante soluzione tecnica per stabilizzare immediatamente gli impianti fu proposta all’inizio degli anni ’80 da Arnoldo Dal Carlo, che la pubblicò nel 1983 (60). Una struttura costituita da una cappa metallica inglobante una barra di titanio mette in connessione stabile l’impianto al dente adiacente (figura 39).

    Fig. 39 Disegno originale di A. Dal Carlo, esplicativo della tecnica.

    In questo modo l’impianto non può muoversi e si realizzano le migliori condizioni per la rigenerazione ossea includente. Questa tecnica è particolarmente adatta al trattamento dei settori posteriori, in cui l’azione della lingua e i traumi masticatori esplicano forze dislocanti particolarmente dannose.
    In origine, si utilizzava una cappetta in titacrom inglobante un filo di titanio (60,61).
    Si passò presto alla fusione della cappetta in lega aurea, per questioni di migliore lavorabilità (figura 40).

    Fig. 40 Cappa in lega aurea inglobante barra di titanio saldata a due impianti a vite.

    A partire dal 2000, la struttura cappa-barra viene realizzata in un’unica fusione di titanio (figure 41-42).

    A fine intervento, la cappa viene cementata al dente adiacente appositamente preparato ed il filo viene saldato al l’impianto. Nessuna parte della struttura deve entrare in contatto con l’ antagonista né in occlusione statica, né in occlusione dinamica. Può essere utilizzata con impianti in titanio di qualsiasi forma, sia nell’arcata inferiore che nell’arcata superiore.
    Nel caso in cui il dente a cui la cappa viene fissata abbia rilevanza estetica, si può richiedere all’odontotecnico di rivestirla con un materiale del colore adeguato (figura 43).

    Fig. 43 Struttura cappa-barra di titanio con rivestimento estetico.

    In casi particolari, si può proteggere l’impianto dai traumi endorali cementando nel canale di un dente adiacente un perno endo-canalare di titanio e saldando l’impianto al dente mediante una barra di titanio (figura 44).

    Fig. 44 Schema di impianto saldato con una barra a perno endocanalare di titanio.

    Si tratta di una variante d’urgenza della cappa di A. Dal Carlo, molto utile in casi particolari (61).

    7. Ricostruire i monconi degli impianti di altezza o forma inadeguata

    Quest’ applicazione della saldatura permette di correggere difetti di altezza e volume del moncone dell’impianto (61). La saldatura di un supporto di titanio al moncone dell’impianto deve essere effettuata sempre in modo da far sì che il passaggio della carica elettrica sia concentrato in un solo punto. Per questo è consigliabile che si saldino al moncone dell’impianto le parti aggiuntive una alla volta. Prima di procedere alla saldatura, è consigliabile fresare vestibolarmente e lingualmente la parte emergente dell’impianto in modo da dargli lo spazio utile ad accogliere la barretta e far sì che non vi siano sovra-contorni. La barretta va saldata da ambedue le parti del moncone, adattando e saldando prima un pezzo da una parte, poi dall’altra. Bisogna sempre controllare che la saldatura avvenga tra barretta e impianto e non tra i pezzi di barretta tra di loro (figura 45).

    Fig. 45 Schema di procedura di ricostruzione di moncone di impianto.

    La preparazione del moncone dev’essere fatta in modo che la corona protesica appoggi, con il bordo di finitura, sull’impianto e non sulla barretta saldata, in modo da non gravare le saldature di troppo carico (figura 46).

    Fig. 46 La preparazione della struttura deve essere preferibilmente eseguita in modo da consentire alla corona protesica di scaricare le forze sulla porzione d’impianto emergente dall’osso.

    8. Ricostruire impianti fratturati

    Un’ applicazione estremamente utile della saldatrice è quella che consente il recupero degli impianti fratturati. Si evita al paziente la carotazione necessaria a togliere l’impianto e la delusione del fallimento. Si può infatti ricostruire il moncone residuo con l’aiuto della saldatrice ed andare a rendere così nuovamente funzionale l’impianto danneggiato (61) (figure 47-48).


    Questa tecnica può anche servire per consentire al paziente di portare una protesi fissa in fase provvisoria. Se, ad esempio, si frattura un impianto posto in zona 46, che era pilastro di un ponte di protesi fissa 44-46, si può recuperarlo con la saldatrice ed inserire un impianto in zona 47. Durante il periodo utile all’ osteo-inclusione in stato di quiescenza del nuovo impianto, il 46 ricostruito con la saldatrice porterà la protesi provvisoria assieme al pilastro 44. Quando l’impianto posto in zona 47 sarà andato incontro ad inclusione ossea (ostointegrazione), si potrà realizzare un ponte 44-47 e procedere all’estrazione del 46. In questo modo il paziente non sarà mai stato privo di una protesi fissa che, alla fine, sarà addirittura più estesa della precedente.
    Molto spesso, alla frattura del moncone dell’impianto si abbina una situazione di perfetta osteo-inclusione della parte endoossea, per cui l’eventuale estrazione comporta la carotazione di un blocco consistente di tessuto osseo. In queste condizioni, utilizzare la medesima sede ossea per inserire un nuovo impianto può essere complicato. Il recupero dell’impianto con la saldatrice evita quindi al paziente un intervento più pesante e demolitivo. L’impianto può anche essere semplicemente raso a zero a livello osseo e lasciato quiescente sotto-mucosa. Il paziente di norma non ne deriva alcuna infiammazione, né alcuna sintomatologia, poiché l’impianto é in titanio. Si tratta della soluzione meno impegnativa per il paziente anche se va sottolineato che, anche in assenza di sintomatologia, una radiografia che documenti un impianto fratturato può suscitare nei colleghi commenti sfavorevoli.
    Non sempre, dopo la frattura, la parte di moncone residuo che emerge dalla mucosa è sufficientemente esposta da consentire una facile ricostruzione del moncone. Talvolta il moncone si frattura profondamente, al di sotto del margine gengivale, a livello dell’ osso. È questo infatti il punto in cui l’impianto è sottoposto alle maggiori sollecitazioni. In questi casi si rende necessario aprire un lembo buccale ed uno palatale per esporre il moncone residuo ed eseguire un’osteoplastica in modo da esporre il moncone per almeno tre millimetri. È indispensabile verificare di poter manovrare con la pinza in modo tale da raggiungere con i beccucci ambedue i versanti del moncone residuo, in modo da eseguire una saldatura di buona qualità. Altrimenti si rischia di puntare solamente la sommità del moncone, con affidabilità limitata.

    9. Connettere nuovi impianti a impianti fratturati

    Gli impianti fratturati possono servire da stabilizzazione per nuovi impianti, conferendo loro la stabilità immediata utile a favorire l’ osteointegrazione. Trattandosi di titanio, la presenza di un monconcino emergente dalla mucosa non crea problemi igienici. Se la sua collocazione è intermedia tra i pilastri della protesi fissa, può essere protetto dalla travata (figura 49).

    Fig. 49 Saldatura di due nuovi impianti a un impianto osteointegrato fratturato a livello dell’emergenza dal tessuto osseo.

    10. Mettere in contenzione gli impianti tra di loro sotto mucosa

    Si tratta di un’ applicazione esoterica della saldatura che permette di avere impianti saldati tra di loro, ma monconi separati come se non vi fosse saldatura (61). La tecnica consiste nel posizionare gli impianti e poi procedere ad infilare sotto la papilla inter-dentale un filo di titanio, internamente rispetto agli impianti, e nel saldare così gli impianti tra di loro. In questo modo, possono essere eseguite corone protesiche singole con spazi tra di loro, ma con impianti in contenzione (figure 50-53).


    La tecnica è anche utile a risolvere quei casi in cui sia indicato mettere in contenzione gli impianti tra di loro, ma vi siano diastemi che sia indicato mantenere, per non modificare un aspetto che caratterizza l’estetica del paziente.

    Saldatura alta o saldatura bassa?

    Il filo o la barra di saldatura possono essere posizionati a diverse distanze dalla mucosa, in dipendenza delle necessità. Dal punto di vista biomeccanico, la soluzione migliore è posizionare la contenzione il più apicalmente possibile (saldatura “bassa”), perché il momento flettente gravante sull’impianto è così ridotto al minimo. Di conseguenza, come regola generale, si esegue una saldatura bassa e una protesi che ingloba la barra (figura 54).

    Fig. 54 Protesi a contatto con le mucose su saldatura bassa.

    Fanno eccezione i casi di atrofia posteriore molto marcata, in cui si ottengono i migliori risultati portando la saldatura più coronalmente, in modo da poter realizzare una protesi sciacquabile (saldatura “alta” figura 55) (13, 14, 62).

    Fig. 55 Protesi distanziata dalle mucose su saldatura alta.

    Effetti della saldatura sulla sintomatologia

    La saldatura è un elemento che riduce la sintomatologia post-operatoria da parte del paziente. Il paziente risente subito beneficio dalla contenzione immediata. Questo aspetto è particolarmente importante nei grandi interventi, quali ad esempio le riabilitazioni totali di un’arcata, in cui, stabilizzando immediatamente gli impianti, allevia la sintomatologia e consente subito al paziente di sciacquarsi, dandogli un’ immediata sensazione di sollievo.
    Nel caso in cui, a distanza di tempo dall’intervento, durante la fase provvisoria di carico, un impianto sottile si stacchi dalla barra saldata e diventi sintomatico, la stabilizzazione tramite una nuova saldatura alla barra fa regolarmente scomparire la sintomatologia, perché annulla le forze dislocanti.
    Nei grandi interventi, si può trattare il paziente per zone, mettendo in contenzione gruppi di impianti, in modo da non dover tornare a agire sugli impianti che si sono inseriti all’inizio dell’intervento, in zone in cui l’ anestesia sta affievolendo il suo effetto.

    RISULTATI

    L’analisi di alcuni studi statistici eseguiti dal nostro gruppo di ricerca ci induce a suggerire l’impiego della saldatura endorale come presidio routinario quando si vogliano caricare subito gli impianti. La scelta se mantenere la barra di contenzione nella protesi definitiva o rimuoverla prima di completarla dipende dalla valutazione dei requisiti biomeccanici della struttura implantare rispetto al contesto in cui va ad inserirsi. Alcuni protocolli di riabilitazione a lungo testati dal nostro gruppo di ricerca hanno dato risultati statistici molto confortanti. In particolare, come sopra riportato, uno studio su 193 impianti a vite e lama utilizzati in casi di atrofia superiore con tecnica Auriga ha dato risultati di completo successo e uno studio su 351 impianti cilindrici sottili in titanio inseriti nella mandibola inferiore atrofica ha dato risultati del 99% a 5 anni e del 95,8% a 10 anni. Resta il fatto che il corretto impiego della saldatura intra-orale comporta una adeguata curva di apprendimento.
    Le numerose applicazioni accessorie hanno talora un valore decisivo per migliorare la compliance del paziente.

    DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

    La contenzione degli impianti è una soluzione la cui efficacia è ormai universalmente accettata dalla letteratura mondiale (63-65). In Italia e nei paesi latino-americani, la saldatrice endorale di Mondani si usa dagli anni ‘80. È il mezzo più rapido e sicuro per unire e stabilizzare gli impianti tra di loro. Nel mondo nord-europeo e nord-americano, la saldatrice non ebbe all’epoca il dovuto successo, per presunti problemi tecnici legati al suo impiego, dovuti più all’ inadeguata preparazione degli operatori che l’hanno provata estemporaneamente che ai problemi della macchina. Per essere commercializzate a marchio CE, le saldatrici odierne devono passare una serie di test di sicurezza. Va considerato che questo apparecchio permette di saldare tra di loro impianti in titanio di qualsiasi forma e marca. Lasciamo alla fantasia del lettore le resistenze che questo può provocare nell’industria e nei suoi “opinion-leaders”, impegnati nella promozione di complessi e costosi metodi di contenzione avvitata.
    La soluzione alternativa che viene proposta dalla letteratura prevede che si usino impianti sommersi ai quali viene, a distanza di alcuni giorni dall’intervento, avvitata una meso-struttura in lega metallica. Il fatto di eseguire una contenzione alla fine dell’intervento mediante saldatura endorale consente di evitare la sollecitazione degli impianti a breve distanza di tempo dall’intervento, svitando ed avvitando componenti che possono compromettere la stabilità stessa degli impianti. Oltre a determinare problemi nella manipolazione di impianti da poco inseriti, questa soluzione porta molto in alto, rispetto al margine osseo, il punto di contenzione, aspetto che può favorire l’ insuccesso. Anche con impianti sommersi, la saldatura è una procedura molto più semplice ed efficace, ed ha il supporto documentato di 20 anni di esperienza clinica. La saldatura di impianti emergenti e sommersi per il carico immediato segue regole ben codificate osservando le quali si riduce al minimo la possibilità d’insuccesso. La saldatrice endorale è un apparecchio dall’uso semplice e versatile, che consente di aumentare la stabilità primaria, migliorando e semplificando la procedura di contenzione degli impianti in titanio. Le sue applicazioni sono molto numerose. Questo ne fa un investimento sicuro nella professione odontoiatrica, che cambia in meglio la qualità del lavoro.

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    To cite:

    Doctor Os • Maggio 2017 • XXVIII 05

    Materials and methods:

    The Mondani intraoral welder is used to weld intraorally, in course of surgery, titanium implants of any shape by means of a titanium bar or also directly between them. In particular cases, the welding is also used to weld animplant to an adjacent tooth.

    Aim of the work:

    Trace the historical process of intra-oral welding according to Mondani and describe the main practical applications.

    Results:

    The immediate stabilization achieved by intraoral welding increases implants success rate, allows immediate loading even in situations of bone atrophy, to save implants that are running into failure, to re-evaluate fractured implants, it allows to stabilize submerged implants postponing the management of the prosthesis, allows to realize efficient rehabilitation protocols to treat difficult cases.

    Conclusion:

    The 40-years experience with intra-oral welding, described in this article, confirms the ease of use and efficiency in providing the immediate stabilization of titanium implants of all types.