Il “tempo tuta”: l’ennesima pronuncia della Cassazione

Per l’ennesima volta la Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sull’esistenza o meno di un obbligo per il datore di lavoro di retribuire il tempo impiegato dal lavoratore per indossare la divisa lavorativa (camice, pantaloni, scarpe eccetera), ovvero il c.d. “tempo tuta”.
Nel nostro ordinamento, per orario di lavoro si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.
La questione che negli anni si è posta è stata, innanzitutto, quella di individuare le condizioni affinché il periodo occorrente al lavoratore per indossare la divisa aziendale potesse rientrare nel concetto di orario di lavoro e quindi, come tale, retribuito. Per molte categorie, il problema è stato risolto in sede sindacale laddove nei Contratti Collettivi sono state disciplinate le modalità di svolgimento dell’operazione di vestizione. In questi casi, pertanto, se le norme contrattuali applicate in azienda attribuiscono al datore di lavoro un potere direttivo tale che gli consenta di determinare il tempo ed il luogo dove indossare la divisa aziendale senza che residui alcun margine di autonomia decisionale per il prestatore di lavoro, il “tempo tuta” rientra nell’orario di lavoro e come tale va retribuito.
Il problema si è posto per i casi in cui l’esigenza di indossare divise di lavoro non sia disciplinata contrattualmente.
In questi casi, l’indirizzo giurisprudenziale che negli anni si è consolidato è stato quello di escludere l’obbligo di retribuire il “tempo tuta” laddove gli indumenti di lavoro siano del tutto neutri dal punto di vista formale, per cui non vi è alcun disagio nell’indossarli altrove e nei tragitti necessari per recarsi al lavoro, né si tratta di divise dotate di particolari protezioni tecniche per le quali vi è un obbligo di legge di indossarle solo sul luogo di lavoro.
Di conseguenza, se il tempo necessario per indossare la divisa consiste in un’attività meramente preparatoria rispetto all’attività lavorativa vera e propria e non anche indispensabile, trattandosi di una situazione gestita direttamente dal lavoratore, non può essere considerata tempo lavoro e quindi oggetto di retribuzione in quanto non vi è ancora la soggezione del lavoratore al potere gerarchico e direttivo del datore di lavoro.
Una volta stabiliti i casi in cui il “tempo tuta” deve essere retribuito ci si è posti un ulteriore problema ovvero se l’orario di lavoro effettivo dovesse decorrere dal momento in cui il lavoratore inizia l’attività di vestizione ovvero dal momento in cui inizia la propria attività lavorativa.
Secondo la giurisprudenza, deve essere considerato come orario straordinario qualora eccedente le 40 ore settimanali, e va pertanto retribuito, il tempo del lavoro impiegato dagli operai per indossare la tuta e/o i dispositivi di protezione individuale presso lo spogliatoio loro assegnato, unitamente a quello impiegato, a fine turno, per compiere le medesime operazioni, nonché il tempo necessario per recarsi dallo spogliatoio di competenza sino all’orologio marcatempo di reparto, ove si registra l’orario di ingresso ed uscita dal reparto di assegnazione, qualora sia ad essi imposto di presentarsi all’orologio marcatempo con divisa e dispositivi di protezione individuali, da lasciarsi, su ordine del datore di lavoro, in azienda, nonché qualora sia lo stesso datore di lavoro ad assegnare a ciascun dipendente un armadietto ove custodire detti beni all’interno dello spogliatoio (Tribunale di Genova sentenza 27.9.11 n. 1401).
A sostegno di tale tesi interpretativa è intervenuta da ultimo la Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza n. 2837 del 7 febbraio 2014, ha confermato che al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro, estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale, il datore di lavoro deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva esclusivamente laddove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero se si tratta di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Valentina Vitale

A cura di: Giovanni Pasceri