Il diritto ad essere risarcito del datore di lavoro in seguito a errore professionale medico

Sino al sinistro stradale in cui morì, nel 1967, il calciatore del Torino Luigi Meroni la giurisprudenza non aveva mai riconosciuto l’istituto della lesione del diritto di credito del terzo ovvero il diritto del terzo di agire direttamente verso il danneggiante per il pregiudizio a lui causato dal fatto illecito che ha subito il danneggiato.
La difficoltà a riconoscere tale istituto giuridico era data dal fatto che il riconoscimento del danno postula l’esistenza di danni che siano “conseguenza immediata e diretta” del fatto illecito ovvero nella perdita di chance la violazione di una aspettativa di fatto.
Con l’istituto della lesione del credito la giurisprudenza (Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 26 gennaio 1971, n. 174) ha voluto dare riconoscimento alla risarcibilità di un autonomo danno alla propria sfera giuridica non direttamente e immediatamente causato dal soggetto agente.
In altre parole, al datore di lavoro viene riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni (in)direttamente cagionatigli dalla privazione delle energie lavorative del dipendente vittima di un sinistro.
Secondo la citata sentenza è definitiva e irreparabile la perdita economica quando si tratti di obbligazioni di fare rispetto alle quali vi è insostituibilità del debitore, nel senso che non sia possibile procurarsi, se non a condizioni più onerose, prestazioni uguali o equipollenti.
L’istituto della tutela aquiliana del credito che costituisce oramai un principio giurisprudenziale consolidato, nel tempo, si è via via ampliato sino ad arrivare a riconoscere la tutela della lesione del diritto di credito del terzo anche quando non sussista il requisito della “insostituibilità” dell’obbligato.
Questo (nuovo) orientamento giurisprudenziale ha, di fatto, permesso un più ampio riconoscimento con la conseguenza che sempre più, anche nelle cause di responsabilità medica, si vede un ulteriore soggetto che agisce o interviene in danno al medico per lamentare la “propria” lesione del credito.
Trattasi di quella che, comunemente, è chiamata “rivalsa del datore di lavoro”, secondo cui va riconosciuto il diritto del datore di lavoro al risarcimento dei danni direttamente cagionatigli dalla privazione delle energie lavorative del dipendente rimasto leso a causa di un errore professionale in ambito medico posto che l’assenza del lavoratore priva l’imprenditore delle forze che quel prestatore, in quel certo periodo, sarebbe stato vincolato a prestare esclusivamente in favore dell’azienda alla quale è legato dal rapporto di lavoro. Avendo il lavoratore diritto, quale inadempiente incolpevole di un rapporto contrattuale di lavoro subordinato, alla controprestazione (pagamento della retribuzione), consegue che le lesioni che invalidano in qualche misura la sua capacità lavorativa procurano, tra gli altri, un danno diretto nel patrimonio del datore di lavoro, creditore della prestazione mancata. Pertanto, spetta all’imprenditore, a titolo di risarcimento dei danni, il rimborso della quota, valutabile in via equitativa, relativa al mantenimento del lavoratore per il periodo di assenza.
In questo modo, il medico, ritenuto responsabile delle lesioni personali in danno di un lavoratore dipendente, non conseguente invalidità temporanea assoluta, è tenuto a risarcire il datore di lavoro per l’esborso a vuoto della retribuzione (e dei relativi accessori) al predetto dipendente infortunato. Ed al riguardo si è precisato che tale esborso, che si presenta come inevitabile, in quanto è dovuto per legge o per contratto, si traduce in un danno ingiusto per il datore, poiché il fatto illecito del terzo, che lede l’integrità fisica del lavoratore, determinerebbe l’assenza dal lavoro per malattia, priva nel contempo il datore di lavoro delle prestazioni lavorative a lui dovute, senza sospendere il suo obbligo di corrispondere la retribuzione.
L’aumento dei casi in cui il datore di lavoro si costituisce contro il medico non solo rileva sotto un profilo processuale (il medico si trova a “lottare” contro un’ulteriore soggetto nel processo) ma anche assicurativo posto che l’ulteriore danno risarcibile costituisce un costo puro per le assicurazioni che sempre più spaventate dal rischio di causa abbandonano il mercato assicurativo.
Tale circostanze spinge all’ulteriore conclusione che diventa sempre più necessaria una norma che chiaramente delinei i limiti della responsabilità medica in un sistema come il nostro caratterizzato dall’universalità della prestazione e che contemperi il rischio insito e connesso così come delineato dalla scienza e dalla comunità scientifica. ●

A cura di: Giovanni Pasceri