Gestione della fase conflittuale ai fini della prevenzione del contenzioso in chirurgia maxillo-facciale

prevenzione del contenzioso in chirurgia maxillo-facciale

Il giuramento di Ippocrate descrive, con la sua interpretazione paternalistica di Pellegrino e Thomasma, il modello di alleanza terapeutica tra medico e paziente: il curante non è solamente tenuto a ricercare il bene fisico del paziente, ma altresì a curarne i risvolti psicologici, sociali e spirituali, oltre a valorizzarne l’autonomia e la fiducia reciproca.

Una proficua relazione medico-paziente, che inevitabilmente tiene conto dei risvolti contrattualistici del rapporto, è dettata da una completa e corretta comunicazione, una gestione trasparente e un adeguato impegno, volti a raggiungere l’obiettivo comune alle parti in causa: il buon esito della cura.

L’arte di guarire non può quindi prescindere dai risvolti umani, caratterizzata da connotazioni strettamente personali, che rendono la professione molto più della mera somma dei singoli fattori clinici, tecnici, comunicativi, psicologici, empatici.

*Nota
Una “condotta imperita” si realizza in un comportamento caratterizzato da incapacità od inettitudine tecnica o professionale, che ignori la conoscenza di regole tecniche intrinseche.
Per “condotta imprudente” si intende l’incapacità di prevedere e prevenire i rischi correlati al processo di cura cui espone il proprio assistito.

In questa ottica, un contenzioso per malpractice è molto più spesso frutto del fallimento nella pratica dell’arte della medicina, piuttosto che risiedere nell’incapacità di applicare la scienza medica.

Le attuali stime, inerenti l’intera categoria professionale, suggeriscono che nel corso di 20 anni di pratica clinica un medico chirurgo abbia in Italia l’80% di possibilità di essere accusato di negligenza, imprudenza o imperizia (1), dovendo quindi sottoporsi ad un giudizio esterno nella gestione del contenzioso.

La gerenza di tale eventualità, sostanzialmente certa nel corso della carriera, deve entrare a fare parte del bagaglio culturale del medico, affinché egli non venga soverchiato dai risvolti negativi di questa evenienza, siano essi pratici, burocratici o psicologici.*

Per “condotta negligente” si intende un comportamento omissivo in contrasto con le norme di buon senso, che impongono una condotta sollecita ed accorta, diretta ad impedire il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso.

La crisi di questi anni, con un aumento esponenziale della sensibilità al contenzioso e della spesa ad esso correlata (190 milioni di euro nel 2018, circa 522.000 € al giorno, con un incremento dell’8,9% rispetto al 2017, per il solo SSN derivante dalle cause di contenziosi in sanità, cui sommare quanto derivante dalla sanità privata (2)), se non del contenzioso stesso (che in realtà si mantiene per il SSN sostanzialmente dal 2010, con circa 35.000 nuove richieste annue, non poche, di risarcimento) è probabilmente solo una parte di un disagio nella professione, multifattoriale e dalle diverse sfaccettature, che non esula da risvolti prettamente extra-clinici.

La crisi della malpractice risulta a nostro avviso essere una crisi del rapporto medico-paziente, ove la tecnicizzazione e la burocratizzazione hanno sostituito le essenziali e personali qualità proprie degli uffici del medico.
La prevenzione di simili eventualità passa attraverso una ristrutturazione del rapporto con gli assistiti, teso a ridurre le conflittualità prima che queste sfocino in un contenzioso; qualora questo non sia reso possibile, una corretta gestione del sinistro da tutte le parti in causa porta sovente ad una composizione rapida e contingentata.

Le caratteristiche determinanti di una relazione medico-paziente di successo

Un rapporto di cura rappresenta una relazione unica e personale che si instaura in maniera ogni volta differente e peculiare: infatti esso presuppone un rapporto di fiducia tra due parti che, abitualmente, non si conoscono.

La marcata asimmetria di tale rapporto si è, negli ultimi due decenni, profondamente modificata: la tutela giuridica del paziente è stata rafforzata, contestualmente alla comparsa di strumenti rivoluzionari che forniscono informazioni, seppur spurie, sulla base delle quali l’assistito può assai più facilmente mettere in dubbio la fiducia nel curante.

L’abilità comunicativa del medico determina quindi assai spesso la qualità e l’intensità della relazione; ciò influenza la compliance dell’assistito, la sua motivazione, la serenità del percorso di cure e l’adesione alla terapia, migliora l’acquisizione delle informazioni da parte di entrambi e, non da ultimo, sembra aumentare notevolmente la capacità di guarigione (3). Nondimeno, diverse revisioni della letteratura riconoscono la buona comunicazione come il pilastro portante nella profilassi della malpractice (4), ciò inteso come prevenzione sia del contenzioso, sia degli errori e delle complicanze terapeutiche.

In tale buona comunicazione, intesa come reciproco scambio di informazioni, anche l’ascolto ha una parte di assoluto rilievo; a ciò deve infine interfacciarsi il rapporto con le nuove tecnologie, di grande aiuto nello sviluppo della relazione ma che necessita la mediazione del medico esperto.

Ciò risulta vero specialmente nei casi di alta complessità, in esiti di traumi facciali estesi o nelle complicate degenze successive ad interventi oncologici: immagini tridimensionali, come le ricostruzioni Tc, sono in questo un aiuto imprescindibile.

Similmente, inclinazioni ed atteggiamenti propositivi, ma non leggeri o superficiali, sono fattori determinanti nella pratica medica di successo: una seria condivisione di punti di vista, con un atteggiamento realistico e positivista, contribuiscono alla motivazione del malato.

Una relazione terapeutica attenta e sollecita è da sempre un punto cruciale della professione: ciò non può poi prescindere dalle buone maniere che, agli occhi di molti pazienti, hanno considerevole rilevanza.

Spazi e tempistiche dedicati, pur nel contesto della difficile ed impegnata attività di reparto, costituiscono preziosissimi ausili nella profilassi delle incomprensioni, dalle quali traggono spesso origine le divergenze che conducono al sinistro.

Ancora, il buon senso comune dovrebbe dominare, in ogni campo, qualsiasi relazione; purtroppo ciò non è un fattore universalmente diffuso.

In tale ottica dovrebbero essere gestite le relazioni interpersonali mantenute, anche e soprattutto in caso di complicanze, con puntualità. Le critiche verso i colleghi dovrebbero essere evitate, non per difendere l’eventuale errore terapeutico insorto, ma per il discredito reciproco e vizioso che ne deriva.

Infine, il paziente dovrebbe poter rivolgersi sempre ad un sanitario reperibile, se non per risolvere almeno per tamponare eventuali criticità, soprattutto nella gestione post-operatoria.

Anticipare e prevenire

Il termine inglese Malpractice nell’ambito sanitario definisce il deteriorarsi dello standard di cure che causa danno al paziente (5).

Per procedere nella difesa, anche in fase conflittuale pre-contenzioso, il clinico deve innanzitutto conoscere lo standard minimo delle cure.

Ciò è generalmente, o dovrebbe essere, definito nel contesto di raccomandazioni o linee guida delle società scientifiche nazionali; dunque il curante, agendo in scienza e coscienza, può procedere nell’iter terapeutico o indirizzare il paziente in strutture specialistiche più qualificate in tale ambito.

La “selezione del paziente”, quando possibile, costituisce infatti in ogni campo la prima forma di tutela del clinico.

La definizione di un piano di cura rappresenta il secondo atto medico dopo la diagnosi: la chirurgia maxillo-facciale moderna spesso si confronta con patologie in cui l’inquadramento diagnostico, così come il trattamento, sono multidisciplinari e prevedono l’intervento di differenti figure che spaziano dal neurochirurgo all’odontoiatra, dal neonatologo al rianimatore.

Solo l’attiva compartecipazione di tutti gli specialisti coinvolti permette di stilare un piano di cura ben determinato, con una precisa e specifica assegnazione delle competenze.

Tale collaborazione è fondamentale per il successo terapeutico e per limitare i conflitti con gli assistiti; ancora, l’attiva compartecipazione ha un ruolo di forte tutela nei confronti della responsabilità di equipe, ovvero di come ciascun medico componente dell’équipe stessa debba sempre verificare, secondo le proprie capacità, che gli altri colleghi abbiano eseguito correttamente la propria opera.

Spesso è infatti la mancanza di comunicazione tra i membri dell’equipe all’origine degli sbagli più banali (errori di lato, errori anatomici), frutto di sinistrosità.

Accertata la correttezza delle indicazioni e definito il piano di cura, acquista rilievo la quantificazione pre-operatoria del rischio: pur essendo spesso impossibile esprimersi in termini di percentuali, la giurisprudenza, così come il sentir comune, riserva un certo rilievo a tale aspetto.

Esporre al paziente i possibili rischi, classificandoli e per quanto possibile quantificandoli, è una corretta e consigliabile pratica pre-trattamento.

Ciò è normalmente integrato nel contesto del consenso informato. Tale procedura, fondante per la pratica medica, rischia spesso di essere fraintesa nella sua natura; questa sta nel permesso che l’assistito fornisce al curante per effettuare le cure sul proprio corpo e non nell’informazione fornita dal medico al paziente, necessaria ma ad esso solo subordinata.

In altre parole, l’essenza dell’atto è il consenso che dal medico deve essere acquisito e non l’informazione ricevuta da parte del paziente.

Il diffondersi di forme precompilate, credute spesso dai sanitari come garanzie nei confronti di un sinistro, è frutto della sovrastima dell’efficacia delle stesse.

La riduzione di questo processo di alta rilevanza clinica e decisionale ad un mero atto burocratico rischia in realtà di delegittimare la procedura clinica (6); da un posto centrale nella relazione medico-paziente esso sta scivolando nel novero dei compiti spiacevoli, ottenuto attraverso una semplice firma ed inteso unicamente a protezione (e se così, solo parzialmente efficace) del medico stesso. Da un modo per soddisfare un interesse condiviso, ovvero la cura, è diventato un controverso problema legale.

Invece, quando il piano terapeutico risulta ben discusso in tutti suoi aspetti, la soddisfazione del paziente è maggiore, le sue aspettative più realistiche e contraddistinte da un’ottima consapevolezza delle capacità e dei limiti della medicina moderna (7).

Tale considerazione, comunque valida in situazioni di emergenza o urgenza, acquisisce ancor più rilievo nella chirurgia elettiva e nelle procedure estetico-morfologiche.

L’eccessivo uso di formalità burocratiche, la paura della rivalsa e la medicina difensiva hanno invece orientato il comportamento professionale dei medici italiani più verso il prevenire le sanzioni che su una buona pratica della professione: in tale ottica e con simili motivazioni deve essere superata la “paura” del consenso informato.

Se dalle attuali evidenze risulta poi che i chirurghi abbiano un rischio di contenzioso assai maggiore che la controparte medica (8), il necessario seppur invasivo atto terapeutico non può sottostare a considerazioni che non abbiano come fine ultimo l’optimum della cura.

L’importanza della documentazione

Esiste un comun denominatore nell’allestimento di una difesa per un contenzioso:

“se non è documentato, non è successo”.

La frase è volutamente iperbolica ma ben riassume quanto sia fondamentale poter addurre atti e testimonianze clinico-strumentali già dai primissimi passi. Tanto che, in fase giudiziale, quanto non è acquisito agli atti, non può venire direttamente addotto dalle parti.

In tale ottica è basilare l’ordinata raccolta, l’utilizzo organizzato ed una puntuale archiviazione di tutta la documentazione inerente la storia clinica del paziente: la cartella ed il diario clinico, oltre ad essere atti pubblici, costituiscono nella giurisprudenza italiana il primo ed imprescindibile strumento di tutela da parte del sanitario.

In essi, particolare attenzione deve essere riservata alla valutazione e alla testimonianza dello “stato anteriore”, anche mediante documentazione fotografica oltre che radiologica; qualsiasi atto terapeutico successivo avrà così un ben dimostrato punto di partenza.

Infatti, una facile ed univoca ricostruzione anamnestica in sede di contenzioso è la chiave fondamentale di qualsiasi costrutto difensivo: spesso, chi tutela gli operatori medici, si deve confrontare con una storia clinica scarsamente documentata, sconfortantemente priva di pilastri su cui fondare una solida e coerente ricostruzione.

La documentazione risulta inoltre, secondo l’articolo 25 del codice deontologico, di proprietà del paziente (deve pertanto essere rilasciata su richiesta) ma può e deve essere trattenuta in copia a tutela.

La stessa è bene che comprenda eventuali note pre-trattamento, soprattutto se questo è complicato da particolari contingenze; logicamente deve essere presente il consenso alle procedure, di cui abbiamo precedentemente trattato.

Inoltre la descrizione degli atti terapeutici deve essere quanto più possibile pertinente ed inequivocabile, assolutamente personalizzata: ciò comprende i verbali operatori ma anche i controlli successivi.

Un buon record keeping associato ad una pratica clinica competente e prudente è nel miglior interesse del medico e del paziente, conditio sine qua non del più efficace risk management (9).

BIBLIOGRAFIA

  1. Casistica ortopedica dell’Osservatorio GISDI. P Fattorini, A Peretti, P Bergamini, R Valentini. Med Malpract Daily. Suppl Med Legale reg Trib Camerino
  2. IPS 2019, Istituto Demoskopika
  3. Patients respond to good bedside manners. D Adams. Am Med News, April 16; 2001:40.
  4. Managing Orthopedic malpractice risks, Committee on professional liability. American Academy of Orthopaedic Surgeons 10-26, 2000.
  5. Malpractice. Cambridge Dictionary.
  6. Informed consent and Italian physicians: change course or abandon ship-from formal authorization to a culture of sharing. E Turillazzi, M Neri. Med Heal Care and Philos 2015; 18:449-453
  7. How to discuss surgery with your patient. C Rogers. Am Acad Orthop Surg Bull 49;31, 2001.
  8. Malpractice risk according to physician speciality. AB Jena, S Seabury, D Lakdawaila, A Chandra. N Engl J med 2011; 365;629-36
  9. Malpractice: love thy patient. EJ Nebel. Clin Orthop 2003; 407:19-24

La crisi della malpractice risulta a nostro avviso essere una crisi del rapporto medico-paziente, ove la tecnicizzazione e la burocratizzazione hanno sostituito le essenziali e personali qualità proprie degli uffici del medico