Dispositivi medici marcati CE in odontoiatria: tipologie e requisiti normativi

Dispositivi medici marcati CE in odontoiatria: tipologie e requisiti normativi

I dispositivi medici e il framework regolatorio

Diversamente dai termini “farmaco” e “medicinale”, che affondano le proprie radici nel tempo, l’espressione “dispositivo medico” è di diffusione piuttosto recente nel nostro Paese.

Quando già da alcuni decenni nel mondo anglosassone si parlava di “medical devices”, la normativa italiana non aveva ancora elaborato una definizione e una disciplina corrispondenti a quelle evocate dagli stessi termini nella lingua inglese. La prima legge, risalente agli anni ‘20, poi diventata Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934, aveva provveduto ad estendere l’applicazione dei suoi requisiti agli strumenti del medico non assimilabili ai medicinali, identificandoli come “presidi medici chirurgici”, senza tuttavia darne una chiara definizione.

Bisognerà aspettare il DPR 13 marzo 1986, n. 128, per vedere i presidi medici e chirurgici suddivisi in presidi chimici, dispositivi medici e diagnostici in vitro e, dunque, la direttiva 93/42/CEE (MDD), per parlare di una vera e propria regolamentazione dei dispositivi medici in generale.

Il 26 maggio 2021, la direttiva MDD viene abrogata dal Regolamento europeo sui dispositivi medici (MDR), “Regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 aprile 2017 relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/CE, il Regolamento (CE) n. 178/2002 e il Regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio”, che coinvolge i prodotti impiegati in qualsiasi ambito medico-sanitario e rispondenti alla definizione di dispositivo medico, ossia:

“qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software, impianto, reagente, materiale o altro articolo, destinato dal fabbricante a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle seguenti destinazioni d’uso mediche specifiche:

  • diagnosi, prevenzione, monitoraggio, previsione, prognosi, trattamento o attenuazione di malattie;
  • diagnosi, monitoraggio, trattamento, attenuazione o compensazione di una lesione o di una disabilità;
  • studio, sostituzione o modifica dell’anatomia oppure di un processo o stato fisiologico o patologico;
  • fornire informazioni attraverso l’esame in vitro di campioni provenienti dal corpo umano, inclusi sangue e tessuti donati,

e che non esercita nel o sul corpo umano l’azione principale cui è destinato mediante mezzi farmacologici, immunologici o metabolici, ma la cui funzione può essere coadiuvata da tali mezzi.

Si considerano dispositivi medici anche i seguenti prodotti:

  • dispositivi per il controllo del concepimento o il supporto al concepimento;
  • i prodotti specificamente destinati alla pulizia, disinfezione o sterilizzazione dei dispositivi di cui all’articolo 1, paragrafo 4, e di quelli di cui al primo comma del presente punto”.

Immissione sul mercato e messa in servizio dei dispositivi medici

Il Regolamento (UE) 2017/745 stabilisce i requisiti relativi all’immissione in commercio, la messa a disposizione sul mercato o la messa in servizio dei dispositivi medici per uso umano e degli accessori per tali dispositivi nell’Unione Europea, normando, inoltre, le indagini cliniche ad essi relative.

Un dispositivo può essere immesso sul mercato o messo in servizio solo se è conforme al Regolamento ed utilizzato conformemente alla sua destinazione d’uso.

Il produttore di dispositivi medici, definito dal Regolamento europeo come “fabbricante”, ossia la persona fisica o giuridica che fabbrica o rimette a nuovo un dispositivo oppure lo fa progettare, fabbricare o rimettere a nuovo, e lo commercializza apponendovi il suo nome o marchio commerciale, è colui che immette sul mercato i dispositivi medici.

I dispositivi fabbricati e utilizzati all’interno di istituzioni sanitarie sono, invece, considerati messi in servizio.

Nel mondo odontoiatrico, è evidente che l’attività del dentista, come “professionista”, non è né quella del fabbricante, né quella del commerciante.

I dentisti mettono in servizio sui pazienti i dispositivi medici su misura o in-house, come parte di una cura e conseguenza di una diagnosi, senza alcuna apposizione della marcatura CE sul dispositivo realizzato.

Combinandone le tipologie con il loro impiego, emerge un quadro, facilmente rappresentabile, delle categorie in cui ricadono i dispositivi medici impiegati in odontoiatria, come ad esempio un impianto, un materiale, un manipolo, una protesi fissa e rimovibile, una corona, una vite/pilastro di guarigione, ecc. (tab. 1).

Tabella 1 Overview dei dispositivi medici in odontoiatria con esempi.

Obblighi dei fabbricanti di dispositivi medici

I dispositivi medici, diversi dai dispositivi medici su misura e dai dispositivi in-house, sono riconoscibili per la presenza del marchio CE apposto, in modo visibile, leggibile e indelebile, sul dispositivo stesso, sulla confezione e sulle istruzioni per l’uso.

I fabbricanti di dispositivi medici odontoiatrici li immettono sul mercato, a fronte del soddisfacimento degli obblighi di cui all’articolo 10 del Regolamento, redigendo una dichiarazione di conformità e apponendo su di essi la marcatura CE, quando la conformità alle prescrizioni del Regolamento viene dimostrata dalla pertinente procedura di valutazione. La marcatura CE è, infatti, seguita dal numero di identificazione dell’organismo notificato incaricato della valutazione suddetta.

Il fabbricante è responsabile della sicurezza ed efficacia del dispositivo medico: diversamente dai dispositivi su misura e dai dispositivi in-house, esso redige e tiene aggiornata una documentazione tecnica, comprensiva della valutazione clinica di efficacia e sicurezza del dispositivo, in accordo all’allegato II, III e allegato XIV, del Regolamento. Il fabbricante, inoltre, istituisce, attua e mantiene un sistema di gestione della qualità unitamente ad un sistema per la gestione del rischio: all’interno della sua organizzazione, è necessaria la presenza di una persona responsabile del rispetto della normativa che possieda le competenze necessarie nel settore dei dispositivi medici, per garantire che la conformità degli stessi sia adeguatamente controllata, nonché che la documentazione tecnica e la dichiarazione di conformità UE siano redatte e aggiornate.

Classificazione dei dispositivi medici

Un dispositivo medico, come i tanti impiegati in ambito odontoiatrico, deve essere propriamente caratterizzato in termini di specifiche ed indicazioni d’uso, nonché dei dovuti warning, precauzioni e controindicazioni, al fine di identificarne la classe di rischio in accordo all’allegato VIII del Regolamento europeo (MDR) 2017/745. Per classificare un dispositivo medico vengono considerati la durata di contatto del dispositivo con il paziente, l’invasività (invasivo, invasivo negli orifizi, invasivo chirurgico, impiantabile), il tipo di funzionamento (non attivo, attivo, attivo diagnostico), la sede anatomica su cui incide il dispositivo.

È l’uso previsto e non accidentale del dispositivo che determina la classe del dispositivo stesso. Tali aspetti trovano applicazione nelle 22 regole di classificazione (da rule 1 a rule 22) dell’allegato VIII del Regolamento Europeo e della relativa linea guida applicativa MDCG 2021-24 “Guidance on classification of medical devices” dell’ottobre 2021, portando all’identificazione di 4 differenti classi di rischio dei dispositivi medici: classe I, IIa, IIb, III.

Di seguito alcuni esempi specifici di dispositivi medici utilizzati in odontoiatria:

  • gli impianti classici sono dispositivi impiantabili, non attivi, impiegati a lungo termine nella bocca, classificati in classe IIb, in accordo alla regola 8 dell’allegato VIII del Regolamento;
  • il motore chirurgico utilizzato per il posizionamento degli impianti è un dispositivo non invasivo, attivo, con una durata di contatto a breve termine, classificato in classe IIa, in accordo alla regola 9;
  • il composito, ossia il materiale utilizzato per le otturazioni e le ricostruzioni dentali, essendo costituito da una combinazione di materiali, viene definito dispositivo medico a base di sostanze con indicazione d’uso nella cavità orale, e come tale è classificato in classe IIa in accordo alla regola 21 dell’allegato VIII del MDR.
Tabella 2 I simboli più comunemente presenti sul labeling dei dispositivi medici utilizzati in odontoiatria e con relativa descrizione.

Lo UDI come identificativo unico del dispositivo medico

L’applicazione del nuovo Regolamento UE 2017/745 ha portato con sé differenti novità, tra cui la tracciabilità dei dispositivi medici e l’apposizione del codice UDI. UDI (Unique Device Identifier, Identificativo Unico del Dispositivo), secondo la definizione stessa del Regolamento, è costituito da una “serie di caratteri numerici o alfanumerici creata sulla base di norme di identificazione dei dispositivi e di codifica accettate a livello internazionale e che consente l’identificazione inequivocabile di dispositivi specifici sul mercato”.

UDI rappresenta, dunque, la base del tracciamento dei dispositivi medici allo scopo di migliorare la trasparenza e la condivisione delle informazioni sui dispositivi disponibili sul mercato dell’UE. UDI è, dunque, il sistema di codifica, gestito attraverso la banca dati Eudamed, ossia il sistema informatico sviluppato dalla Commissione Europea per attuare il Regolamento 2017/745, che consente la notifica e la divulgazione delle informazioni disponibili e di riconoscere in maniera certa e chiara tutti i dispositivi medici lungo la supply chain sanitaria in Europa, Stati Uniti e altri Paesi, ed è costituito da un codice alfanumerico complesso che identifica in maniera univoca un dispositivo.

Il codice viene definito complesso in quanto costituito da due parti:

  • la prima (che si definisce UDI-DI) serve a identificare la referenza, il dispositivo;
  • la seconda parte (definita UDI-PI) contiene invece le informazioni che servono alla tracciabilità e alla rintracciabilità del dispositivo, utilizzate e decise dal fabbricante: possono riguardare il lotto di produzione, la data di scadenza, la data di produzione, ecc.

Mentre la prima parte è un tipo di informazione statica, la seconda parte è più complessa perché le informazioni sono variabili e dinamiche. Le aziende non possono assegnare l’UDI in autonomia con regole proprietarie, ma devono riferirsi a un ente di rilascio (Issuing Entity per l’Europa).

Si tratta di organizzazioni globali, enti standardizzatori che forniscono le regole per l’identificazione. Ed è ciò che fa GS1, e per l’Italia GS1 Italy, che è l’unica organizzazione italiana autorizzata per supportare i fabbricanti con i codici UDI.

Il fabbricante deve attribuire il codice UDI al dispositivo e a tutti gli imballaggi che lo riguardano (con esclusione dei container di trasporto) prima di immetterlo sul mercato. In tal modo il dispositivo risulterà tracciabile già dalle fasi produttive fino alla immissione sul mercato, rendendolo facilmente identificabile al fine di segnalare incidenti gravi ed intraprendere le eventuali azioni correttive di sicurezza.

Il labeling del dispositivo

medico Oltre al codice UDI, il fabbricante deve rendere disponibili tutte le informazioni essenziali per l’uso sicuro e corretto del dispositivo medico. Le informazioni possono trovarsi sul dispositivo stesso, come parte della confezione o in altre informazioni di accompagnamento. Per semplificare e per motivi di traduzione, queste informazioni possono essere fornite attraverso l’utilizzo di simboli che hanno un significato specifico, riconosciuto a livello internazionale (ISO 15223-1:2020 “Medical devices — Symbols to be used with medical device labels, labeling and information to be supplied — Part 1: General requirements”). Vengono riportati in tabella 2 alcuni dei simboli più comunemente presenti sul packaging dei dispositivi medici utilizzati in odontoiatria e la loro descrizione.

Il sistema di sorveglianza post-commercializzazione del dispositivo medico

Una volta che il dispositivo medico viene immesso sul mercato, il fabbricante provvede a pianificare, istituire, documentare, applicare, mantenere e aggiornare un sistema di sorveglianza post-commercializzazione in modo proporzionato alla classe di rischio e adeguato alla tipologia di dispositivo. Il sistema di sorveglianza post-commercializzazione è atto a raccogliere, registrare e analizzare attivamente e sistematicamente i pertinenti dati sulla qualità, le prestazioni e la sicurezza di un dispositivo durante la sua intera vita, a trarre le necessarie conclusioni e a determinare, attuare e monitorare le eventuali azioni preventive e correttive.

I fabbricanti dei dispositivi di classe di rischio I stilano un rapporto sulla sorveglianza post-commercializzazione (PMS), mentre i fabbricanti dei dispositivi di classe IIa, IIb e III redigono un rapporto periodico di aggiornamento sulla sicurezza (PSUR) per ogni dispositivo e, ove pertinente, per ogni categoria o gruppo di dispositivi.

Entrambi i rapporti sintetizzano i risultati e le conclusioni delle analisi dei dati raccolti, unitamente a una motivazione e a una descrizione delle eventuali azioni preventive e correttive adottate. I rapporti sono aggiornati ove necessario e messi a disposizione dell’autorità competente su richiesta.

Sono proprio le autorità competenti a verificare e garantire che i dispositivi siano conformi ai requisiti stabiliti dal Regolamento Europeo (MDR) 2017/745 e che non pregiudichino la protezione della salute e della sicurezza o di qualsiasi altro aspetto di pubblico interesse.

In fase di sorveglianza sul mercato, le autorità competenti possono, tra l’altro, imporre di mettere a disposizione la documentazione e le informazioni necessarie ai fini dell’espletamento delle attività delle autorità, e, ove giustificato, fornire i necessari campioni di dispositivi o l’accesso ai dispositivi a titolo gratuito; possono, inoltre, compiere ispezioni annunciate e, se necessario, anche senza preavviso, dei locali degli operatori economici nonché dei fornitori e/o subfornitori e, se del caso, presso le strutture degli utilizzatori professionali.

Se le autorità competenti, sulla base dei dati ottenuti dalle attività di vigilanza o di sorveglianza del mercato o di altre informazioni, hanno motivi per ritenere che un dispositivo possa presentare un rischio inaccettabile per la salute o la sicurezza di pazienti, utilizzatori o altre persone, ovvero che non sia conforme alle prescrizioni stabilite dal Regolamento, effettuano una valutazione del dispositivo a fronte della quale possono immediatamente chiedere al fabbricante, al suo mandatario e a tutti gli altri operatori economici interessati di intraprendere le azioni correttive adeguate e debitamente giustificate, per rendere il dispositivo conforme e limitare la messa a disposizione del dispositivo sul mercato, subordinare tale messa a disposizione a prescrizioni specifiche, ritirare il dispositivo dal mercato o richiamarlo entro un periodo di tempo ragionevole, chiaramente definito.

In aggiunta, salvo che il fatto costituisca reato, il Decreto Legislativo 5 agosto 2022, n. 137, all’art. 27, definisce le sanzioni amministrative pecuniarie per chiunque immetta sul mercato un dispositivo non conforme al Regolamento MDR e utilizzato non conformemente alla sua destinazione d’uso, nonché un dispositivo che non soddisfa i requisiti generali di sicurezza e prestazione. Le sanzioni amministrative pecuniarie sono definite in base al tipo e alla criticità del requisito del Regolamento europeo (MDR) 2017/745 ritenuto non conforme.

IN BOX
in collaborazione con

Eliana Russo

Head of Regulatory Affairs
Regulatory Affairs Unit,
PRINEOS S.r.l.

 

Matteo Sartori

Medical Expert
Regulatory Affairs Unit,
PRINEOS S.r.l.

Vite di guarigione: un esempio di dispositivo medico in odontoiatria

La vite di guarigione, nota anche come pilastro di guarigione e identificata a livello internazionale dal termine anglosassone “healing abutment”, è un componente utilizzato in chirurgia implantare dentale per favorire la guarigione dei tessuti molli circostanti l’impianto, preservando al tempo stesso la salute del tessuto osseo sottostante. Si tratta di un dispositivo medico realizzato in diversi materiali adatti allo scopo, quali, a titolo di esempio, titanio, lega di titanio o ceramica, che viene avvitato sull’estremità coronale dell’impianto dentale, protrudendo dalla gengiva durante la fase di guarigione. La vite di guarigione funge da supporto ai tessuti molli sagomando la loro forma e prevenendone il collasso. Al tempo stesso essa protegge l’interno dell’impianto dalla contaminazione batterica, contribuendo a prevenire eventuali infezioni.
Esistono diversi tipi di vite di guarigione disponibili, in svariate forme e dimensioni. L’operatore può scegliere tra una selezione di diametri e altezze e tra tipologie differenti di connessione con l’impianto, per soddisfare le esigenze cliniche.
La vite di guarigione può rimanere in posizione per un periodo di tempo variabile a seconda del tipo di intervento chirurgico e delle esigenze cliniche del paziente. In alcuni casi essa viene rimossa dopo pochi giorni, in altri può rimanere in posizione per diverse settimane o addirittura mesi.
Una volta che i tessuti molli sono completamente guariti, la vite di guarigione viene sostituita con il pilastro protesico provvisorio e poi definitivo, che servirà da base per la protesi dentale finale.

Specifiche e intended use del dispositivo medico

La vite di guarigione è un dispositivo medico marcato CE di classe IIb secondo la regola 8 dell’allegato VIII del Regolamento europeo 2017/745, in quanto dispositivo chirurgico invasivo impiantabile con uso a lungo termine (durata continua di utilizzo superiore a 30 giorni).
Come qualsiasi altro dispositivo medico, la vite di guarigione presenta alcune indicazioni e controindicazioni che il medico deve valutare prima di utilizzarla su un paziente.
Motivi di salute generale (controindicazioni sistemiche) o orale (controindicazioni locali) o abitudini voluttuarie legate allo stile di vita (ad esempio alcolismo e/o tabagismo) sconsigliano ogni procedura di chirurgia implantare: il paziente, di conseguenza, non verrà sottoposto né all’intervento di posizionamento implantare né successivamente al posizionamento della vite di guarigione se necessaria. Inoltre, attraverso un’attenta anamnesi, il clinico deve sempre considerare, ove possibile, le allergie-ipersensibilità, anche se rare, associate ai materiali (compreso il titanio) di cui è costituita la vite di guarigione così come gli impianti dentali. L’intervento di posizionamento implantare oggi prevede una fase di accurato studio e progettazione del caso clinico e una programmazione virtuale protesicamente guidata, considerando preventivamente la selezione ed utilizzo della vite di guarigione più adatta o, in alternativa, il carico immediato degli impianti stessi. L’operatore, coadiuvato dall’igienista, si prenderà cura di informare ed istruire adeguatamente il paziente sulla tipologia di dispositivi medici utilizzati e sul mantenimento della salute orale e del buon funzionamento degli stessi, attraverso un programma personalizzato di igiene, prima ambulatoriale e poi domiciliare, atto al controllo della placca batterica.

Dispositivo medico monouso, perché?

La vite di guarigione è un dispositivo medico monouso. Sul labeling (packaging ed istruzioni d’uso) compare, infatti, il simbolo del numero 2 barrato ad indicare che il dispositivo medico deve essere utilizzato una sola volta.
Il definire se il dispositivo medico debba essere immesso sul mercato come dispositivo monouso è compito del fabbricante sulla base dell’analisi dei rischi del dispositivo stesso. Infatti, nello standard ISO 14971:2019, in accordo al quale i fabbricanti devono pianificare e condurre la valutazione dei rischi, è posta la seguente domanda: “Is the medical device intended for single use?” La risposta a tale quesito deve essere fornita dal fabbricante sulla base dell’indicazione d’uso del dispositivo e delle sue caratteristiche che potrebbero portare, in caso di riutilizzo del dispositivo stesso, a dei rischi di sicurezza. Ad esempio, la vite di guarigione viene commercializzata dal fabbricante come monouso in quanto, come dimostrato dalla letteratura scientifica, un suo riutilizzo porterebbe a dei rischi quali cross-contamination e, di conseguenza, possibile cross-infection.

Kyaw TT, Nakata H, Takayuki M, Kuroda S, Kasugai S. Evaluation of residual contamination on healing abutments after cleaning with a protein-denaturing agent and detergent. Quintessence Int. 2020;51(6):474-485. doi: 10.3290/j.qi.a44546. PMID: 32424376.
“Although the combination of a strong denaturing agent and detergent effectively cleaned contaminated healing abutments, perfect cleaning was not always possible, indicating that the reuse of healing abutments in different patients is not recommended”.

Bidra AS, Kejriwal S, Bhuse K. Should Healing Abutments and Cover Screws for Dental Implants be Reused? A Systematic Review. J Prosthodont. 2020 Jan;29(1):42-48. doi: 10.1111/jopr.13106. Epub 2019 Sep 16. PMID: 31453645.
“Limited evidence suggests that routine methods used for cleaning and sterilization of used titanium healing abutments may not result in the complete removal of contaminants. However, the biological or mechanical implication of this finding is yet to be determined because presently there are no reports in the literature related to any unfavorable consequences to dental implants, or harm to patients by reuse of healing abutments or cover screws. Nevertheless, due to the popular clinical practice of reusing healing abutments to reduce cost to clinicians and patients, indiscriminate reuse of healing abutments should be avoided, until further supporting evidence is established”.

Stacchi C, Berton F, Porrelli D, Lombardi T. Reuse of Implant Healing Abutments: Comparative Evaluation of the Efficacy of Two Cleaning Procedures. Int J Prosthodont. 2018 Mar/Apr;31(2):161-162. doi: 10.11607/ijp.5552. PMID: 29518810.
“To compare the efficacy of two systems in cleaning used healing abutments (HAs).
A total of 60 used HAs were randomized into two groups: one treated with an automatic cleaning system, and the other with conventional decontamination procedures. After sterilization and staining, the HAs were microscopically analyzed and underwent a cellular adhesion in vitro assay. Contaminated areas were observed with different frequencies in the two groups (3.6% test; 78.2% control; P < .001). In vitro assay showed a uniform cell distribution in test HAs, while areas of debris without adhering cells were a common finding in the control HAs. Further studies investigating the chemical composition and clinical influence of biologic remnants are necessary before considering reusing HAs”.

Wadhwani C, Schonnenbaum TR, Audia F, Chung KH. In-Vitro Study of the Contamination Remaining on Used Healing Abutments after Cleaning and Sterilizing in Dental Practice. Clin Implant Dent Relat Res. 2016 Dec;18(6):1069-1074. doi: 10.1111/cid.12385. Epub 2015 Dec 7. PMID: 26640198.
“Reuse or “recycle” of dental implant healing abutments in clinical practice is common, primarily for economic rational. To determine of this practice results in reuse of components that carry with them some degree of contamination between patients, even following thorough cleaning and sterilization. One hundred healing abutments were collected from eight clinicians following patient use. The abutments were cleaned, sterilized, and then collected. The samples were treated with a protein specific stain (Phloxine B) and photographed.
Ninety-nine percent of the abutments showed protein contamination at one or more sites following cleaning and sterilization.
Reuse of healing abutments between patients should be reevaluated in light of this data”.

Si tenga presente che lo standard ISO 14971:2019 è norma armonizzata dal Regolamento europeo (MDR) 2017/745. L’indicazione del fabbricante relativa al carattere monouso del dispositivo deve essere coerente in tutta la comunità (Ministero della Salute, Dispositivi Medici, Aspetti Regolatori Operativi aprile 2010), per questo motivo, tale indicazione non consente il riutilizzo e la rigenerazione del dispositivo medico.
A tal proposito, il Ministero della Salute, con la nota del 1° aprile 2005, ha stabilito che: “sia per motivi tecnici che giuridici la pratica del riutilizzo del monouso non è compatibile con il quadro normativo italiano”.
Infine, in accordo all’articolo 17 “Dispositivi monouso e loro ricondizionamento” dell’MDR, “il ricondizionamento e l’ulteriore utilizzo dei dispositivi monouso è autorizzato solo se consentito dal diritto nazionale e solo a norma dello stesso articolo. Una persona fisica o giuridica che ricondiziona un dispositivo monouso per renderlo adatto a un ulteriore utilizzo nell’Unione è considerata il fabbricante del dispositivo ricondizionato e assume gli obblighi imposti ai fabbricanti dal Regolamento, ivi compresi gli obblighi connessi alla tracciabilità del dispositivo ricondizionato, conformemente al capo III del regolamento. Il ricondizionatore del dispositivo è considerato un produttore ai fini dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 85/374/CEE”.