L’etica e le lezioni del passato come guida nel nostro lavoro

Etica è un termine che viene dal greco èthos, che significa “carattere, modo di comportarsi” o anche “consuetudine”.
Etica è una parola spesso usata a sproposito, poiché è molto più facile pronunciarla in un discorso piuttosto che metterla in pratica nella propria vita quotidiana.

Il significato che gli diamo oggi deriva dall’interpretazione data in ambito filosofico, in cui si cerca sempre d’individuare che cosa sia giusto e cosa sia sbagliato in un dato modello comportamentale. Quest’ultima precisazione è importantissima, giacché l’etica non si può scindere dal contesto socioculturale nel quale opera. Non esiste infatti un’etica assoluta, bensì vari tipi di “etiche”.

L’etica di una professione (e qui nel nostro campo abbiamo il codice deontologico che la regola), l’etica di un popolo (i suoi usi e costumi) oppure ancora quella di una religione (valori cristiani, musulmani, buddisti) o di una filosofia di vita (essere vegetariano o vegano).

Noi medici ci rifacciamo agli insegnamenti del nostro antichissimo maestro, Ippocrate, il cui giuramento, che risale al IV secolo a.C., guida il nostro codice deontologico.

I suoi principi erano straordinari per i suoi tempi, perché qualificavano il medico come un vero e proprio filantropo del genere umano. Doveva operare per salvare le vite senza badare al livello sociale, al colore della pelle, alla provenienza o alla fede di chi richiedeva la sua assistenza. 

Gli uomini, per Ippocrate, in quanto esseri umani, erano tutti suoi pazienti e come tali andavano rispettati e aiutati. Erano valori talmente avanti nel tempo che sono tuttora attuali e, nonostante la nostra epoca si vanti di essere la più civile ed evoluta, non hanno ancora fatto presa sulla maggior parte degli abitanti del nostro pianeta, visto quello che succede in questo momento storico in vari paesi del mondo, vicini e lontani da noi.

Ad ogni modo non era solo dell’etica medica che volevo parlarvi in quest’occasione, bensì anche di quella del lavoro (egualmente correlata a quella medica quando si esercita la nostra professione nella pratica). 

Per farlo partirò dalle tesi dell’interessante saggio di Max Weber denominato “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. Per quanto quest’opera risalga al biennio 1904-1905 contiene al suo interno una serie di riflessioni che valgono la pena di esser vagliate con attenzione e che possiamo utilizzare per alcune attuali considerazioni.

Il presupposto che sta alla base dell’opera è che il protestantesimo, soprattutto nella sua versione calvinista, sia stato all’origine del capitalismo moderno.

Ma dov’è nato e come si è sviluppato il nostro attuale modello economico? La risposta è: nei Paesi Bassi (Olanda e parte del Belgio), in Svizzera, in Inghilterra, in Germania, nei paesi scandinavi e infine in America settentrionale. Tutti paesi con fortissima predominanza protestante, in particolare della corrente elaborata da Calvino nel XVI secolo. I puritani che colonizzarono per primi il New England, la Virginia e le colonie americane dell’est erano anch’essi eredi di questa visione religiosa.
Ma come si coniugano tali valori religiosi con lo spirito capitalistico? Entrambi portano allo stesso risultato. Questo comporta il reinvestire i frutti del nostro lavoro – praticamente il nostro guadagno – per promuovere ulteriori iniziative legate alla propria attività, per garantire lo sviluppo economico della società stessa, portando il benessere a tutti quelli che direttamente o indirettamente hanno rapporti con la nostra opera.
Il nocciolo della questione sta nella differenza tra coloro che, nel lontano 1500, producevano ricchezza nel Mediterraneo e chi, invece, lo faceva nelle terre bagnate dal Mare del Nord.

I primi erano immersi nel Rinascimento: erano aristocratici, alti esponenti del clero, ordini religiosi e monastici, principi laici ed ecclesiastici, città libere e signorie. Tutti loro erano accomunati dall’idea d’investire la loro ricchezza in sfarzo, lusso, godimento immediato della vita e mecenatismo. Possiamo dire per rimanere nel nostro campo: spendere tutte le risorse economiche realizzate in attività extra-cliniche, non legate a ciò che ha creato il profitto della nostra attività professionale.

Nulla di male, è una cosa positiva investire una parte dei propri guadagni nel godimento della vita e della bellezza.  Il problema sta quando tutta la ricchezza va a foraggiare questo stato di cose. Questa, spesso, in epoca Rinascimentale, veniva sprecata in lussi inutili, come festeggiamenti sfarzosi, sfilate e parate, autocelebrazioni, che, a parte intontire le popolazioni – il famoso panem et circenses degli imperatori romani, che ritornava in auge – non apportava alcuna crescita effettiva in termini di benessere sociale globale della popolazione di quegli stati. Ma anzi determinava la creazione di una classe inferiore sempre più povera, ignorante e senza possibilità di raggiungere mai un riscatto sociale.

Ben diverso fu il mondo nordico e protestante.
Questo perché, nella visione di Calvino, Dio indicava chi era giusto e retto già durante la sua vita terrena, ad esempio concedendogli successo negli affari.
A questo aggiungo che gli inglesi, i tedeschi e gli olandesi, quando decidevano d’investire in qualcosa che non fosse altro business, investivano sulla cultura.
Tradussero la Bibbia, il più longevo best seller della storia, dal latino nelle loro lingue, in modo che tutti potessero leggere e riflettere sul significato della parola di Dio, senza più sacerdoti come intermediari.
Favorirono la stampa e con lei l’alfabetizzazione delle masse.

Popoli alfabetizzati poterono leggere altri saggi, pamphlet, giornali e ulteriori libri, allontanandosi sempre di più dall’ignoranza che era il flagello che teneva invece le popolazioni mediterranee e del sud avvinte all’arbitrio dei potenti. Non per altro la democrazia moderna nasce a settentrione, non nel nostro Mediterraneo.

E quei paesi sono stati il motore economico dello sviluppo dell’Europa dalla fine del 1700 sino alla metà del secolo scorso. Concludendo, il mondo protestante di sicuro più duro e austero, cercava di mettere al massimo frutto quanto guadagnato, per aumentare il benessere globale della popolazione. Ritornando all’esempio del nostro stato attuale mi sento di consigliare: reinvestiamo costantemente quanto guadagnato in innovazione, tecnologia e formazione clinica. 

Ecco, questi sono i punti che io desidero evidenziare e promuovere, e che nel mio studio e in quelli che seguo, tutti portati alla crescita e affermati nel mondo odontoiatrico, mettiamo quotidianamente in pratica. Una volta, un collega che era venuto dal Continente a trovarmi per studiare la mia realtà disse, tra il serio e il faceto, che lo studio che dirigo a Sassari, nel nord della Sardegna, era paragonabile ad una “piccola ed efficiente Svizzera”.

Quale è quindi il segreto del successo?
Quello di lavorare duro, in maniera professionale, reinvestendo il guadagnato nella nostra attività, nel personale che ci affianca ogni giorno, nelle innovazioni tecnologiche, e infine sul territorio e sul sociale del luogo in cui viviamo, con maggiore attenzione nella cultura e nello sport.  Questa è la mia etica filosofica personale ed è quello che ho trasmesso, negli anni, a ogni persona che collabora con me, o che mi chiede consiglio. Ma dato che siamo anche fieramente italiani, le nostre origini rinascimentali non le rinnego affatto.

Quindi in ogni nostra attività aggiungiamo come ciliegina sulla torta un tocco di caldo sapore mediterraneo: il sorriso sincero, l’accoglienza autentica, la comprensione e l’interesse vero e completo verso ogni paziente che siamo onorati di curare. Insomma, la strada verso il successo è dare il meglio di quanto prodotto nella cultura su base etica e sociale sia dal nord che dal sud del mondo occidentale in cui felicemente viviamo.