Controllo fiscale invasivo: si può evitare l’intervento del magistrato?

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controllo fiscale invasivo

Sono stato oggetto presso il mio studio di un controllo fiscale invasivo sulla base di un decreto firmato dal magistrato, solo perché alcune stanze del mio studio – per lo più archivi e ripostigli – sono ubicate presso locali dell’abitazione. Si poteva evitare l’intervento del magistrato, visto che avrei consentito l’esecuzione delle verifiche senza problemi?

L’accesso presso lo studio professionale da parte dei funzionari del Fisco (Agenzia Entrate o Guardia di Finanza) è sempre un aspetto delicato che soggiace a regole e formalità ben stabilite.

Innanzitutto, sicuramente l’accesso aveva la finalità di effettuare ricerche documentali (acquisire documentazione extracontabile), riscontri diretti o, come spesso capita, anche per verificare la regolarità della posizione lavorativa dei dipendenti; in definitiva, l’accesso è legato ad esigenze che non possono essere soddisfatte esercitando altri poteri istruttori.

È, quindi, un atto a sorpresa e coercitivo che viene attuato anche contro la volontà del soggetto ispezionato e viene ordinato, per iscritto con apposito ordine, dal capo ufficio.

Questo ordine, che va mostrato e notificato al contribuente o a chi è presente, è quello che legittima i verificatori ad accedere presso i locali ove viene esercitata un’attività imprenditoriale o professionale.

È un potere che deriva dal combinato disposto del Decreto IVA (DPR 633/72) e del DPR 600/73 che disciplina l’accertamento in tema di imposte dirette. Per l’accesso presso uno studio professionale si richiede la presenza dello stesso professionista che potrà, comunque, formulare una delega in caso di impossibilità.

Sono ormai anni che lo Statuto dei diritti del contribuente ha inquadrato l’agire del Fisco in determinati canoni che sono diventati prassi operativa, tra i quali: l’arrecare il minor disturbo possibile all’attività imprenditoriale/professionale, la descrizione chiara del tipo di controllo, delle annualità e dei tributi interessati, l’esigenza di accesso in loco, la durata, eccetera.

In ogni caso quando l’accesso riguarda locali che sono adibiti anche ad abitazione vi è la necessità di acquisire l’autorizzazione del procuratore della Repubblica in aggiunta all’ordine d’accesso del capo ufficio.

Si tratta di un’ulteriore garanzia che viene prevista dal legislatore anche se, dimostrata la presenza di locali ad uso abitativo e professionale, l’autorizzazione rappresenta una sorta di “atto dovuto” (siamo nella previsione dell’art.52, comma 1 nel penultimo periodo del Decreto IVA a cui rimanda l’art. 33 primo comma del DPR 600/73).

Cosa ben diversa dalla richiesta di accedere presso l’abitazione (o in altri locali diversi da quelli in cui viene svolta l’attività) per la presenza di gravi violazioni alle norme tributarie: tale richiesta di accesso presuppone, per essere autorizzata, un esame nel merito da parte del procuratore degli elementi raccolti e delle ipotizzate violazioni (vedasi comma 2 del medesimo articolo 52 del Decreto IVA).

Fatte tali premesse, nel caso in questione i funzionari, evidentemente, avendo appurato che parte dell’attività professionale si svolgeva in locali diversi da quelli espressamente destinati alla professione, anche solo se destinati ad archivio, si sono doverosamente premuniti dell’autorizzazione del procuratore per non agire in maniera irregolare o rischiare di compiere abusi.

Dal provvedimento notificato si potrà ben comprendere se hanno agito per la possibile promiscuità dei locali o per la presenza di gravi indizi di violazione alle norme tributarie (caso del citato comma 2).

Tali richieste così come gli atti autorizzatori vengono, comunque, sempre trattati nella massima riservatezza e nel rispetto della normativa.

Non è solo un fatto di cautela dei verificatori ma di rispetto delle regole per evitare che, anche con il consenso di parte, come si voleva far intendere, si acquisiscano documenti importanti senza il rispetto di quanto sopra specificato con il concreto rischio di inutilizzabilità in fase di accertamento.

Non sempre l’assenso può far superare il necessario formalismo soprattutto quando l’autorizzazione del procuratore serve a vincere la tutela del domicilio privato, con il rischio di conseguenze per i funzionari o per il procedimento di accertamento se basato sui documenti acquisiti in locali la cui ispezione sia avvenuta senza la necessaria autorizzazione.

Di contro non è necessaria l’autorizzazione del procuratore per ispezionare borse, casseforti, armadi e mobili chiusi (vedasi comma 3 del medesimo art. 52 del Decreto IVA) quando la parte spontaneamente ne permette l’apertura in sede di ricerche effettuate durante l’accesso.

Qui la norma limita l’autorizzazione esplicitamente all’apertura coattiva dando espresso valore al consenso di parte.

Sempre nel medesimo comma si distingue dall’ispezione la perquisizione personale, che, al contrario, è ammessa solo previa autorizzazione del procuratore a prescindere dal consenso della persona da perquisire.