Mi viene chiesto molto spesso, da amici e colleghi odontoiatri, quali siano le strategie da implementare per far crescere il proprio studio dentistico, in relazione alla strada che ho tracciato in questi ultimi trent’anni, passando da uno studio mono professionale con un dipendente, a una vera e propria azienda sanitaria odontoiatrica con trentacinque persone che vi lavorano, fra dipendenti e collaboratori a partita IVA.

Parto sempre da lontano nelle mie risposte, perché la “ricetta magica” non esiste, come non è possibile banalizzare la filosofia di vita e di professione che in questi anni mi ha guidato. Così come nei vecchi libri di storia, in cui si insegnava ad entrare nello spirito dell’epoca attraverso aneddoti più che con fredde e asettiche date da buttare giù a memoria, anche io parto sempre da avvenimenti o personaggi conosciuti per trasferire in chi mi ascolta i concetti che sono alla base della crescita personale e professionale di un titolare di studio dentistico.

Mi ha sempre fatto riflettere una citazione dell’ormai scomparso Robin Williams, attore che ha interpretato personaggi magnifici quali Adrian Cronauer in “Good Morning Vietnam”, il professor John Keating de “L’Attimo Fuggente” o Sean Maguire in “Genio Ribelle”:

«Sono le persone che hanno sofferto a fare del loro meglio per rendere felici le altre persone, perché sanno cosa significa stare male e vogliono che nessun altro si senta in quel modo».

Questo aneddoto si sposa perfettamente con gli studi di ricercatori americani e britannici contenuti all’interno di libri quali “La Mente Milionaria” di Thomas J. Stanley e il celebre “Think and Grow Rich”, tradotto in italiano con “Pensa e arricchisci te stesso” di Napoleon Hill.

Questi autori hanno intervistato e analizzato centinaia di milionari di ogni tipo, e leggendo le loro parole mi sono accorto con sorpresa che numerosi punti da loro evidenziati li avevo già “sperimentati” nella mia vita.

Uno di questi è il principio per cui, tra le persone di successo, vale la celebre legge di Pareto (*): l’80% di loro si è fatto da solo partendo da zero, mentre solo il 20% ha ereditato una posizione o una ricchezza e ha poi creato ulteriore successo con le proprie forze.


Il principio di Pareto è un risultato di natura statistico-empirica che si riscontra in molti sistemi complessi dotati di una struttura di causa-effetto.
Il principio afferma che circa il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti. Questi valori vanno intesi come qualitativi e approssimativi. Esso prende il nome da Vilfredo Pareto (1848-1923), uno dei maggiori economisti e sociologi italiani e trova applicazione in una sorprendente moltitudine di ambiti e discipline.
Pareto, studiando la distribuzione dei redditi, nel 1897 dimostrò che in una data regione solo pochi individui possedevano la maggior parte della ricchezza. Aveva constatato infatti che in Italia all’epoca circa il 20% della popolazione possedeva l’80% delle terre.
Questa osservazione ispirò la cosiddetta “legge 80/20”, una legge empirica di natura statistica che fu poi riformulata anche da Joseph M. Juran, ma che è nota anche con il nome di principio di Pareto (o principio della scarsità dei fattori), e che è sintetizzabile nell’affermazione: la maggior parte degli effetti è dovuta a un numero ristretto di cause (considerando grandi numeri).

Tratto da Wikipedia


Io, ad esempio, sono figlio di due insegnanti elementari e mi sono dovuto zappare la creazione del mio studio mono professionale senza alcun supporto esterno, se non con il piccolo prestito che mi hanno concesso i miei – e che ho restituito pian piano negli anni successivi – per comprare i primi strumenti e acquistare i locali in cui ho iniziato a lavorare.

Per questo torno alla frase di Robin Williams e la declino in una massima che ho fatto mia nel tempo: «Solo chi ha sofferto nella vita riesce a creare qualcosa di grande». Per soffrire intendo che ha dovuto faticare emotivamente, prendendo decisioni difficili e scomode. Solo chi ha sentito la paura contorcergli le viscere la prima volta che ha chiesto un prestito in banca senza avere coperture di sorta, oppure ha sperimentato il dolore di essere tradito da un socio o da un collaboratore, o si è trovato isolato da tutti quando ha preso una strada in cui nessun altro credeva, può capire!

È la sofferenza – o meglio la sua gestione e superamento – a forgiare il carattere di ognuno di noi, esattamente come accade con lo shock termico di ferro incandescente e acqua gelida da cui nasce l’acciaio migliore. Sono quindi le emozioni (positive o negative che siano) a generare quella carica in più, quel differenziale che permette ad alcuni di noi di emergere tra gli altri che esercitano la stessa professione, ispirando così i collaboratori che ha intorno a dare il meglio.

È con le emozioni che si vanno a creare le basi per affermarti nella professione. Sono quelle che ti stimolano a studiare costantemente, primeggiare nella tua attività, sfruttare le migliori capacità organizzative di chi hai intorno, e comunicare con etica che esisti.

Consapevole dei sacrifici passati e dell’esperienza vissuta le farai sviluppare e crescere una per una, attirando attorno a te persone di valore. Chi non ha passato un periodo di tribolazioni, in cui ha versato sudore e lacrime, troverà molto difficile generare quell’energia necessaria a portare innovazione professionale e tecnologica, condivisione di intenti ed entusiasmo nella creazione della sua identità professionale.

Chi è stato sempre bene, chi è nato nella comodità o nel privilegio, o anche solo chi è rimasto dentro una campana di vetro, ha molta più difficoltà a raffinare questi aspetti. Questo per una semplice ragione: non ne sente la voglia, la necessità o il bisogno. Entra in quello stato di torpore che chi approfondisce i temi dello sviluppo umano conosce molto bene, si chiama zona di comfort.

Il discorso vale per un giovane che non si è dovuto mai guadagnare nulla per ottenere risultati di valore, prima nello studio universitario e poi nella professione, come anche per uno studio odontoiatrico in cui il titolare ha perso lo stimolo ad innovare, e va avanti da tempo con una sorta di pilota automatico. Si limita a gestire quello che ha (dipendenti, fornitori, pazienti), lamentandosi di quanto il mondo sia difficile, della concorrenza delle grandi catene del dentale, della competizione negativa che viene dagli studi dell’Europa dell’Est che non sa affrontare.

Questa è una grande trappola in cui cadono in molti, magari dopo una decina di anni dall’avvio del proprio studio.

Se dopo la fase di creazione e crescita ci si arena in una “gestione” troppo lunga e si entra in comfort, prima o poi questo si trasformerà in crisi, che potrebbe contagiare non solo il lavoro, ma anche la vita privata.

Non è pessimismo o cattiveria, ma è il mondo che va avanti seguendo la sua strada, ignorando le nostre piccole vite. I competitor, infatti, non stanno in comfort come noi. Magari qualcuno è in fase di creazione e crescita e se noi, che pensavamo di essere arrivati, non ci rimettiamo in gioco con una nuova stagione di innovazione, scelte di management e comunicazione, saremo raggiunti e superati.

E i nostri pazienti evaporati…

Perciò il modello che ho adottato nella mia attività e che insegno nei miei corsi di odontoiatria extra clinica è il seguente:

Crescita −> Gestione −> Crescita.

Non ci si può mai fermare se si decide di avere uno studio odontoiatrico di successo, che genera valore per noi stessi, per chi collabora con noi e per il territorio in cui viviamo, che è a mio parere il fine ultimo di ogni attività economica. Gli strumenti che abbiamo sono la curiosità e l’entusiasmo, la volontà di imparare e creare sempre qualcosa di innovativo, di bello e nuovo.

Per tenermi sempre vivo studio, viaggio, sia io che tutti i membri dello staff, incontro costantemente persone di valore da cui prendere ispirazione e fare confronto con le mie idee, leggo libri, vedo film divertenti e motivanti, mi prendo del tempo per riflettere.

Fatto in tale ottica il lavoro non potrà mai pesare, ma solo essere amato, e così insegno ai tanti colleghi che ho incontrato negli anni e con i quali condivido la strada della vita. ●