Il punto (soggettivo) sulla ricerca in odontoiatria

Il punto (soggettivo) sulla ricerca in odontoiatria
Il punto (soggettivo) sulla ricerca in odontoiatria

Ad uno sguardo superficiale, basandoci esclusivamente sui numeri, non possiamo non notare che nell’ultima decade c’è stata letteralmente una “esplosione” di pubblicazioni in odontoiatria, con decine di migliaia di articoli pubblicati annualmente da numerosissime riviste del settore, spesso di recente creazione e mai sentite prima.

Andando ad approfondire e provando a valutare queste migliaia di nuove pubblicazioni, ben poche si avvicinano a quell’affidabilità scientifica su cui poter basare delle decisioni cliniche. Analizzando il motivo alla base di tale esplosione di articoli a livello mondiale, non possiamo non osservare che per poter avanzare nel mondo accademico sono necessarie sempre più pubblicazioni. Vorrei sottolineare nuovamente che questo non è un problema nazionale, ma globale. Di conseguenza le case editrici hanno fiutato il business e in pochi anni sono nate migliaia di nuove riviste che hanno fondamentalmente alcune caratteristiche in comune: revisioni dei manoscritti sottoposti in tempi brevissimi e pubblicazioni rapide solo online in versione open access, per cui chiunque può accedervi senza dover pagare alcunché.

Ne consegue un sensibile decadimento della qualità degli articoli proposti: spesso i testi online non sono neanche formattati. Ho recentemente letto vari articoli pubblicati online che presentavano ancora i commenti dei revisori e i punti di domande nel testo. Questo ovviamente abbatte notevolmente i costi di pubblicazione, legati in misura maggiore a stampa e spedizione delle riviste cartacee.

Mi pare superfluo ricordare che le case editrici non sono enti di beneficenza, al contrario fanno pagare quote che di solito vanno fra i 2000 e i 3000 euro a chi vuol pubblicare un lavoro scientifico. Non a caso molte di queste nuove riviste sono state definite “predatorie” e la Cina, non a sorpresa, sta facendo la parte del leone, avendo ampiamento superato in numero di pubblicazioni gli Stati Uniti. Pubblicare ad ogni costo potrebbe non essere sufficiente, in quanto molte università richiedono di pubblicare su riviste considerate fra le migliori in base ad alcuni indici, tra cui l’Impact Factor (IF). In pratica questo indice è calcolato in base a quante volte gli articoli di una data rivista sono citati da altri articoli. Più gli articoli della rivista vengono citati e più aumenta il fattore di impatto.

Esistono altri indici simili recentemente inventati da quelle riviste che non sono ancora riuscite ad essere impattate sui più importanti database per la ricerca di articoli. È utile notare che questi indici sono stati creati e gestiti da alcune case editrici con un evidente conflitto di interessi. Andrebbe sottolineato che questi indici non sono indici di qualità, ma di popolarità. In altre parole, sono come i like che alcuni post ricevono sui social, in cui più like hai è più sei popolare, ma il contenuto del post non viene affatto valutato.

A questo punto gli autori più prolifici, e non solo, si ritrovano le caselle e-mail letteralmente intasate da richieste di articoli, di inviti ad entrare in nuovi fantomatici comitati editoriali, richieste di fare da referee per articoli che non sarebbero pubblicati neanche su Topolino. Ogni giorno, passo diversi minuti a cancellare e-mail di questo tipo che mi saturano la casella di posta elettronica e che mi infastidiscono come le chiamate sul cellulare di vari venditori di energia elettrica e similari. Siccome sono stato invitato a redigere questo editoriale, in via del tutto eccezionale ho aperto la prima e-mail a caso ricevuta e udite udite – riporto il testo in maniera letterale – ecco cosa mi offrono: “Article acceptance notification: within 24 hours” e “We are publishing present issue articles only for 249$”. Mi chiedo come si faccia a resistere a un’offerta così generosa…

Analizzando il motivo alla base di tale esplosione di articoli a livello mondiale, non possiamo non osservare che per poter avanzare nel mondo accademico sono necessarie sempre più pubblicazioni.

Appare chiaro quindi che purtroppo la qualità della ricerca dell’ultimo decennio si sia sensibilmente deteriorata, a dispetto di un importante aumento del numero delle pubblicazioni, per cui la citazione di Altman DG del 1994 “We need less research, better research, and research done for the right reasons” è purtroppo sempre più attuale. Il mio capo mi disse una volta che chi solleva un problema ma non ha una soluzione è concausa del problema stesso. In questo caso la soluzione è molto complessa e difficilmente applicabile considerata la moltitudine di interessi in gioco. Si potrebbe stabilire, come ho visto fare in alcune università scandinave, che le valutazioni per le assunzioni/promozioni accademiche si debbano basare sulla qualità di poche ma selezionate pubblicazioni scientifiche. Per esempio, si potrebbero usare le migliori cinque pubblicazioni per diventare ricercatore, le migliori dieci per diventare associato e magari le migliori venti per diventare ordinario. Queste dovrebbero essere valutate in maniera “soggettiva” da un comitato internazionale. Ovviamente la partita la si giudicherà sulla scelta dei revisori internazionali, e alla fine un discreto livello di soggettività sarà inevitabile. Non siamo più sul baratro con rischio di cadere, ma ci siamo già caduti dentro e siamo pieni di fratture, per cui se vogliamo tornare ad avere un po’ di credibilità dobbiamo fare le cose seriamente, oppure lasciamo perdere e facciamo come sui social, pubblichiamo i nostri articoli direttamente su Facebook, o volendo essere più professionali su ResearchGate o creiamo una nuova piattaforma dedicata, e contiamo i like ricevuti.