L’editoriale di una delle ultime edizioni della prestigiosa rivista “Aspenia”, titolata “L’anno del cigno nero”, sottolinea che un’epidemia, una pandemia, come ricorda Zanny Minton Beddoes, direttore dell’Economist, è qualcosa di più di una malattia.
E ciò perché mette alla prova i servizi sanitari di una società, i suoi politici, l’efficienza del governo e l’economia. E’ un test che sta ponendo l’Italia in grande difficoltà, così come molti altri paesi.
Si è sempre insistito sul fatto che anche la professione odontoiatrica vada contestualizzata nel tessuto socio-economico-politico del Paese.
Era così prima del Covid-19, lo è anche ora. I paradigmi di riferimento rimangono inalterati e ciò aiuta a riflettere rispetto ad eventuali modificazioni dell’esercizio professionale.
Vale la pena ricordare che nel nostro Paese l’odontoiatria, particolarmente onerosa in termini di gestione economica e di adempimenti burocratici, per oltre il 90% viene svolta in regime privatistico libero professionale.
Dando per scontato che tutti i cittadini agognino di avere dentature gnatologicamente ed esteticamente perfette, è evidente che il soddisfacimento di questa aspirazione sia strettamente legato alla capacità di spesa del paziente, oltre che alla sua sensibilità culturale che spesso, tra l’altro, lo porta a priorità di scelte alternative alle spese per la salute del cavo orale, complice il modello sociale consumistico.
In tal senso la situazione economica del Paese è ben nota, con un indebitamento pro-capite tra i più elevati del mondo, situazione pesantemente peggiorata per il Covid-19, tanto da portare la Comunità Europea ad aprire linee creditizie impensabili sino all’anno scorso.
D’altro canto, proprio in funzione di quanto esposto, nell’ultimo decennio, per far quadrare i conti delle leggi di stabilità che si sono susseguite, si è pesantemente tagliato proprio sui fondi destinati alla scuola, ponendo così le basi per un disastroso impoverimento culturale delle future generazioni, e alla sanità.
In questa situazione non è difficile immaginare i contraccolpi economici per i cittadini italiani e soprattutto per quella middle class che da sempre è stata la nostra risorsa più importante in termini di pazientela.
Pensionati e lavoratori dipendenti, soprattutto pubblici, manterranno parzialmente il loro potere d’acquisto, mentre per le altre categorie, partite IVA ed imprenditori, il futuro si prevede molto incerto.
E non si pensi, visto l’atteggiamento culturale della politica nei confronti della branca medica odontoiatrica, che l’ipotetico arrivo dei 36 miliardi di euro del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) possa in qualche modo interessare la professione (neppure quella esercitata in modo residuale dal SSN).
Un aspetto negativo, forse il più importante, conseguente al lockdown, è l’interruzione di quel percorso virtuoso che tanto ha dato in termini di miglioramento dello stato di salute orale, per disaffezione alla frequentazione dello studio per le visite periodiche, magari influenzato dal timore di contrarre il virus.
Insomma, non è necessario ricorrere ad un algoritmo per immaginare le importanti incertezze del comparto nei prossimi mesi.
Di più. Le necessarie indicazioni operative dedicate all’odontoiatria nella fase 2 della pandemia portano ad un rallentamento dell’esercizio quotidiano e quindi ad un incremento dei costi e a un decremento dei ricavi, visto l’allungamento dei tempi tra un paziente e l’altro.
La leva di un aumento degli onorari, come qualche collega sta pensando di introdurre, rischia di inasprire la situazione sopra descritta e ciò andrebbe a disincentivare l’accesso alle cure.
A proposito di indicazioni operative, è importante sottolineare che la professione odontoiatrica, peraltro indicata la più a rischio, soprattutto per la produzione di aerosol, sia quella particolarmente attenta sia in termini di DPI che per tutti gli adempimenti previsti dalle autorizzazioni sanitarie regionali, non ultima la sanificazione dei locali e la sterilizzazione degli strumenti, che da sempre tutelano maggiormente pazienti, odontoiatri e personale di studio.
Qualcuno si spinge a sostenere che sia più facile contrarre il virus in ambienti esterni piuttosto che in uno studio dentistico.
Considerazione suggestiva e per certi versi sostenibile. Sul punto vale la pena interrogarsi su quale sarà la situazione tale per cui, per lo studio odontoiatrico, così come per molte altre attività, si potrà tornare “alla normalità”, scongiurando che le misure introdotte dalle indicazioni operative diventino strutturali.
Attenzione perché questo passaggio sarà fondamentale e dovrà essere gestito con chiarezza e determinazione da chi ha realmente le capacità, culturali e di relazioni politiche, per farlo.
Guai a situazioni ambigue che lascino i colleghi esposti a controlli di NAS o ASL con possibili pesanti sanzioni.
Un altro aspetto negativo, forse il più importante, conseguente al lockdown, è l’interruzione di quel percorso virtuoso che tanto ha dato in termini di miglioramento dello stato di salute orale, per disaffezione alla frequentazione dello studio per le visite periodiche, magari influenzato dal timore di contrarre il virus.
Insomma, vado dal dentista solo quando ne ravvedo la necessità, perché ho mal di denti o altro.
In tal senso, quanti pazienti si sono “persi” durante il lockdown?
In termini più generali mi si consenta, da cittadino della mia Bergamo, epicentro dell’epidemia nel nostro Paese, di avanzare molte perplessità su come è stata affrontata questa triste vicenda, sotto un profilo medico, politico ma soprattutto organizzativo.
Pur con l’impoverimento del Servizio sanitario nazionale, anche per la già citata riduzione di stanziamenti economici, con i progressi ottenuti in moltissime branche della medicina, è difficile immaginare quanto è accaduto.
Solo il tempo, ma che davvero dev’essere galantuomo e quindi obbiettivo, potrà cercare di fornire una chiara lettura su quanto avvenuto ed eventualmente indicare profili di responsabilità (OMS in primis) anche in termini di strumentalizzazione politica, visto che, nelle prossime settimane, potrebbero presentarsi altre emergenze con la riapertura delle scuole e con tutto ciò che vi è di contorno.
Altro che sicurezza negli studi odontoiatrici! La sopracitata retrospettiva sarà fondamentale, soprattutto se non troppo tardiva, per attrezzarci verso future pandemie (come profetizzato da Bill Gates e da altri visionari).
Già perché non si vorrebbe mai che dopo Covid-19, ci aspettasse il 20, 21 e così via.
Credo che l’intera, e per molti versi tragica, vicenda Covid-19 sia stata affrontata con una determinazione culturale complessivamente inadeguata.
Questa difficile esperienza potrebbe avere ricadute sulla professione e, in caso affermativo, di che portata?
Certamente le criticità che caratterizzano l’odontoiatria non potranno che acuirsi, anche solo in termini psicologici.
La tendenza ad un allungamento della vita professionale a cui si stava assistendo negli ultimi anni potrebbe ridimensionarsi, come sta già avvenendo per i colleghi medici di base.
Fare odontoiatria oggi è troppo complicato.
I ricordi di una professione che non c’è più porteranno i colleghi più maturi ad abbandonare la professione una volta raggiunta l’età della pensione.
Fare odontoiatria oggi è troppo complicato. I ricordi di una professione che non c’è più porteranno i colleghi più maturi ad abbandonare la professione una volta raggiunta l’età della pensione.
La tendenza all’esercizio professionale in termini collaborativi andrà probabilmente implementandosi.
In tal senso qualche problema occupazionale potrebbe manifestarsi, proporzionalmente allo stato di difficoltà in cui versano le “catene odontoiatriche” cui afferiscono molti giovani laureati, sempre più consapevoli che l’odontoiatria non è terreno da business.
Paradossalmente questa tragica vicenda potrebbe rilanciare la centralità dell’esercizio professionale in forma associata o societaria, che sia davvero al passo con i tempi in termini imprenditoriali ed organizzativi (si tralascia volutamente ogni considerazione rispetto alle indiscusse competenze cliniche dell’odontoiatra italiano) e che sappia rispondere con efficacia alle aspettative di una “domanda” che sarà sempre più afflitta da problematiche di natura economica, anche con provvedimenti legislativi che consentano una reale valorizzazione della sanità integrativa.
Ma tutto ciò sarà possibile solo con un forte impegno innovativo da parte degli studi oggi operanti sul territorio e che portano in dote una pazientela acquisita che davvero si può considerare un patrimonio, frutto anche di una continuità terapeutica maturata con il tempo.
Questo obiettivo, che prevede l’inserimento graduale di giovani colleghi, richiede un coraggioso atteggiamento imprenditoriale che si fondi sulla rinnovata consapevolezza degli interessanti aspetti che la nostra professione contempla con uno sguardo lungo sul futuro, impregnato di ottimismo.
In fondo un aspetto positivo Covid-19 lo ha avuto nel valorizzare l’indispensabile funzione della medicina.
E di ciò tutto il Paese è consapevole e grato.