Considerazioni cliniche sul restauro post–endodontico

Clinical considerations on post-endodontic restoration

Fig. 3 Aree di movimento della funzione masticatoria da tener presente nel rifacimento di un tavolato occlusale.
Scopo del lavoro:

La disponibilità sul mercato di numerosi materiali, unitamente alla semplificazione delle tecniche di esecuzione clinica, permette all’odontoiatra di eseguire restauri post trattamento endodontico con facilità, una prevedibilità di successo e un’estetica molto affidabile. Tuttavia, lo studio del caso, le caratteristiche anatomiche e quanto residua di dente dopo la rimozione del tessuto infetto, sono aspetti da tenere in gran considerazione prima di ogni ripristino di un elemento alla sua funzione. In difetto, la pur grande polivalenza della tecnologia non potrà essere d’aiuto a lungo termine. Scopo di questo lavoro non è stabilire quale tecnica/materiale sia più adatto, ma è dare dei suggerimenti clinici per un successo duraturo delle ricostruzioni e fornire dei criteri di scelta da seguire nella fase decisionale dopo l’endodonzia nei vari scenari possibili.

Introduzione

Il ripristino morfo-funzionale di un dente trattato endodonticamente presenta, come in pochi altri casi in odontoiatria, una vastissima eterogeneità di situazioni cliniche da affrontare con soluzioni molto differenti tra loro, seppur ognuna parimenti valida. Basti pensare alla distanza siderale che raccontano le due scelte terapeutiche rappresentate in figura 1 e 2. Nella prima 50 anni di odontoiatria che, volendo, oggi possiamo ancora considerare a bassissimo costo (ad eccezion fatta per la chiusura dell’accesso in gold foil dell’incisivo laterale, di cui da tempo si son perse le tracce nella formazione accademica) (1). Laddove nella seconda un molare viene ricostruito con un overlay in DI-SI-Li eseguito in Cad-Cam con presa di impronta ottica, realizzazione computerizzata, modello stereo litografico e successiva fresatura e pittura del manufatto. Le motivazioni di una così ampia gamma di scelta sono dovute non solo alla gran varietà di materiali a disposizione del clinico, ma anche alle diversissime situazioni cliniche che si presentano nei nostri studi professionali. Le considerazioni da farsi nelle scelte terapeutiche sono influenzate principalmente da tre fattori:

  1. anatomia occlusale e funzione del paziente;
  2. posizione in arcata;
  3. quantità del dente residuo e qualità del suo substrato dentinale.
Fig. 1 Ricostruzioni post-endodontiche con onlay in amalgama d’argento e gold-foil su incisivo laterale.
Fig. 2 Overlay CAD-CAM su 6° inferiore in DiSiLi.

Anatomia occlusale e funzione del paziente

Ogniqualvolta ripristiniamo un tavolato occlusale, o una sua porzione, abbiamo delle regole da seguire. Questo sia che si tratti di un solo elemento sia, ovviamente, per più denti di un’arcata. Conoscere quindi le determinanti occlusali, l’anatomia e la funzione di quanto poi verrà sottoposto al lavoro in masticazione, diventa dirimente per il successo a lungo termine del nostro restauro (2). Senza pretendere di entrare troppo in un ambito molto ampio basterà ricordare che le cuspidi di lavoro e di taglio hanno un’altezza diversa. Che i solchi di protrusiva, lavoro e non lavoro, concorrendo alla disclusione delle arcate, devono essere orientati in funzione dei movimenti di lateralità e protrusione delle cuspidi antagoniste (ed eventualmente corrette in fase di test finali prima di congedare il paziente). Che le fosse di stampo e tutta l’anatomia funzionale della corona e dell’asse del dente (o anche della singola cuspide ricostruita) hanno un’inclinazione, possibilmente da ricopiare dagli elementi adiacenti, rispetto al piano occlusale (3)(4)(5). Che vi sono aree di lavoro in cui avvengono i movimenti mandibolari governati dalle posizioni condilari di:

  • protrusione: movimento in avanti della mandibola;
  • lateralità: spinta laterale o vs l’esterno;
  • lateroprotrusione: spinta verso avanti ed esternamente;
  • laterosurtrusione: verso l’esterno, indietro e con spinta verso l’alto;
  • mediointrusione: laterale spinta medialmente o verso l’alto, spinta intrusiva e in avanti del condilo non lavorante (6-9) (figg. 3-4). 
Fig. 3 Aree di movimento della funzione masticatoria da tener presente nel rifacimento di un tavolato occlusale.
Fig. 4 Solchi fondamentali, anch’essi da considerare.

Altro importante aspetto da tenere presente è la tipologia anatomica del paziente. Differenti biotipi saranno rappresentati con differenti morfologie delle corone dentarie. Ad esempio, vi saranno pazienti i cui versanti cuspidali saranno molto inclinati e pazienti con versanti più piatti (fig. 5).

Fig. 5 Inclinazione del versante interno di una cuspide.

Questo generalmente viene accompagnato da un’allocazione del punto di contatto cuspide-fossa più profondo (nei primi) e, pertanto, un’azione dislocante maggiore con un momento di forza più importante. Su questi pazienti il rischio di frattura delle cuspidi da noi realizzate è maggiore che in anatomie più “dolci”, pertanto le scelte saranno orientate in rifacimenti coronali più estesi a parità di perdita di sostanza dentaria (fig. 6). Quanto fin qui esposto non deve far preoccupare il clinico, anzi. Nella modellazione occlusale solo i fondamentali saranno importanti e le caratterizzazioni anatomiche spesso diventano degli sterili esercizi di stile fine a sé stessi. Negli anni passati un’anatomia essenziale era individuata nei concetti espressi da Harold Shavell (1980) e gli amalgami d’argento seguivano le sue indicazioni in fase di modellazione (un tubercolo del Carabelli, ad esempio, veniva eseguito su un onlay in amalgama solo se ci si voleva complicare la vita). Allo stesso modo oggi è richiesto al tecnico di non esagerare con la modellazione anche per la difficoltà, poi, di adattare il manufatto alla particolare funzione del paziente. Poche ma essenziali caratterizzazioni quindi.

Fig. 6 Il punto di contatto con l’antagonista sarà diverso a seconda dell’inclinazione
della cresta obliqua.

Altra determinante anatomica da conoscere è la distribuzione della curva sigmoidale della dentina (10). Anch’essa viene in diretta conseguenza della già menzionata inclinazione cuspidale e determina spessori diversi di supporto della dentina allo smalto sovrastante. Presente in tutti gli elementi posteriori, essa è più accentuata al di sotto delle cuspidi funzionali come rinforzo biomeccanico ad uno spessore di smalto necessariamente maggiore. La sua magnitudine aumenta avanzando posteriormente. Conoscere questi volumi, inoltre, aiuta nella scelta se abbattere o meno una cuspide anche quando apparentemente lo spessore residuo potrebbe sembrare sufficiente (fig. 7).

Fig. 7 L’inclinazione dei versanti cuspidali influenza anche l’andamento isto-anatomico dei tessuti duri del dente. l’andamento della curva sigmoidale di distribuzione del supporto della dentina allo smalto è un fattore che va conosciuto e la cavità da restaurare dipenderà da quanto di questo vie-ne a mancare orizzontalmente e verticalmente (profondità ed estensione vestibolo-linguale del fondo cavitario).

Questi aspetti istoanatomici permettono di diminuire non solo il rischio di una frattura dentale, ma anche il distacco dell’adesivo dal substrato dentale; entrambi dovuti ai ripetuti cicli di masticazione che comportano un’eccessiva flessione delle cuspidi.

Posizione in arcata

la posizione in arcata dell’elemento trattato endodonticamente ha una sua peculiare importanza dovuta alla conseguente funzione naturale (11,12). Le forze che agiscono nel settore frontale, ad es., sono prevalentemente oblique, di taglio. Mentre posteriormente, mantenendo sempre i concetti di lateralità e protrusiva espressi in precedenza, sono maggiormente assiali. Più che il distacco del materiale da ricostruzione, quindi, in un incisivo avremo la decementazione di un perno o la frattura obliqua della corona. Si perdoneranno degli spessori più sottili (un margine incisale viene tranquillamente ricostruito con composito anche se per una porzione esigua) ma non dei compromessi su dei margini di chiusura inadeguati. Posteriormente le forze compressive agiranno flettendo le cuspidi (come riportato in precedenza) e richiedendo spessori opportuni delle stesse per evitare fratture coesive dei materiali. L’effetto ferula, che ricordiamo deve essere di un minimo di due millimetri, sarà determinante nelle ricostruzioni degli incisivi per tutto il perimetro di una corona protesica. In un molare potrebbe bastare un appoggio orizzontale del materiale adeso con una chiusura su dente non così estesa apicalmente e su 360 gradi (fermo restando la necessità di chiudere su dente e non su ricostruzione ovviamente). Un premolare, invece, ha sovente una distribuzione delle forze abbastanza equivalente fra oblique e assiali. Anche per questi elementi si necessita, quindi, di una ferula ben rappresentata e un’attenta valutazione degli spessori residui. Il tutto tenendo presente lo squilibrio esistente tra i diametri coronali (ampi) e a livello della CEJ (13-15). Quest’ultimo, più ridotto, rappresenta un locus minoris resistentiae da valutare, per poi magari essere sostenuto da un perno e abbracciato da un cerchiaggio di altezza adeguata (figg. 8-9).

Fig. 8 Vettori delle forze applicate nel settore anteriore.
Fig. 9 Ferula di un perno moncone su un elemento anteriore.

Quantità del dente residuo e qualità del suo substrato dentinale

Schematicamente possiamo ipotizzare un valore della DTR (diminishing tooth resistance), intesa come resistenza del dente ai carichi masticatori, che diminuisce a seguito del tipo di cavità che dobbiamo restaurare. Nelle figure 10 e 11 viene riportato che, per le sole cavità endodontiche, la resistenza degli elementi del settore latero-posteriore cala appena del 5%. Laddove si perda una cresta marginale, invece, la DTR diventa del 20% c.a. e, infine, con la mancanza di entrambe le creste, la resistenza arriva ad essere anche meno del 50%.

Fig. 10 Percentuale di diminuzione della resistenza per la sola apertura di camera.

Questo guiderà le nostre scelte ricostruttive verso una semplice otturazione diretta nel primo scenario, mentre una ricostruzione indiretta può diventare la decisione più adatta nelle altre situazioni cliniche.

Fig. 11 Schema delle percentuali di DTR a seconda delle cavità.

A questo si aggiunga il fatto che l’uso delle soluzioni irriganti, così come i materiali usati nelle medicazioni intracanalari e, poi, la deplezione delle fibre collagene nel tempo, possono influire sulle caratteristiche fisicochimiche della dentina residua (16). Il legame ai materiali ricostruttivi che ne consegue, laddove si decidesse di adottare delle procedure adesive, ne potrebbe essere molto influenzato. Prendiamo ad esempio un elemento ritrattato dopo anni come in figura 12.

Fig. 12 Dente ritrattato con dentina sclerotizzata.

All’atto della ricostruzione lo strato ibrido per un perno adesivo non sarà certamente ideale (dentina sclerotica, fibre collagene inesistenti, residui obliteranti). Questo porterà a un bivio nella scelta ricostruttiva: o si deciderà per un perno indiretto fuso o uno diretto in fibra, previa sabbiatura per una microritenzione della superficie. In entrambi i casi dirimente sarà (ancora una volta) una buona ferula di cerchiaggio della corona protesica cervicalmente. Proprio l’uso di perni endocanalari risulta essere ancora oggi molto discusso nei consessi scientifici. Quando, quali e dove usarli è un punto focale di ogni trattazione sull’argomento. È parere dell’autore che il loro abuso sia diventato nel tempo una sorta di coperta di Linus. Spesso, infatti, non se ne avrebbe la necessità, pur tuttavia si usa inserirli a scopo “preventivo”. 

Fig. 13 Aree di perdita di sostanza che suggeriscono l’uso di un perno intracanalare.

Schematicamente in figura 13 viene riportato quando l’utilizzo di un perno, nella pratica clinica, può servire a distribuire i carichi masticatori ed evitare la decementazione delle ricostruzioni coronali. Il tutto sempre con la necessità di un cerchiaggio dei manufatti, che risulta essere la vera assicurazione sull’affidabilità delle nostre terapie ricostruttive (17).  Un incisivo avrà un perno a supporto se mancherà delle due creste prossimali. Questo permetterà una distribuzione delle forze di taglio che spesso sono le vere cause dell’insuccesso a distanza. In un premolare con una sola o nessuna parete residua, vestibolare o palatale, verrà posizionato un perno se interprossimalmente gli spessori di dentina e, soprattutto, di smalto non saranno sufficienti (seconde classi profonde) e la scelta protesica ricadrà poi su una corona completa (figg. 14-16). Nei molari, infine, la cavità pulpare e lo strato smalto-dentinale perimetrale, generalmente, permettono una buona adesione di un manufatto onlay/overlay. Pertanto, la scelta del perno ricadrà, anche qui, sugli spessori marginali se saranno esigui o assenti, con un residuo di altezza coronale molto scarso e si preveda la scelta ricostruttiva di una corona protesica.

Fig. 14-16 Elemento decoronato ricostruito con perno diretto.

Ovviamente tutto questo può risultare riduttivo e troppo schematico nella trattazione del tema perno si/perno no. Si prendano queste indicazioni generiche a grandi linee per svilupparle poi come meritano in un lavoro più approfondito. La scelta del tipo di ricostruzione dell’elemento posteriore trattato, quindi, è guidata dalla quantità del tessuto residuo. Anche qui alcune eccezioni possono essere fatte considerando attentamente la posizione e la funzione del dente, come detto prima. Lo stress masticatorio potrebbe essere poco influente quando cavità di seconda classe dovessero interessare delle cuspidi non lavoranti di un dente (laddove le lavoranti abbiano spessori basali adeguati). In certi casi l’utilizzo di materiali compositi riempiti di fibre di vetro può venire in aiuto nella decisione di ricostruire un dente trattato endodonticamente con tecniche dirette alla poltrona.

Fig. 17, 18 Secondo premolare inferiore con perdita della cuspide disto-linguale ricostruito con tecnica diretta con fibre di vetro come riempitivo per lo strato interno.

Nelle figure 17 e 18, ad esempio, in un 5° inferiore con una cuspide distolinguale sottominata, viene stratificato del composito con riempitivo (EverX flow, GC Corporation) che rappresenta un valido sostituto della dentina e buon substrato per il composito direttamente apposto sopra di esso a ripristinare le porzioni smaltee mancanti e un tavolato occlusale corretto. A distanza di tempo questo tipo di ricostruzione, in casi attentamente selezionati, sembrerebbe dare ottimi risultati in quanto a resistenza e durata. Lo stesso flow viene usato in tecniche sandwich con i perni in fibra già menzionati in molti casi di canali ampi e/o irregolari o ricostruzioni estese (figg. 19-22). 

Fig. 19 Prericostruzione di un elemento decoronato con fibre. Il dente verrà poi preparato per una corona protesica.

Continuando con le ricostruzioni dirette nei denti trattati endodonticamente, con cavità di prima o seconda classe non complesse e non particolarmente destruenti, una metodica semplicissima e quanto mai veloce viene utilizzata ormai da anni (18). Questa prevede un riempimento cavitario, nel ripristino della dentina persa, con un composito a cromaticità elevata, previa ricostruzione della parete prossimale (secondo N. Bichacho ‘94). Con pochi incrementi di alcuni millimetri, si prosegue alla stratificazione di un unico strato smalteo di buon spessore (identico allo smalto naturale) con un composito a media traslucenza. Le sole due masse accoppiate sono in grado di ripristinare i corretti rapporti cromatici, copiando la disposizione istoanatomica del dente naturale, di ogni elemento del settore latero-posteriore (figg. 23-24).

Fig. 20-22 Caso limite del recupero di un molare con perno in fibra. In questo caso una forca-zione profonda delle radici ha permesso di creare una ferula per il cerchiaggio della corona prote-sica dopo un allungamento della corona clinica.
Fig. 23, 24 Ricostruzione diretta di un molare trattato con basi cuspidali ben ampie.

In cavità di seconda classe sui molari si può prendere come valore decisionale l’ampiezza dell’istmo. Se questo, alla fine, risultasse essere maggiore della metà della distanza intercuspidale, si consiglia di adottare un ricoprimento delle cuspidi, magari con tecnica indiretta (fig. 25).

Fig. 25 Una cavità che abbia larghezza dell’istmo inferiore alla distanza intercuspidale può essere ricostruita con tecnica diretta. Diversamente si propenderà per un’indiretta.

Nei settori anteriori, la tecnica ormai consolidata da tempo di stratificazione e caratterizzazione dello smalto descritta dal dottor Vanini, rimane la più predicibile e adeguata alle varie situazioni cliniche dove l’estetica rappresenta una richiesta precisa e indifferibile dei nostri pazienti (19). Tralasciando le ricostruzioni indirette con corone protesiche ottenute con i più disparati materiali (metallo-ceramica, ceramiche integrali e zirconia ad esempio), una metodica indiretta ormai consolidata è rappresentata dalle ricostruzioni estetiche con tecniche adesive (20)(21). Le preparazioni parziali degli elementi posteriori, quelle che vengono chiamate a seconda del volume di dente preparato (per intarsi in oro 3/4, 7/8 ad es.), attualmente sono ahinoi relegate a un’odontoiatria di rara applicazione per via delle richieste estetiche dei pazienti (22). Oggi si preferiscono materiali affidabili la cui avanzata produzione tecnologica ne conferisce caratteristiche molto simili al dente naturale in termini di modulo di elasticità, durezza e resistenza all’abrasione, oltre che un’estetica estremamente efficace (e quindi facilmente proponibile). Le tecniche di taglio dei tessuti duri prevedono spessori ridotti (2mm occlusalmente e ≤1mm perifericamente, ad esempio) e vengono generalmente distinte in inlay (preparazioni intracoronali), onlay (preparazioni con sostituzione di una o più cuspidi) e overlay (con piano occlusale interamente ricoperto dal manufatto).

Fig. 26 Evoluzione negli anni delle cavità per overlay in resina composita.

Si è passati da cavità molto squadrate, dove l’esercizio e la pratica erano necessari per produrre cavità rifinite e intagliate con grande precisione, a riduzioni dei tessuti duri estremamente arrotondate e con pochi cambi di piano necessari solo a includere le porzioni da preparare e da raccordare per preparazioni autocentranti (cosiddette parametric preparation) (23). Questo tipo di forma cavitaria sembra produrre un miglioramento della conversione dei monomeri nell’interfaccia adesivo/composito in fase di cementazione con lo strato ibrido prodotto dai sistemi adesivi (24). Poche frese, quindi, e molta attenzione alle fasi di ibridizzazione e cementazione di materiali che possono essere disilicati di litio o resine composite polimerizzate in laboratorio (altre ceramiche o anche zirconia vengono usate con discutibili risultati). Negli anni l’autore non ha notato particolari differenze tra le preparazioni “classiche”, con box e istmi, e le parametriche, in funzione di stabilità e durata dei restauri ma di certo una semplificazione tecnica nell’esecuzione degli overlay (fig. 26). 

Fig. 27, 28 Molare la cui pre-ricostruzione viene a far parte del moncone finale della protesi.

Una menzione va fatta anche a riguardo delle ricostruzioni pre-endodontiche. Queste sono generalmente eseguite per avere quattro pareti a serbatoio per gli irriganti e punti di repere per gli strumenti. La fase ricostruttiva dovrebbe iniziare a questo punto, precocemente. L’esecuzione di tutti gli step di eliminazione della carie, rifinitura dei margini e procedure di adesione farà sì che la ricostruzione pre-endodontica potrà poi divenire parte integrante del restauro finale del dente trattato endodonticamente (figg. 26-27). Allo stato attuale, quindi, con l’applicazione delle tecniche adesive si possono realizzare nella maggioranza dei casi endodontici, delle ricostruzioni indirette estetiche e durature. Queste tecniche, di comprovata efficacia, risultano facilmente applicabili anche da operatori meno esperti anche con materiali compositi. Sempre nel rispetto degli step clinici (fig. 29).

Fig. 29 Onlay e overlay con tecnica adesiva eseguiti in resina composita forniscono un’ottima integrazione estetica e duratura.

Conclusioni

Da quanto esposto finora si evince la necessità dello studio del caso nel suo complesso. Si dovrà prendere in esame i tessuti duri residui, risparmiandoli fino al limite possibile, per poi valutare gli elementi attigui e copiarne, se necessario, le determinanti anatomiche. Valuteremo la funzione del paziente e le sue abitudini, correggendola poi dove necessita. Decideremo, infine, il tipo di ricostruzione più appropriata nei materiali, nelle preparazioni parziali o totali, la necessità di perni e la qualità dei substrati per le procedure adesive. Questo porterà a un’odontoiatria che, oltre ad essere semplificata nella sua esecuzione, sarà estremamente predicibile e di successo a lungo termine. Preferendo, infine, le preparazioni parziali a quelle totali (corone protesiche classiche), soddisferemo un principio ancora attualissimo dell’insegnante dell’autore (il prof. Mario Martignoni) e cioè che: “…la miglior corona è quella che non farai mai”.

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Aim of the work:

The great amount of products, together with the simplified clinical techniques, give the clinician the possibility to easily succeed in reconstruct the endodontically treated teeth. The results seem to be very predictable and aesthetically satisfying. Nevertheless, the appropriate study of the case and the anatomical/functional concern must be taken in great consideration to avoid future failures of the effort in recovering a compromised tooth. Aim of the present article is to give rational suggestions to the clinician in order to achieve an enduring success. By focusing on basic but fundamental principles during the decision-making phase, the expectation of a long last result can be fulfilled.