È difficile scrivere un editoriale su un argomento la cui evoluzione è quotidiana, vi è un coinvolgimento diretto dell’odontoiatria, l’attenzione è massima, il rischio di cadere nella retorica è alto e vi è un’infodemia dilagante con una strage di opinioni.

Confido quindi nella comprensione del lettore, sia per l’inattualità di alcune riflessioni sia perché alcune di queste potrebbero essere non condivisibili. Riflessioni che magari, io stesso, quando rileggerò non mi troveranno d’accordo, esercitando la dinamica naturale del pensiero.

Ritengo che quanto stia succedendo sia stata una straordinaria occasione per la nostra professione. Non tanto per la retorica del teorema di Quarantelli (peggiore è la situazione, migliori diventano le persone) o del pensiero di Einstein (è nella crisi che emerge il meglio di ognuno), piuttosto per dare autorevolezza e prestigio all’odontoiatria.

Era una occasione per dire chi siamo, cosa possiamo fare per la salute dei pazienti, inserirci in modo inderogabile nel sistema salute, raccontare che i nostri studi sono da sempre luoghi sicuri per evitare le malattie infettive e rappresentare una categoria compatta che si muove all’unisono. Esprimere dunque una nostra identità, in modo forte ed incisivo.

Relativamente ai protocolli si è manifestato un diffuso, anarchico ed autoreferenziale desiderio di stilare procedure anti CoVid.

Desiderio giustificato dal frangente, espressione dell’amore per la nostra professione e soprattutto sostenuto dalla notevole competenza degli odontoiatri nella gestione della prevenzione di malattie infettive.

Tutte le proposte di protocolli avrebbero potuto, insieme ed in modo coordinato, essere massimizzate e contribuire ad un processo globale di stesura di un unico e condiviso protocollo.

Era sufficiente che tali protocolli venissero condivisi con le autorità competenti piuttosto che sui social, creando smarrimento tra gli odontoiatri e tra i nostri pazienti. A fronte di tale situazione è stato giustamente istituito un tavolo tecnico ministeriale che, in modo faticoso, dovrà riprendere istanze e desideri di tutti.

Sono molte le caratteristiche che confido saranno proprie delle procedure che ci proporrà il tavolo tecnico. Confido siano efficienti, come giusta integrazione rispetto alle già importanti procedure che adottiamo nei nostri studi per la prevenzione delle malattie infettive.

Confido siano applicabili e realizzabili. Comprendo la tentazione di stendere protocolli straordinariamente preventivi, ma penso si debbano produrre regole semplici ed applicabili, affinché possano essere adottate realmente da tutti: forse è meglio che tutti adottino protocolli efficienti, piuttosto che pochi ne eroghino di eccellenti.

Confido siano flessibili, per non fare dell’odontoiatra “tutta un’erba un fascio”. Le procedure odontoiatriche, infatti, hanno un rischio di trasmissione infettiva diverso, in cui l’emissione di aerosol pone una netta differenza. Per questo sarebbe utile, per esempio, diversificare la consegna di un allineatore ortodontico, rispetto ad una lunga seduta di igiene orale professionale.

Ad oggi leggo invece di protocolli per l’odontoiatria degni di un reparto CoVid, dove il meglio è nemico del bene, e dove sono definite procedure pronte a diventare strumenti utilizzabili dai pazienti contro gli odontoiatri per contenziosi medico legali.

Nel periodo di emergenza CoVid si è fatta dilagante l’idea che gli studi odontoiatrici dovessero rimanere chiusi ed erogare esclusivamente prestazioni urgenti. Tale messaggio, in modo indiretto e non scritto, potrebbe aver generato alcune interpretazioni nei nostri pazienti.

Potremmo pensare ad interpretazioni positive, con gli odontoiatri professionisti etici, perché responsabili nell’impegnarsi a fare rimanere a casa le persone.

Oppure negative, con gli odontoiatri che non sono in grado di gestire i pazienti potenzialmente CoVid tanto da attuare nuovi e rigorosi protocolli preventivi. Ed ancora, con gli odontoiatri che rimandano le prestazioni senza problemi, perché ritenute non importanti per la salute.

Questa visione negativa potrebbe portare il paziente ad avere più paura del dentista e a considerare il nostro operato come non medico.

Indipendentemente dall’interpretazione dei pazienti, chiedersi quale sia la loro percezione verso di noi in questo momento credo che sia cosa importante, nel bene o nel male.

Ritengo che quanto stia succedendo sia stata una straordinaria occasione per la nostra professione. Non tanto per la retorica del teorema di Quarantelli (peggiore è la situazione, migliori diventano le persone) o del pensiero di Einstein (è nella crisi che emerge il meglio di ognuno), piuttosto per dare autorevolezza e prestigio all’odontoiatria.

In tale scenario l’odontoiatria italiana si è praticamente bloccata. Era logico che gli odontoiatri, dotati di forte senso di responsabilità, non potessero continuare a lavorare come se nulla fosse.

Dopo il periodo di picco emergenziale, ogni odontoiatra avrebbe però potuto – in scienza e coscienza – esprimere le già alte competenze in tema di trasmissione delle malattie infettive ed erogare, oltre alle urgenze, prestazioni non rinviabili a basso rischio infettivo, prive dell’emissione di aerosol, con rigorosi controlli dei pazienti all’ingesso, puntuali accorgimenti e DPI adeguati. Perché alcuni studi odontoiatrici sono invece rimasti chiusi?

In ogni decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è stato consentito l’espletamento della “assistenza sanitaria” (codice ATECO 86) e, in una successiva precisazione, è stato specificato che le strutture sanitarie private, ivi compresi gli studi odontoiatrici, potessero continuare ad erogare i propri servizi “esclusivamente per le prestazioni che i professionisti giudichino non rinviabili”.

Ciò nonostante si è diffuso il principio di operare solo per “prestazioni urgenti”, richiamando ad eventuali provvedimenti disciplinari per grave violazione deontologica qualora questo principio fosse disatteso. Quindi, da una parte il professionista che eroga solo prestazioni urgenti, dall’altra il professionista che eroga prestazioni che giudica non rinviabili.

Nel primo caso solo urgenze (pulpiti, ascessi, flemmoni), nel secondo caso l’odontoiatra che, in autonomia e con responsabilità, decide quali sono le prestazioni che è meglio eseguire ora per il bene del paziente (rimuovere punti di sutura, consegnare una protesi già realizzata per fare masticare il paziente, applicare una corona già pronta perché tra un mese non va più bene, cambiare un filo ortodontico perché il dente si muove troppo…).

Ovviamente quest’ultima ipotesi senza eseguire prestazioni ordinarie e con l’integrazione di ogni adeguata procedura preventiva. Norme preventive adeguate che sono state adottate per la gestione delle urgenze.

In tale scenario l’odontoiatria italiana si è praticamente bloccata. Era logico che gli odontoiatri, dotati di forte senso di responsabilità, non potessero continuare a lavorare come se nulla fosse.

Ritengo stupenda la frase “esclusivamente per le prestazioni che i professionisti giudichino non rinviabili”, per il richiamano alla responsabilità di giudizio di ogni professionista.

Quella responsabilità che, assieme ai nostri valori, sarebbe potuta diventare una grande occasione da descrivere e condividere con i nostri pazienti.

Avremmo dovuto da subito, con strategie di comunicazione, spiegare le doti etiche ed i principi che ci hanno portato a ridimensionare drasticamente la nostra attività, senza chiuderla.

Raccontarci, soprattutto per affermare che l’odontoiatria è “assistenza sanitaria”, che deve essere fatta per la salute del paziente, che le prestazioni odontoiatriche sono importanti seppur rinviabili e, soprattutto, per attestare che l’odontoiatra è un operatore sanitario autonomo ed affidabile.

“Ci sono medici ed infermieri che fanno il loro dovere, anzi di più, senza dover ricorrere a questa insopportabile retorica della guerra … i medici non sono sotto le armi, ma sono persone che fanno straordinariamente bene il loro dovere”

Massimo Cacciari

Non credo assolutamente ci sia stato un passo indietro della nostra categoria, piuttosto poca attenzione nello sfruttare tale momento per fare in modo che l’ingresso nella “fase 2” non fosse solo la necessità di avere protocolli preventivi, piuttosto anche l’opportunità di adottare strategie di comunicazione per riaffermare la nostra credibilità e il nostro valore in modo forte.

È sotto gli occhi di tutti l’inesauribile impegno e altissimo senso del dovere dei sanitari italiani. Massimo Cacciari ha detto che “ci sono medici ed infermieri che fanno il loro dovere, anzi di più, senza dover ricorrere a questa insopportabile retorica della guerra … i medici non sono sotto le armi, ma sono persone che fanno straordinariamente bene il loro dovere”.

Guardo loro con ammirazione e mi sarebbe piaciuto che quel dovere fosse anche nostro, perché teniamo alla salute dei nostri pazienti in modo forte, eseguiamo prestazioni odontoiatriche non rinviabili e vogliamo che i pazienti non corrano rischi ma, allo stesso tempo, siamo pronti a curarli in ogni modo.

Sono due le conclusioni che mi sento di portate, entrambe forse utili per una presa di coscienza opportuna in questo scenario: la straordinaria capacità del nostro sistema sanitario e la naturale debolezza della vita.

Il sistema sanitario nazionale nasce in attuazione dei principi costituzionali sotto la spinta di Tina Anselmi nel 1978, per garantire a tutti i cittadini prestazioni sanitarie uguali, eque e con accesso universale. Una politica sociale di salute che colloca il nostro sistema sanitario al primo posto nel 2017 ed al secondo nel 2019 del Bloomberg Global Health Index.

Nell’Healthcare Quality and Access Index di Lancet, invece, l’Italia è al nono posto davanti a tutti i membri del G7. Circa la debolezza della vita faccio riferimento al mio concittadino Plinio il Vecchio che nella sua Naturalis Historia definisce l’uomo come l’essere più fragile della natura, mettendolo in guardia dalla superbia di essere al centro del mondo.

Essere deboli però non significa non avere lo splendido dono della vita, piuttosto considerarlo, in virtù di quest’ultima esperienza, come fragile e da difendersi con tutte le forze.

Essere deboli però non significa
non avere lo splendido dono della vita, piuttosto considerarlo, in virtù di quest’ultima esperienza, come fragile e da difendersi con tutte le forze.