A Ferdinand von Hebra (1816-1880), uno dei più importanti fondatori della moderna dermatologia e della rinomata scuola di Vienna, si attribuisce nel 1860 la prima descrizione scientifica di una malattia infiammatoria cronicizzante della pelle, con caratteristiche papulo-nodulari multiple confluenti e con un’eziologia allora non ben inquadrabile e definibile.
Tuttavia, una descrizione più attenta di quel tipo di lesioni cutanee e mucose ed una successiva nuova definizione clinica di lichen planus o di lichen ruber planus cutaneo (LP) deriva dai contributi clinici di un allievo dello stesso Ferdinand von Hebra, Moritz Kaposi (1837-1902) e, soprattutto, dal famoso dermatologo britannico Erasmus Wilson (1809-1884), con una sua prima descrizione della malattia pubblicata nel 1866, a riguardo di un soggetto di sesso femminile di 56 anni. Lo stesso Autore nel 1869 fece seguire un’ulteriore e più completo studio clinico che comprendeva un’attenta analisi della casistica di ben 50 pazienti adulti con quadri cutaneo-mucosi di LP (1). Successivamente, la caratterizzazione delle strie cutanee ipercheratosiche quale frequente espressione clinica del quadro patologico del LP, fu proposta nel 1895 dal dermatologo francese Louis Frédéric Wickham (1861-1913) (2).
Nei quarant’anni successivi il LP è stato studiato e diagnosticato prevalentemente su basi clinico-morfologiche ed obiettive, sino a quando nel 1906, William Dubreuilh (1857-1935) e lo stesso Ferdinand-Jean Darier (1856-1938), riconosciuto universalmente come il padre della dermatologia francese, ne definirono i criteri e le caratteristiche isto-cito-patologiche (3).
Per oltre un secolo si sono concentrati gli sforzi di numerosi clinici e ricercatori per identificare in modo chiaro e condiviso i vari criteri semiologici ed isto-patologici spesso variabilmente correlabili tra loro, al fine di garantire una diagnosi accurata delle varie forme cutanee di lichen (LP) e delle varianti cliniche con interessamento genitale e specificatamente delle mucose della cavità orale (Oral Lichen Planus-OLP). Oltremodo, possiamo dire che i vari studi scientifici ad indirizzo ezio-patogenetico, clinico e strettamente isto-patologico delle varie forme di lichen muco-cutanei hanno comportato una serie di quesiti scientifici e di implicazioni bio-organismiche sempre più ampie e complesse, che hanno doverosamente meritato attente analisi e considerazioni. Infine, gli accesi dibattiti sul potenziale rischio di trasformazione maligna del LP e più specificatamente del OLP, aggiungono ulteriori complessità e riflessioni in merito a questa condizione morbosa.
La seguente rassegna si propone di tracciare un’overview delle conoscenze finora conseguite in tema di ezio-patogenesi e di clinica del LP e del OLP, ivi inclusi i recenti progressi nei loro aspetti peculiari.
La ricerca bibliografica è stata effettuata utilizzando MEDLINE database/PubMed/Ovid inserendo le parole chiave: “lichen planus orale”, “lesioni lichenoidi orali”. I criteri di esclusione hanno riguardato articoli irrilevanti per le varianti OLP e LP e quelli pubblicati in lingue diverse dall’inglese. Inoltre, sono stati considerati singoli articoli recuperati manualmente nelle biblioteche dell’Ateneo milanese, segnalati nell’ambito delle liste di riferimento e dalle bibliografie dei vari documenti scientifici, definibili rilevanti.
Epidemiologia
La prevalenza nella popolazione mondiale dell’OLP è stata stimata tra lo 0,22% e il 5% (4). L’incidenza invece è stata identificata con valori corrispondenti al 2,2% (5).
Il rapporto femmine/maschi è di 2:1, quindi con netta espressione a favore del sesso femminile. L’età in cui la malattia esordisce è in genere compresa fra i trenta e i settanta anni, con rarissimi casi clinici segnalati in soggetti giovanissimi ed addirittura in età pediatrica (6, 7). Infatti, da un’attenta analisi della vasta letteratura, sono riportate condizioni cliniche con età di insorgenza della malattia inferiore ai venti anni, sebbene siano da considerarsi evenienze e riscontri rari. Spesso, queste forme premature si associano a casi clinici di famigliari con stretta discendenza e con una storia di natura simile della malattia, o di altre malattie muco-cutanee cronicizzanti, o di patologie locali e/o sistemiche immuno-reattive e degenerative. Infine, le forme pediatriche di LP e di OLP sembrerebbero avere maggiore frequenza nella popolazione di razza indiana. L’espressione genitale e cutanea del LP è associata nel 20% delle femmine e nel 15% dei maschi affetti da OLP. Si è stimato inoltre che dal 70% al 77% dei casi di LP cutaneo siano clinicamente concomitanti al OLP (6, 8, 9).
Eziologia
L’OLP è considerato essere una condizione clinica infiammatoria cronica, di origine non infettiva, a carico dell’epitelio squamoso stratificato della cavità orale e della sottostante lamina propria. Come in precedenza riferito, l’OLP può essere accompagnato da manifestazioni cutanee e da lesioni a carico delle mucose genitali (10).
L’eziologia del OLP rimane ad oggi sconosciuta e l’andamento della malattia e il decorso clinico suggerirebbero che OLP e LP cutaneo possano comprendere delle differenze nei rispettivi meccanismi patogenetici. Le ipotesi e le teorie prevalenti ruotano attorno ad una reazione immuno-patologica linfocito-T mediata, verosimilmente indotta da una serie di triggers esogeni, quale causa di una possibile alterazione degli antigeni endogeni e di superficie dei cheratinociti oro-mucosi (11).
I dati definitivi sui meccanismi induttivi dei potenziali triggers e sull’entità del/degli antigeni bersaglio, sono attualmente ignoti, sebbene la disregolazione della risposta immune che ne consegue, seppur mai dimostrata, faccia propendere per l’ipotesi di una reazione infiammatoria cronica con base patogenetica di tipo autoimmunitario (12).
Tra le cause più studiate, possiamo segnalare il ruolo di determinati induttori locali e sistemici, in grado di scatenare una serie di reazioni di ipersensibilità ritardata cellulo-mediata (I), gli stress psico-organici (II), i meccanismi legati a fenomeni di autoimmunità (III) ed infine le infezioni virali e batteriche (IV).
- Le reazioni d’ipersensibilità ritardata cellulo-mediata, o reazioni del quarto tipo secondo la classificazione di Gell e Coombs, sono dette anche DTH (Delayed Type Hypersensitivity). Queste sono reazioni di ipersensibilità non mediate da anticorpi, bensì da elementi cellulari, in particolare linfociti T helper (Th) Th1 CD4+ ed in alcuni casi, anche da linfociti T citotossici Th2 CD8+. Mentre i Th2 CD8+ liberano Interleuchina 4, 5 e 6 (IL-4, IL-5 ed IL-6) ed agiscono principalmente sui linfociti B e sui macrofagi, i linfociti Th1 CD4+ liberano IL-2, Interferone γ (IFN-γ), il fattore di necrosi tumorale α (Tumor Necrosis Factor α, -TNF-α-) ed IL-12 e sarebbero in grado di agire attivando la fagocitosi ed i meccanismi diretti di citotossicità. Esistono almeno tre tipi di reazioni d’ipersensibilità ritardata del quarto tipo: le reazioni granulomatose, le reazioni alla tubercolina ed infine, le reazioni antigeniche da contatto.
Le reazioni granulomatose solitamente risultano essere l’espressione cito-isto-patologica di processi infiammatori cronici o di fenomeni locali degenerativi di lunga durata. Infatti, l’IFNγ ed il TNFα, agiscono attivando i macrofagi ed inducendoli ad una serie di differenziazioni cario-citologiche, verso una graduale trasformazione in cellule epitelioidi e talvolta in cellule giganti multinucleate. Infatti i macrofagi attivati cronicamente, si accumulano e prendono contatto tramite prolungamenti del citoplasma che conferiscono loro un aspetto simile a cellule epiteliali. In certi casi, le cellule epitelioidi si fondono, costituendo cellule giganti plurinucleate (cellule di Langhans), caratterizzate da nuclei disposti radialmente alla periferia del citoplasma, subito sotto il plasmalemma.
Il secondo tipo di reazione è rappresentata dalla reattività alla tubercolina che porta alla formazione del granuloma tubercolare.
Il terzo tipo di reazione di ipersensibilità ritardata sarebbe maggiormente legata e alla patogenesi delle lesioni cutaneo-mucose del LP e dell’OLP ed è rappresentata da una reazione da contatto. Questa è in genere una reazione acuta e piuttosto violenta, che fortunatamente ha un andamento transitorio, in quanto tra le varie sostanze che si andranno a liberare ci sono anche degli inibitori, come le prostaglandine, che bloccano la liberazione di IL-2. La reazione da contatto nasce in seguito alla captazione di un antigene esterno a livello cutaneo o a livello mucoso. In genere, alcune sostanze non hanno un carattere antigenico, a differenza di determinati metalli ma, penetrando nella cute e nell’ambito delle stesse mucose, possono legarsi a specifiche proteine di superficie acquisendo così un carattere allergenico. Questi allergeni vengono captati dalle cellule di Langherans in grado di migrare attraverso l’epitelio e i vari tessuti sino ai linfonodi di riferimento, dove presenteranno adeguatamente l’antigene processato ai linfociti T helper CD4+. Questa forma ritardata da contatto è generalmente allineata con la mucosite lichenoide, un termine generico per descrivere una mucosite, un’infiammazione cronicizzante della mucosa, OLP-simile, in risposta alla presenza di restauri metallici ad es. amalgame dentarie, e/o reazioni a determinati farmaci. La reazione d’ipersensibilità può auto-risolversi, ma non sempre e non necessariamente, con la rimozione del presunto fattore eziologico (13). I metalli ed alcune molecole farmacologiche possono essere implicati anche nell’esacerbazione di precedenti lesioni da OLP e da LP, generando complicazioni nel management e nel decorso clinico della malattia (14). - Lo stress. Lo stress è ritenuto giocare un ruolo importante nella patogenesi del OLP, poiché ansietà e depressione sono riportati in letteratura come comuni condizioni cliniche presenti nei pazienti affetti da lichen mucosi e cutanei. Questi dati sono emersi da confronti tra popolazioni affette da disturbi della sfera emotivo-comportamentale e gruppi di controllo composti da soggetti apparentemente sani e privi di turbe ansioso-depressive. Infine, le stesse esacerbazioni delle lesioni da OLP sono strettamente correlabili con episodi di stress emotivi e con sindromi ansiogene di varia intensità e gravità (15). Tuttavia, un ragionevole rapporto tra causa ed effetto, anche se osservabile frequentemente nella routine clinica quotidiana, non è mai stato dimostrato con basi scientificamente sostenibili.
- L’autoimmunità. Un singolo studio sul LP cutaneo riporta evidenze di un processo a matrice autoimmune (16). Questo, a seguito di un’espansione in vitro dei linfociti T isolati dalla cute di 2 pazienti affetti da LP cutaneo cronico. In seguito a tale riscontro è quindi stata confermata alla base della malattia una patogenesi autoimmunitaria, in merito alla capacità di queste cellule T coltivate in laboratorio di distruggere i cheratinociti autologhi con un meccanismo diretto di citossicità (16).
- Le infezioni. Nel tempo si è studiata l’associazione del OLP con un infezioni virali quali il citomegalovirus, l’herpes simplex tipo-1,4,6, il virus dell’epatite B, il virus del papilloma umano, senza però rilevare correlazioni significative (17). Attualmente vi sono convincenti evidenze che, almeno in alcune aree geografiche, l’OLP sia associato all’infezione da virus dell’epatite C (HCV), probabilmente a causa di concomitanti effetti extraepatici dell’HCV, quali la crioglobulinemia ed altri disordini autoimmuni ed immuno-reattivi in generale (18). La variabilità geografica nell’associazione OLP-HCV potrebbe essere ascrivibile ad uno specifico aplotipo genetico della popolazione, a fattori ambientali o, ancora, al genotipo virale dello stesso HCV. Tuttavia, le risposte a queste ipotesi non sono ancora probatorie (19).
A riguardo delle possibili infezioni batteriche, studi recenti dimostrano che le unità formanti colonie di microrganismi batterici della specie Fusobacteria e Campylobacter sono significativamente incrementate nelle forme di OLP atrofico-erosivo e che la loro presenza potrebbe essere responsabile e/o sostenere le esacerbazioni delle lesioni da OLP (20). Pertanto, la rimozione accurata della placca dentaria ed in generale del biofilm microbico orale può essere raccomandata durante il decorso clinico ed il management delle lesioni gengivali e mucose da OLP (17).
Fisiopatologia
Nel OLP i complessi processi d’immunità cellulo-mediata possono essere indotti da fattori esogeni o direttamente da condizioni endogene. Spesso però i meccanismi immunitari vengono generati e mantenuti da entrambe le condizioni. Si ritiene però che i cheratinociti e le cellule presentanti l’antigene possano stimolare i linfociti T nella produzione di mediatori infiammatori quali il TNFα e l’IFN-γ (21).
Le cellule presentanti l’antigene (Antigen Presenting Cell, APC) sono cellule specializzate nel legarsi ad un determinato antigene e presentarlo, dopo una più o meno complessa elaborazione, ai linfociti T (Tabella I). Tre tipi di cellule svolgono tale funzione: le cellule dendritiche, i macrofagi e i linfociti B. Il ruolo immunologico più importante è svolto però dalle cellule dendritiche. Caratteristica di queste cellule è di esprimere entrambi gli antigeni d’istocompatibilità di classe I e II (MHC-I e MHC-II).
Le cellule dendritiche nascono dai precursori staminali emopoietici nel midollo osseo e sono le cellule più importanti dell’insieme delle APC. Prima della maturazione sono presenti nei tessuti non linfoidi e, in particolare, nelle sedi dove è più comune incontrare antigeni come la cute e le mucose. In questa fase d’immaturità, esse hanno un’alta capacità di riconoscere e processare un antigene estraneo. Il riconoscimento avviene per mezzo di particolari recettori specifici (Pattern Recognition Receptor, PRR; Toll-Like Receptor, TLR) con una lunga storia evolutiva e maturativa, capaci di distinguere diverse strutture molecolari di patogeni di natura esogena. L’incontro con l’antigene dà inizio a processi di maturazione delle cellule dendritiche con internalizzazione dell’antigene stesso, per fagocitosi e processazione citoplasmatica. La cellula dendritica migra dal tessuto non linfoide verso gli organi linfatici secondari periferici (linfonodi, milza) e le proteine antigeniche ottenute con la degradazione dell’agente patogeno vengono quindi esposte al fine di presentare l’antigene ai linfociti T.
Queste cellule furono osservate per la prima volta alla fine dell’ottocento dal biologo tedesco Paul Langerhans (1847-1888), ma sono state caratterizzate pienamente solo negli ultimi decenni. Le cellule di Langerhans sono cellule dendritiche, prive di tonofilamenti e desmosomi ed il nucleo si presenta in una forma irregolare. L’apparato di Golgi è molto esteso e sono presenti numerose vescicole endosomiali. Esse contengono inoltre organelli citoplasmatici specifici chiamati granuli di Birbeck con una caratteristica forma a “racchetta”. Queste cellule hanno una derivazione midollare ed iniziano il loro sviluppo da precursori embrionali che colonizzano la pelle e le mucose, ancor prima della nascita. La loro localizzazione è stata evidenziata ed è caratteristica nello strato soprabasale dell’epitelio pluristratificato composto della mucosa orale e dell’epidermide.
Quindi, le cellule di Langerhans attivate saranno in grado di stimolare i linfociti T, i quali produrranno una serie di citochine con effetto paracrino ed è proprio l’aumento delle citochine prodotte dai linfociti T-helper CD4+ l’evento chiave nella genesi della patologia muco-cutanea.
Questo polimorfismo genetico delle citochine, ovvero la variabilità funzionale di questi mediatori polipeptidici non antigene-specifici che fungono da segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario e diversi organi e tessuti, sembra essere prevalente se le lesioni si sviluppano solo nella bocca (IFN-γ associato) rispetto a quelle che si sviluppano nella bocca e sulla cute (TNF-α associato) (22). Il TNF-α stimola a sua volta l’attivazione del fattore nucleare Kappa B, (Nuclear Factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells-, NF-kB) la cui over-espressione è stata dimostrata nel OLP, quale parziale responsabile della cronica produzione di citochine pro-infiammatorie, allo stesso modo di patologie come la psoriasi o l’artrite reumatoide (23). L’NF-κB è un complesso proteico funzionante come fattore di trascrizione. Si può trovare in tutti i tipi di cellule ed è correlabile nelle reazioni cellulari agli stimoli quali lo stress, l’irradiazione con ultravioletti, le infezioni da batteri o da virus. NF-κB gioca un ruolo chiave nella regolazione della risposte immunitarie e le sue possibili disfunzioni sono state collegate a malattie neoplastiche e mielo-proliferative come il mieloma multiplo, ai processi infiammatori cronicizzanti, alle patologie autoimmuni, agli shock settici, alle infezioni virali e alle malattie del sistema immunitario.
Nell’ambito quindi della genesi immuno-reattiva del LP e dell’OLP, l’immunità specifica e quella aspecifica risultano entrambi attivi nei meccanismi patogenetici. I meccanismi specifici evidenziano il ruolo fondamentale dei linfociti helper CD4+ e dei linfociti T-citotossici CD8+. Interessante riferire che questi ultimi, risultano attivi anche nell’innesco dell’apoptosi dei cheratinociti dello starato basale.
Per quanto riguarda i meccanismi infiammatori aspecifici nella patogenesi del OLP, questi sarebbero sostenuti da una serie di sostanze identificate come le metallo-proteinasi della matrice (MMPs), le chemochine ed i mastociti. Tali meccanismi, in modo variabile, sembrano regolati e modulati da segnali derivanti dalla membrana basale dello stesso epitelio colpito da OLP (24).
Nel OLP il riconoscimento delle glicoproteine del complesso maggiore di istocompatibilità di classe II (MHC Major Histocompatibility Complex-II) presenti sui macrofagi e linfociti-B attivati, può essere mediato dalle cellule di Langerhans e dai cheratinociti e, quando sono associate ad antigeni, vengono riconosciute dai linfociti Th1. L’aumento del numero di cellule di Langerhans è stato riportato nelle lesioni da OLP unitamente ad un up-regulation dell’espressione del MHC di classe II (25).
Ritornando al concetto di complesso maggiore di istocompatibilità (MHC-Major Histocompatibility Complex), dobbiamo considerare che in tutti i mammiferi esiste un gruppo di geni che sono in grado di codificare determinate proteine espresse sulle membrane di tutte le cellule ed il loro polimorfismo determina una precisa identificazione del soggetto e quindi, l’accettazione o il rifiuto di un trapianto. Questi geni giocano un ruolo fondamentale non soltanto nella risposta immune verso i trapianti, ma anche sul controllo della presentazione antigenica e sullo sviluppo della risposta immunitaria. I prodotti di questi geni, infatti, forniscono il sistema per rendere riconoscibili i peptidi antigenici disposti sulla superficie cellulare ai linfociti T. In altre parole, servono per presentare l’antigene al linfocita T.
Un elevato grado d’espressione di determinati antigeni CD8+, CD4+ e secrezione di IL-12 da parte delle cellule dendritiche presentanti l’antigene sono stati altresì osservati nelle lesioni mucose da OLP (24). Infine, un interrogativo ancora aperto ed in fase di discussione è rappresentato dal possibile ruolo delle metallo proteinasi della matrice (MMPs) e degli inibitori delle metallo proteinasi (TIMPs) nella genesi e nel mantenimento del OLP.
Le metalloproteasi o metallo proteinasi costituiscono una famiglia di enzimi del gruppo delle proteasi (endopeptidasi). Questi sono enzimi proteolitici il cui meccanismo catalitico richiede la presenza di ioni metallici come cofattori. La maggior parte sono metalloproteasi zinco-dipendenti, ma alcune utilizzano ioni cobalto. Le MMPs sono enzimi che necessitano anch’essi degli ioni zinco come cofattori strutturali e possono alterare le proprietà della lamina basale sotto-epiteliale. Le MMPs degradano localmente la matrice extra-cellulare permettendo alle cellule di passarvi attraverso. Questo meccanismo è importante per cellule quali i leucociti al fine di invadere i tessuti danneggiati dai processi infiammatori. Le MMPs sono anche coinvolte nei processi patologici tumorali con spiccata diffusione metastatica.
Le culture dei supernatanti ottenute dai linfociti-T nelle lesioni da OLP hanno mostrato di contenere concentrazioni più elevate di MMP-9 e TIMP-1 rispetto a quelle ottenute dal sangue periferico, sia negli stessi pazienti affetti da OLP che nei controlli sani, suggerendo un’attivazione aggiuntiva di questi enzimi da parte dei linfociti-T presenti nel supernatante delle lesioni orali (26). Gli attivatori delle MMP-9 rilasciati dai linfociti-T sono alla base dei meccanismi di degenerazione della membrana basale (27).
Un membro della famiglia delle chemochine prodotto da varie cellule, inclusi i linfociti-T attivati, prende il nome di RANTES. Specificatamente, le chemochine sono un grande gruppo di proteine a basso peso molecolare della famiglia delle citochine. La loro funzione principale consiste nell’attivazione e nel reclutamento (chemiotassi) dei leucociti nei siti di flogosi, anche se alcune di esse vengono prodotte in assenza di infiammazione o infezione per regolare il traffico dei leucociti nell’organismo. RANTES è il nome alternativo della chemochina CCL5 ed è specifico per i recettori CCR5. Il CCR5, un recettore C-C per le chemochine di tipo 5 (C-C chemokine receptor type 5) è una proteina presente sulla membrana dei leucociti ed è coinvolta nel sistema immunitario come recettore per le chemochine, con il ruolo di attirare in specifici tessuti ed organi i linfociti T.
Si ritiene quindi che RANTES svolga un ruolo fondamentale e selettivo nel reclutamento, nei tessuti sofferenti da OLP, di cellule linfocitarie, di monociti, di cellule natural killer, ed elementi come eosinofili, basofili e mastociti. Si è inoltre osservato che queste chemochine sono associate ad un aumento della densità dei mastociti nelle lesioni da OLP e LP cutaneo.
Interessante la rilevazione che almeno il 60% dei mastociti tissutali risultano degranulati nel contesto dei tessuti con OLP, in confronto al 20% di degranulazione mastocitaria osservata nella normale mucosa di controllo. Il dato è stato osservato nella componente della lamina propria mucosa, in prossimità dei vasi e nervi (28).
Tale densità mastocitaria sarebbe marcatamente più rappresentata nei siti di colliquazione della membrana basale, suggerendo che i mastociti possano giocare un ruolo diretto nel processo degenerativo basale, così come nella migrazione intra-epiteliale dei linfociti-T CD8+ (29). Inoltre, i macrofagi pro-flogosi possono a loro volta esacerbare le recrudescenze del OLP attraverso la produzione di citochine pro-infiammatorie quali TNF-α ed IL-1b (21). Infine, la produzione di TNF-α da parte dei macrofagi può inizializzare l’apoptosi dei cheratinociti basali e, indirettamente, favorire la degenerazione della membrana basale ad opera delle MMP-9 prodotte dagli stessi linfociti-T (30).
Aspetti clinici
Prima di affrontare la descrizione delle caratteristiche cliniche e delle varie problematiche diagnostiche dell’OLP, è bene riferire e puntualizzare alcune difficoltà e perplessità interpretative, da sempre emerse nelle discussioni e nelle proposte clinico-classificative di questa patologia muco-cutanea ad andamento squisitamente cronicizzante.
Un concetto importante è che la diagnosi definitiva di OLP è ovviamente fondamentale, poiché su di essa si istituisce l’impostazione terapeutica e, soprattutto, il management decisionale nell’ambito del suo decorso cronico. Tuttavia, esistono criticità nel definire la diagnosi sui soli criteri microscopici o clinici nel OLP, come è stato evidenziato da studi che portano alla luce le possibili variabilità interpretative (31). Nel 2003, van der Meij e van der Waal proposero una modifica dei criteri diagnostici postulati precedentemente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS-WHO) al fine di ridurre dette variabilità (32). Gli autori suggerivano di utilizzare termini come “istopatologicamente compatibile con” o “clinicamente compatibile con” quando le caratteristiche microscopiche o le caratteristiche cliniche apparivano meno ovvie (32). La corrispondenza completa dei criteri clinici ed isto-patologici modificati nel 2003 da van der Meij e van der Waal, costituiscono pertanto il riscontro necessario per una diagnosi di OLP (Tabelle 2).
Criteri clinici |
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Presenza di lesioni bilaterali, più o meno simmetriche. |
Presenza di strie reticolari grigio-biancastre leggermente rilevate (modello reticolare) |
Le lesioni in forma erosiva, atrofica, bollosa e a placca sono accettate solo come sottotipo in presenza di lesioni reticolari in altre sedi della mucosa orale |
In tutte le altre lesioni che assomigliano all’olp, ma non soddisfano i criteri di cui sopra dovrebbe essere usato il termine |
‘’Clinicamente compatibile con’’ |
Criteri isto-patologici |
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Presenza di una zona ben definita, di infiltrazione cellulare con disposizione “a banda” limitata alla parte superficiale del tessuto connettivo, consistente principalmente di linfociti |
Segni di liquefazione degenerazione nello strato delle cellule basali |
Assenza di displasia epiteliale |
Quando le caratteristiche isto-patologiche sono meno evidenti dovrebbe essere usato il termine ‘’istopa-tologicamente compatibile con’’ |
Diagnosi finale di olp o oll | |
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Per ottenere una diagnosi definitiva di olp (Oral Lichen Planus), i criteri clinici ed isto-patologici dovrebbero essere interamente soddisfatti | Il termine oll (Oral Lichenoid Lesion) verrà utilizzato nelle seguenti condizioni: |
Clinicamente tipico ad olp, ma isto-patologicamente solo compatibile con olp | |
Isto-patologicamente tipico adolp ma clinicamente solo compatibile con olp | |
Clinicamente compatibile con olp e isto-patologicamente compatibile con olp |
Com’è stato in precedenza accennato, le lesioni da LP possono essere potenzialmente e clinicamente evidenti in almeno in tre sedi corporee: la cute e talvolta anche gli annessi cutanei come unghie e capelli; i tessuti di rivestimento degli apparati genitali esterni, maschile e più frequentemente femminile; le mucose del cavo orale. In genere, si verifica che le tre forme cliniche insorgono e si esprimono singolarmente e isolatamente, rimanendo confinate nell’organo colpito. Non di rado, si assiste ad una associazione tra due delle tre forme cliniche. La più frequente è quella cutanea e quella muco-membranosa orale. Infine, specialmente in pazienti di sesso femminile e di giovane età, si riscontra la contemporaneità della malattia nei tre distretti muco-cutanei. A questo riguardo, la presenza di un lichen genitale e cutaneo è stata osservata nel 20% delle femmine e nel 15% dei maschi affetti da OLP. Tuttavia, la sede dove le lesioni sono di più frequente osservazione risultano essere proprio le mucose del cavo orale. Dai dati riportati in letteratura, si è stimato che dal 70% al 77% dei casi di LP cutaneo sono clinicamente concomitanti al OLP (6, 8, 9).
Una delle caratteristiche cliniche più rilevanti dell’OLP è rappresentata dalla frequente espressione bilaterale e quindi dalla sua diffusione in più distretti orali. Caratteristica questa che aiuta spesso il clinico nel porre una corretta diagnosi di OLP e di poter escludere, in diagnosi differenziale, altre lesioni bianche con caratteristiche topografiche di unicità e di monolateralità. Tutte le mucose orali possono essere quindi potenzialmente interessate e più regioni orali possono essere coinvolte contemporaneamente. Tuttavia, è di frequente osservazione che l’OLP si presenti in determinate regioni orali come le mucose buccali, le mucose gengivali, il dorso linguale e rimanga confinato in queste. Da considerare altresì il fatto che sono osservabili evidenti differenze a riguardo delle caratteristiche e della fine morfologia dell’OLP nel comportamento clinico e nella frequenza d’insorgenza delle lesioni.
Le mucose buccali vengono colpite con maggior frequenza e si conta una percentuale pari all’82-85%. I settori delle stesse mucose geniene più colpiti sono il terzo medio e posteriore, soprattutto nella porzione inferiore, in corrispondenza del fornice vestibolare e del trigono retro molare.
La mucosa della lingua è coinvolta in circa il 35-40% dei casi, soprattutto a livello del dorso linguale. Raramente le lesioni da OLP possono essere distribuite al ventre linguale. Le labbra sono colpite per il 15-20% dai casi, solitamente nella porzione esterna dell’orlo roseo. Le mucose del palato risultano affette nel 8-10% dei casi ed infine le mucose gengivali ed alveolari, vengono ad essere interessate nel 10-15% dei casi.
Una prima distinzione clinica delle varie tipologie di OLP è quella di considerare un primo gruppo di lesioni mucose che hanno un aspetto di colore bianco e moderatamente rilevato, caratterizzato quindi da un ispessimento mucoso e quindi da un’iper-paracheratosi degli epiteli colpiti.
Un secondo gruppo, invece, comprende forme di OLP con una spiccata atrofia epiteliale e con alterazioni superficiali erosive. La perdita ulteriore della matrice epiteliale può comportare la presenza e l’insorgenza di lesioni più profonde con la formazione di ulcerazioni. Parimenti, la possibile vacuolizzazione degli strati epiteliali più prossimi alla membrana basale comporta la formazione di OLP bollosi (34).
Clinicamente quindi avremo un primo gruppo di lesioni da OLP che si presenteranno all’obiettività clinica con una colorazione prevalentemente bianca. Un secondo gruppo di lesioni che si evidenzieranno con una colorazione rossa ed eritematosa. Il secondo gruppo è caratterizzato inoltre da una maggiore sintomatologia locale, espressa in condizioni di riposo e soprattutto durante l’assunzione di cibi e bevande.
Dal punto di vista strettamente clinico-morfologico distinguiamo una forma papulare, una reticolare, una a placca, una atrofica ed eritematosa, una erosiva od ulcero-erosiva ed infine, una variante bollosa.
La forma papulare è caratterizzata dalla presenza di papule della grandezza di una testa di spillo (1-2 mm. di diametro), di colorito bianco-madreperlaceo, rilevate sul piano mucoso circostante. Per definizione, la papula è una lesione elementare di piccole dimensioni, rilevata sul piano mucoso o cutaneo e quindi, considerata una lesione palpabile. In questo caso, però, le papule orali sono caratteristicamente molto ridotte di dimensione ed appoggiano su un piano mucoso distendibile e variabilmente morbido, quindi risultano difficilmente apprezzabili alla palpazione digitale. La variante papulare è da considerarsi la forma di OLP più semplice e con un andamento clinico solitamente benigno ed asintomatico. Le papule, non generando sintomatologia di alcun genere, sono spesso individuate e diagnosticate dall’odontoiatra o dallo specialista durante una visita specialistica, in maniera puramente casuale. Sono presenti solitamente sulle mucose buccali e rappresentate bilateralmente. Nelle forme maggiormente estese e pronunciate, il paziente avverte solo una modesta modificazione delle superfici mucose con una sensazione variabile di ruvidità, rispetto alle zone apparentemente sane. La forma di OLP papulare, definibile “pura” quando le minuscole papule appaiono affiancate le une alle altre, non è di così facile osservazione. Infatti, nella maggioranza dei casi, queste tendono a confluire dando un aspetto alle lesioni di variabile reticolatura (fig. 1).
Questa variante è definita quindi, OLP reticolare. Tale forma è caratterizzata da un intreccio di strie cheratosiche di colore biancastro, le strie di Wickham, che corrisponderebbero a più papule fuse e unite tra loro. Codesto intreccio può presentarsi con una morfologia reticolare che ricorda una rete o una ragnatela. L’andamento di queste strie segue spesso la morfologia dei distretti orali colpiti e, soprattutto, le capacità di movimento e di estensione delle mucose orali. La variante reticolare dell’OLP è visibile principalmente a livello delle mucose buccali (fig. 2).
Si può osservare però anche sul dorso linguale, nei bordi al confine delle porzioni ventrali e del pavimento orale, sulle labbra e, raramente, sulla mucosa gengivale. Le varie possibilità di confluenza delle papule possono rappresentare anche una forma anulare, in cui le lesioni assumono l’aspetto di anelli biancastri di circa 8-15 mm. di diametro, con una zona centrale di mucosa apparentemente normale e/o di mucosa variabilmente eritematosa (fig. 3).
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Sempre considerando le capacità di fusione ed aggregazione delle piccole papule ipercheratosiche, possiamo avere l’unione di più papule ed ottenere una lesione elementare definibile placca. Questa può apparire più o meno estesa e sempre di colore bianco. In questo caso la placca è distinguibile con la palpazione dal tessuto mucoso sano. Le sedi di predilezione per questa tipologia di OLP sono il dorso linguale, le mucose gengivali e le mucose geniene (fig. 4). Anche quest’ultima variante dell’OLP può risultare assolutamente asintomatica e manifestare la sua presenza solo per le variazioni di consistenza o per le caratteristiche di superficie dei tessuti mucosi colpiti.
Quando la mucosa non si presenta più ispessita ed ipercheratosica, con placche, papule e reticoli, ma si manifesta con una riduzione degli spessori e con sofferenze diffuse di tutti gli strati epiteliali, parliamo di una forma atrofica ed eritematosa di OLP. L’aspetto clinico non è più bianco, ma solitamente le mucose si presentano di colore rosso, più o meno acceso. Le componenti atrofiche comportano una maggior sofferenza per il paziente, riferendo mucose più sensibili e dolenti a cibi solidi e a bevande. All’esame clinico, le atrofie mucose possono presentarsi con aree delle superfici orali più o meno estese e confluenti, quasi sempre disposte bilateralmente. Le mucose appaiono eritematose e con superfici opache, appena indistinguibili alla palpazione superficiale. La localizzazione più frequente è a livello delle mucose aderenti gengivali (fig. 5).
Una sofferenza cronicizzante dei tessuti e un traumatismo legato ai normali frizionamenti masticatori può comportare una maggior sofferenza delle mucose colpite e una semplice forma atrofica, può trasformarsi in una variante erosiva dell’OLP. Per erosione intendiamo, genericamente una lesione superficiale muco-cutanea, dove la perdita di epitelio risulta confinata nell’epitelio stesso, quindi non supera la membrana basale. Nell’OLP erosivo, l’epitelio appare ridotto di spessore, le superfici orali si presentano arrossate, ma l’integrità del confine mucoso-connettivale con la membrana basale è mantenuto e quindi, non vi è la possibilità di un sanguinamento di superficie spontaneo. Spesso si osservano delle pseudomembrane superficiali, nel contesto delle aree atrofico-erosive più sofferenti e in quelle zone non sottoposte ad auto-detersione frizionale durante le varie funzioni orali. Le pseudomembrane possono essere facilmente rimosse con una garza o con un tampone, provocando frequentemente piccoli sanguinamenti. Anche la semplice palpazione clinica, un movimento funzionale o dei modesti traumi superficiali, possono provocare l’apertura del letto capillare (fig. 6). I pazienti affetti da tale forma riferiscono spesso una costante sintomatologia di base, di modesta entità, che si traduce frequentemente in bruciore e dolore durante gli atti masticatori (34).
Ne consegue, intuitivamente, che uno strato così debole di mucosa possa essere facilmente minato da lesioni superficiali in grado di estendersi maggiormente in profondità, maturando in tal modo una forma di OLP definita ulcerativa. Nel contesto di una area di mucosa più o meno marcatamente atrofica possiamo considerare la possibilità di rilevare aree erose ed aree maggiormente a rischio di lesioni che oltrepassano la membrana basale, quindi la potenzialità di formazioni ulcerative. All’esame clinico, un OLP ulcerativo si distingue da un a forma erosiva dal colore della lesione. In genere l’erosione è intensamente eritematosa e rossa, mentre un’ulcerazione espone in diverse forme e colorazioni le sofferenze e le reazioni riparative del tessuto connettivale sottostante (fig. 7).
Inoltre, va considerato che un tessuto ulcerato è soggetto naturalmente a sanguinamenti superficiali e soprattutto a contaminazioni da parte della flora microbica orale potenzialmente patogena (34, 35).
Da ultimo, possiamo ricordare la variante meno frequente e definita, per le sue formazioni vescicolo-bollose o francamente bollose, OLP bolloso. Le lesioni vescicolo-bollose sono caratterizzate da diametri variabili da pochi millimetri ad alcuni centimetri e se sottoposte a traumi, inevitabili nel cavo orale, si rompono portando alla luce un tessuto eroso, ulcerato, sanguinante e in genere molto sofferente. La sintomatologia locale è messa in relazione all’estensione delle lesioni e alle aree delle mucose orali colpite. Generalmente, le regioni maggiormente esposte a questa variante di OLP sono le mucose geniene nei settori distali e posteriori, i pilastri palatini, il palato molle, i fornici e le mucose aderenti gengivali (fig. 8).
Sono infine da considerare le varianti miste o composte di OLP. Sono le forme più frequenti alle quali si associano, in modo variabile, le varie tipologie cliniche di OLP.
In chiave prognostica, esclusivamente sulla base di dati osservazionali clinici, le forme di OLP papulari, lineari reticolari, anulari e a placca, vanno considerate come varianti cliniche quiescenti, mentre le forme atrofiche, quelle erosive, le erosivo-ulcerative e le bollose, sono ritenute varianti cliniche evolutive.
Accanto a queste forme, ve ne sono anche altre che rientrano nei lichen cosiddetti atipici e che si distinguono per i diversi caratteri clinico-morfologici. Ricordiamo tra queste la forma pigmentaria con papule che assumono una caratteristica pigmentazione melaninica. Infatti, pigmentazioni marroni o nere delle mucose del periodo post-infiammatorio delle fasi acute del OLP sono state riportate con una distribuzione corrispondente alla sede delle lesioni orali (38).
Le lesioni da OLP gengivale sono spesso accompagnate da accumuli di placca che inducono progressivamente recessione gengivale ed un severo avanzamento della malattia parodontale (35). Queste forme, definite anche gengiviti desquamative, coinvolgono le varie componenti parodontali superficiali, con caratteristiche cliniche ed istologiche estremamente complesse. In genere, si presentano all’esame clinico-obiettivo locale con una colorazione rosso accesa, facilmente sanguinanti e con un aspetto opacizzato. Caratteristicamente, la gengivite desquamativa viene ad essere evidenziata prevalentemente a livello della gengiva aderente nei versanti vestibolari, più raramente nei versanti palatali e linguali (fig. 9). Inoltre, la mucosa aderente risulta essere interamente coinvolta, mentre la porzione di gengiva marginale è solitamente e caratteristicamente risparmiata.
Sono inoltre da considerare le reazioni lichenoidi orali (OLRs). Esse mostrano caratteristiche cliniche ed isto-patologiche del tutto simili al OLP, ma presentano alcune note differenziative. Prima di tutto possono essere presenti come lesioni uniche e monolaterali. Si presentano con una morfologia meno caratteristica e soprattutto maggiormente variabile rispetto alle tipologie bianche o rosse dell’OLP. La diagnosi differenziale deve essere confermata, poiché le modalità di trattamento delle ORLs sono, in genere, diverse da quelle adottate per l’OLP (fig. 10).
Le ORLs possono riconoscere un fattore eziologico distinto, la cui eliminazione favorirebbe la remissione delle lesioni stesse (36). Infine, fattori precipitanti simili al fenomeno di Koebner in cui le lesioni si sviluppano in risposta ad un trauma e che sono caratteristici del LP cutaneo possono influire anche sulla cavità orale in risposta al contatto delle mucose con cuspidi dentali taglienti e/o protesi dentarie incongrue (37).
Istopatologia
L’OLP ed il LP possono essere considerati, seguendo un concetto definibile isto-topografico, delle muco-dermatiti dell’interfaccia, ossia di quella porzione basale dell’epitelio orale e dell’epidermide a contatto con la membrana basale.
Possiamo inizialmente considerare almeno due caratteristiche isto-patologiche, che rappresentano delle costanti fondamentali nei quadri muco-cutanei del lichen:
- la vacuolizzazione dello strato basale epiteliale (fig. 11);
- l’infiltrato linfocitario della matrice connettivale, disposto caratteristicamente a “nastro” o a “banda”, subito sotto la membrana basale; viene anche definito infiltrato lichenoide (fig. 12).
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Le fasi infiammatorio-reattive iniziali del lichen muco-cutaneo sono caratterizzate da una marcata iperplasia delle cellule dendritiche di Langherans. Queste, in condizioni di normalità e di regolare citomorfosi epiteliale, sono poco riconoscibili al microscopio ottico, in preparati con colorazioni definibili standard. Le cellule dendritiche divengono così maggiormente voluminose, prominenti, iperplasiche e con aspetti definibili pseudo-epitelioidi. Caratteristicamente, esse risultano immediatamente distinguibili nello strato spinoso e negli strati para-basali, per il loro citoplasma che appare otticamente chiaro. I cheratinociti dello strato spinoso, sovente appaiono edematosi e si presentano in un contesto spongiotico e solitamente, i prolungamenti citoplasmatici, assumono un aspetto distorto ed angolato. Qualche cellula cheratinocitaria appare discheratosica. Lo strato dei cheratinociti basali entra in uno stato visibile di sofferenza cario-citologica, con successiva vacuolizzazione o fase colliquativa, che rende poco distinguibile la demarcazione epitelio-connettivale. Dal derma, dalla sotto-mucosa e quindi nel contesto della lamina propria sotto-epiteliale, è distinguibile un’iniziale esocitosi linfocitaria. Sempre negli starati connettivali adiacenti alla membrana basale, l’infiltrato infiammatorio cellulare non è ancora definibile “lichenoide” o a “banda”, ma sarà prevalentemente peri-vascolare a carico dei capillari e dei piccoli vasi superficiali e profondi.
Le fasi evolutive successive sono caratterizzate da modificazioni trofico-cellulari graduali, in grado di rallentare il turnover delle cellule epiteliali, nonché da una auto-aggressione linfocitaria nei confronti dei cheratinociti dello strato basale. Il processo di vacuolizzazione gradualmente tende ad aumentare al punto di far regredire e focalmente scomparire lo strato basale. A tratti, lo strato spinoso sembra pertanto “seduto” direttamente sul connettivo sottomucoso o sul derma. L’erosione dello strato basale fa assumere alle creste interpapillari un aspetto anomalo ed appuntito, definito “a denti di sega”. In alcuni casi il danno dello strato basale è così esteso da portare a caratteristiche figurazioni dermo-epidermiche chiamate spazi di Max Joseph.
Nel contesto del connettivo sottomucoso e quindi anche nello strato dermico adiacente alla membrana basale in sofferenza, caratteristica peculiare è uno spesso infiltrato infiammatorio linfocitario. L’addensamento flogistico cellulare appare con la caratteristica disposizione “a banda”, in grado di occupare tutto il connettivo superficiale, lo spazio della lamina propria, oscurando sino a cancellare la giunzione epiteliale (fig. 12). L’infiltrato è composto in grande prevalenza da linfociti, che appaiono otticamente distinti da un’intensa basofilia e, talvolta, con un nucleo voluminoso, tondeggiante ed ipercromico. Contestualmente, è possibile osservare anche qualche macrofago e, caratteristicamente, risultano assenti i granulociti eosinofili. Si osservano rare le plasmacellule, riconoscibili per il loro citoplasma basofilo e un nucleo eccentrico con eterocromatina disposta in una caratteristica forma definita “a ruota di carro”. Sono presenti nel contesto dell’infiltrato parvicellulare, granulociti polimorfonucleati neutrofili, rari macrofagi e mastociti (fig. 13).
In seno all’infiltrato, subito sotto la mucosa, sono presenti masserelle tondeggianti intensamente eosinofile, omogenee, PAS positive, dette corpi di Civatte o corpi citoidi o ialini. Sono cellule basali necrotiche prematuramente cheratinizzate che si raccolgono nella sottomucosa o nel derma, talvolta in piccoli grappoli (fig. 14).
Pertanto, isto-patologicamente possiamo dire che esistono caratteristiche e comportamenti cario-citologici comuni nelle manifestazioni dell’OLP e del LP. Questo accade negli stadi infiammatori iniziali, durante le fasi immunologicamente e flogisticamente attive ed infine, nei periodi di regressione e di quiescenza immuno-reattivi.
Nel caso specifico del OLP, le caratteristiche isto-patologiche differiscono notevolmente in quei casi dove prevale la componente bianca e in quelle forme dove prevale l’aspetto atrofico ed eritematoso.
Nel lichen papulare, reticolare e soprattutto nella variante a placca, osserviamo un aumento di spessore delle varie componenti epiteliali con acantosi, ipergranulosi e con iperpara-orto-cheratosi (fig. 15).
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La spongiosi degli starti intermedi dell’epitelio malpighiano, può essere variabilmente rappresentata e spesso, riflette un indice di aggressività flogistica della malattia.
Nell’ambito della maturazione citologica, la citomorfosi dell’epitelio appare solitamente normale, con creste epiteliali disposte “a dente di sega” (33). L’infiltrato linfocitario basale e para-basale, è caratteristicamente presente, con la citata disposizione “a banda”. Questo, si presenta compatto e costituito essenzialmente da linfociti T CD4+ prossimi al versante mesenchimo-connettivale, mentre i linfociti CD8+ predominano nella porzione adiacente all’epitelio.
Nel caso del OLP, in cui predomina la componente eritematosa e atrofico-erosiva, gli spessori epiteliali appaiono ridotti, sofferenti e con perdite variabili di strati epiteliali (fig. 16).
Nelle forme erosive, assistiamo agli stessi eventi, dove la componente basale della membrana basale o meglio, gli strati epiteliali più profondi, sono presenti con variabili ed evidenti zone di sofferenza e vacuolizzazione. Variabile risulta la spongiosi reattiva degli strati cheratinocitari residui. Nelle zone ulcerate si assiste, in sovrapposizione, a tutte quelle reazioni flogistiche epitelialio-mesenchimali tipiche delle sofferenze e contaminazioni microbiche ulcerative. In generale, l’infiltrato linfocitario e quello parvicellulare appaiono otticamente più demarcati e maggiormente consistenti e, quindi, i confini epiteliali colpiti appaiono al microscopio ottico intensamente basofili. Le fasi flogistiche eritematose comportano una distensione ed un aumento del distretto capillare sottomucoso.
Il ricorso all’immunfluorescenza diretta (IFD) per confermare la diagnosi di OLP è accettata in presenza di caratteristiche isto-patologiche non particolarmente conclusive di OLP, in quadri clinici dove prevale una componente bollosa ed intensamente eritematosa ed in quelle complesse varianti cliniche di gengivite desquamativa da OLP (9).
Studi riguardanti l’IFD in lesioni da OLP mostrano un deposito lineare di IgM antifibrinogeno e corpi simil-citoidi lungo gli spessori delle membrane basali (33).
Nella diagnostica differenziale isto-patologica più affine al quadro di OLP rientrano la stomatite lichenoide e la cheratosi lichenoide.
Trattamento
Le lesioni dell’OLP di tipo papulare, reticolari e quelle a placca di piccole dimensioni, sono prevalentemente asintomatiche e, in genere, non richiedono una terapia farmacologica locale ma una attenta pianificazione di soli controlli ed osservazioni cliniche.
Questo per poter monitorare e valutare i possibili cambiamenti morfologici, tipici e piuttosto comuni nelle varie tipologie di OLP.
Il trattamento farmacologico dovrebbe riguardare le forme di OLP atrofiche, erosive ed erosivo-ulcerative. Le terapie locali sono finalizzate all’attenuazione delle reazioni immuno-infiammatorie, ma anche per alleviare il corteo sintomatologico che solitamente ne deriva. Inoltre, va certamente considerato che la riduzione della flogosi locale fa parte anche di un obiettivo terapeutico più ampio, che è quello di ridurre il rischio di una possibile trasformazione maligna (9, 35, 36).
L’anamnesi farmacologica dovrebbe essere sempre valutata per identificare le eventuali cause reversibili di OLRs poiché, laddove possibile, l’interruzione o la sostituzione dell’agente eziologico sospetto può essere curativa (35). Inoltre, un’attenta analisi dei farmaci che assumono i vari pazienti è da considerarsi integrativa per intercettare le possibili molecole o interazioni farmacologiche con potenziale xerostomico.
Traumi meccanici o irritativi provocati da margini dentali e/o protesici irregolari e potenzialmente irritanti, dovrebbero ricevere un’adeguata attenzione da parte dell’odontoiatra.
Oltremodo, anche un accurato ed attento programma d’igiene orale domiciliare e professionale dovrebbe essere istituito in soggetti affetti da OLP e soprattutto in quelle forme ad interessamento gengivale.
Il trattamento farmacologico con molecole ad azione topica è preferibile per il minor carico di effetti collaterali. La classe di farmaci più utilizzata è costituita dai corticosteroidi topici. La risposta al trattamento con steroidi a media potenza come il triamcinolone, fluorati ad elevata potenza come il fluocinolone acetonide ed il fluocinonide e alogenati superpotenti come il clobetasolo propionato hanno riportato tassi di successo terapeutico nell’ordine del 30% fino al 100% (39, 40).
I corticosteroidi topici possono essere utilizzati in associazione a veicoli adesivi o in forma di sciacqui orali. Evidenze empiriche circa i corticosteroidi topici sembrano suggerire la buona efficacia degli sciacqui orali nelle forme di OLP a diffusione multifocale, laddove le lesioni sono difficilmente accessibili dall’esterno per posizionare il gel o l’unguento.
In risalto, fra gli steroidi topici, l’elevata efficacia terapeutica del clobetasolo propionato (36). Gli effetti collaterali conseguenti all’uso di steroidi topici sono limitati e generalmente ben tollerati. Le reazioni avverse includono: candidosi secondaria, nausea, atrofia mucosa, xerostomia, disgeusia, ritardo nella guarigione delle ferite orofaringee durante il trattamento (41, 42). L’assorbimento sistemico via trans-mucosa delle molecole topiche è di modesta entità e l’esperienza clinica e gli studi di laboratorio non hanno dimostrato significativi effetti sistemici nella quasi totalità dei casi (41). Altri agenti topici per la cura del OLP, che possono essere considerati nei casi refrattari ai corticosteroidi, includono gli inibitori della calcineurina (tacrolimus, ciclosporina) e meno comunemente i retinoidi (36).
Una recente revisione sistematica e meta-analisi riporta effetti comparabili fra l’uso di tracrolimus topico (0,01%) e clobetasolo propionato (0,05%) nel trattamento del OLP (43). Sebbene non sia unanimemente accettata la complicazione per la quale l’uso degli inibitori della calcineurina possano potenzialmente indurre carcinogenesi nella mucosa orale, l’argomento rimane dibattuto. Numerosi studi hanno riportato che i corticosteroidi sistemici sono più efficaci nel trattamento del OLP. Tuttavia uno studio prospettico comparativo su un totale di 49 pazienti affetti da OLP non ha riportato differenze nella risposta clinica fra l’uso di prednisone sistemico (1mg/kg/die) e il clobetasolo topico, con un follow-up medio di 36 mesi (44). I corticosteroidi sistemici sono perciò usualmente riservati ai casi di refrattarietà alle molecole topiche delle lesioni eritematose, erosive, ulcerative o, ancora, ai casi di diffusione muco-cutanea del lichen planus con interessamento oro-genitale, cutaneo, esofageo, e degli annessi cutanei (36).
Il micofenolato mofetile (MMF) sistemico ha dimostrato in alcuni studi di essere efficace nella gestione delle forme erosive di OLP, refrattarie e recalcitranti alle molecole cortisoniche topiche (45, 46). Altri studi riportano l’efficacia di agenti sistemici come l’azatioprina ed il metotrexate (36, 47). Tuttavia, è da sottolineare che la letteratura sull’uso di agenti sistemici nella gestione del OLP è generalmente limitata a studi clinici non randomizzati ed è il più delle volte non conclusiva (48, 49).
Emergenti modalità di trattamento per gestire le lesioni da OLP sono in fase d’indagine clinica ed includono, tra gli altri, l’aloe vera topica, alcuni farmaci biologici, le terapie Laser a bassa intensità (Low Level Laser Therapy-LLLT) e i curcuminoidi orali (50, 51).
Potenziale di trasformazione maligna
Dal momento che il primo caso descritto di trasformazione maligna in lesioni da OLP risale al 1910, numerosi studi hanno cercato di affrontare questa complessa e dibattuta problematica. Diversi autori hanno concordato una frequenza di trasformazione maligna dell’OLP compresa tra lo 0,4% e il 5%, in periodi di osservazione variabili da 0,5 a oltre 20 anni, con un tasso d’incidenza annuo tra 0,2 e 0,5% (52, 53).
Uno dei maggiori ostacoli nel definire il reale tasso di trasformazione maligna è la condivisione dei criteri diagnostici differenziali del OLP. L’OMS, nel suo ultimo volume sulla “Patologia e genetica dei tumori della testa e del collo”, ha raccomandato lo sviluppo di criteri diagnostici per distinguere tra OLP e le lesioni lichenoidi orali (OLL) ma ha dichiarato che entrambi le lesioni dovrebbero essere considerate a rischio di trasformazione maligna fino a quando tali criteri non saranno disponibili (54).
In tal senso, van der Meij et al. hanno proposto la definizione di OLL per i casi che sono clinicamente caratteristici e istologicamente compatibili, clinicamente compatibili e istologicamente caratteristici, o clinicamente e istologicamente compatibili con OLP (32) (Tabella I).
Attualmente, alcuni autori propongono che le OLL piuttosto che l’OLP siano ad alto rischio di sviluppare il carcinoma orale (55, 56). Il possibile effetto degli agenti farmacologici utilizzati per la cura del OLP sul processo di trasformazione maligna non è ancora perfettamente compreso e chiaro. In prevalenza sono farmaci immunosoppressori che influenzano la gravità e la progressione del OLP, ma teoricamente potrebbero anche innescare una trasformazione maligna (57).
Una caratteristica importante riferita alla presentazione clinica dei carcinomi che insorgono nelle lesioni da OLP è la loro tendenza alla multifocalità, secondo il concetto della cancerizzazione da campo, quale carattere tendenziale delle neoplasie dell’orofaringe (58). A riguardo, è stato descritto che il 29% dei pazienti che sviluppano carcinomi in lesioni da OLP possono essere colpiti da due o più lesioni neoplastiche indipendenti (19%, con un secondo tumore, il 10% con 2 tumori metacroni) (59).
Sotto l’aspetto isto-patologico, la maggior parte delle neoplasie maligne sviluppate nelle lesioni da OLP sono carcinomi squamo cellulari ben differenziati (53, 60). Diversi fattori di rischio quali le forme atrofiche ed erosivo-ulcerative, le lesioni in sede linguale, il genere femminile e la sesta-settima decade di vita sono stati proposti come potenzialmente responsabili del processi di trasformazione maligna nel OLP. Tuttavia, nessuno di questi ha raccolto consensi unanimi dalla comunità scientifica internazionale (55). L’intervallo temporale medio tra la diagnosi di OLP e la diagnosi di cancro varia ampiamente dai 20,8 mesi ai 10,1 anni, anche se il rischio massimo è riferito, tra il 3° e il 6° anno dopo la diagnosi OLP (53, 55).
Alcuni microrganismi infettivi sono stati indagati nella genesi delle neoplasie maligne OLP-correlate. Si pensa che le infezioni da Candida albicans possano rappresentare un fattore di rischio di trasformazione maligna delle lesioni da OLP, probabilmente come conseguenza della produzione di N-nitrosobenzylmethylamine (52). Per tale motivo il trattamento delle infezioni micotiche orali è stato specificamente raccomandato nei pazienti affetti da OLP (55). Inoltre, è interessante notare che la correlazione tra i fattori di rischio comuni per il cancro orale, vale a dire, il fumo e l’alcool e la trasformazione maligna del OLP non è stata ad oggi ben definita in letteratura. Un recente studio ha dimostrato che le abitudini al fumo di tabacco sono associate ad un’alterazione dell’infiltrato infiammatorio nelle lesioni lichenoidi orali (OLL), che possono a loro volta influenzare la sorveglianza immunitaria ed i meccanismi di trasformazione maligna (61).
Infine, i complessi meccanismi dell’infiammazione cronica sembrerebbero, a giusta ragione, essere strettamente associati e correlabili a vari tipi di neoplasie. Così come l’OLP, in quanto considerato una condizione infiammatoria cronica, è stato proposto da alcuni autori come entità paradigmatica di modello orale per una tale associazione (62).
Non esistono caratteristiche cliniche ed isto-patologiche nel OLP che siano predittive di trasformazione maligna. A tal proposito, il termine “displasia lichenoide” è piuttosto forviante in quanto la presenza di displasia epiteliale non è accettata nello spettro dei criteri diagnostici isto-patologici del OLP (63). Vi sono solo alcuni studi sui marcatori biomolecolari analizzati per il loro potenziale valore predittivo nella trasformazione maligna del OLP (64, 66). Allo stato attuale, nessuno di tali markers ha mostrato di possedere un elevato potere predittivo.
Nella pratica clinica quotidiana la gestione dei pazienti affetti da OLP può essere di difficile attuazione per quanto riguarda la dibattuta questione di premalignità della patologia, anche se il tasso di trasformazione maligna annuale si aggira intorno ad una percentuale inferiore allo 0,5%. Non esiste un trattamento efficace per l’OLP, non vi sono elementi diagnostici predittivi noti di trasformazione maligna, non è possibile prevenire lo sviluppo futuro di cancro orale e l’efficacia del follow-up è discutibile. Tuttavia, il consiglio generale in queste circostanze è di pianificare un esame orale preferibilmente due volte l’anno (53, 67). Questi esami possono essere eseguiti dagli odontoiatri nel proprio ambulatorio senza la necessità di riferire di routine il paziente ad un reparto di Patologia e Medicina Orale (67). Laddove nelle visite di follow-up si notassero dei cambiamenti sospetti nelle lesioni da OLP una o più biopsie diagnostiche dovrebbero essere programmate inviando il paziente all’attenzione del reparto di riferimento (34).
Conclusioni
Il lichen planus orale (OLP) è una patologia frequente della mucosa orale, con diversi fattori predisponenti e possibili associazioni sistemiche ma con una non meglio identificata eziologia. Le lesioni da OLP sono il risultato clinico di una risposta immunitaria linfocito-T-mediata ed, in ultima analisi, all’apoptosi dei cheratinociti dello strato germinativo. Per le lesioni sintomatiche la gestione è in gran parte basata sulla somministrazione topica d’immunosoppressori, in particolarmente di corticosteroidi. Alcune nuove modalità di trattamento sono state proposte e recentemente introdotte. Tuttavia, le prove cliniche per il loro uso non sono ad oggi inconfutabili. La diagnosi è comunemente basata su una combinazione di obiettività clinica e caratteristiche isto-patologiche. Pertanto, le informazioni cliniche sono essenziali e gli stomatologi hanno necessità di lavorare a stretto contatto con gli anatomo-patologi per affrontare le questioni e le ambiguità che possono sorgere. Nel tentativo di formare una “massa critica” più omogenea di pazienti OLP per il futuro della ricerca e per assicurare l’accuratezza diagnostica a sostegno dei risultati favorevoli nella cura dei pazienti, è stata proposta una serie di criteri diagnostici (68).
Studi di immunofluorescenza supplementari possono a volte essere necessari, in particolare nella diagnostica differenziale delle manifestazioni gengivali. L’osservazione a lungo termine del comportamento della malattia e della sua progressione è sicuramente mandatorio, non solo per il trattamento e per la sua potenziale evoluzione maligna ma anche per affinare o convalidare la diagnosi iniziale di OLP.
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