La diga di gomma in implantologia: due casi clinici

Fig. 27 Inserimento impianto IRES® Shape1 Hybrid.
Scopo del lavoro: In implantologia è fondamentale garantire l’asepsi. Tuttavia, finora non è stato possibile creare un campo operatorio isolato in tale ambito. Lo scopo del lavoro è quello di descrivere una nuova metodologia in grado di soddisfare i requisiti sopra esposti grazie all’applicazione della diga con l’impiego di uncini da osso progettati e realizzati dall’autore in seguito ad una lunga fase di prototipazione. Vengono, pertanto, presentati due casi clinici affrontati con l’utilizzo della diga, strumento che consente di minimizzare il rischio di contaminazione, da parte della saliva e del sangue, degli impianti durante il loro inserimento.
Materiale e metodi: Un campo operatorio (CO) in implantologia prevede l’utilizzo di un uncino costruito allo scopo di ottenere un ottimo grip sulla corticale ossea nella tecnica con lembo, mentre con la tecnica flapless l’uncino può stabilizzarsi penetrando solo la gengiva aderente e fibromucosa quando è ispessita, oppure penetrare la gengiva libera e ancorarsi all’osso sottostante quando questa è sottile. Pertanto, sono stati progettati e realizzati tre prototipi di uncino da osso per arrivare allo strumento definitivo, oggetto della seguente relazione, la cui applicazione viene descritta  e illustrata attraverso due casi clinici di chirurgia implantare. Per creare un campo operatorio in implantologia sono previste tutte le fasi chirurgiche conosciute e la tecnica che verrà descritta sarà applicata sull’osteotomia prima di inserire l’impianto.
Risultati: In odontoiatria la diga risulta il sistema più raccomandabile negli ambiti di lavoro dove è richiesta sicurezza, asepsi e predicibilità di successo. In implantologia l’ausilio della diga può essere adottato ai fini di riabilitazioni implantoprotesiche sia nei casi di mono edentulie sia nei casi di edentulie totali. Come in odontoiatria la scelta dell’uncino è fondamentale per ottenere un ottimale isolamento, anche in implantologia la realizzazione di uncini specifici, tali da consentire un grip adeguato sulla corticale ossea è il principale requisito al raggiungimento di un efficace isolamento dell’osteotomia.

L’allestimento di un campo operatorio (CO) in chirurgia è una fase preventiva fondamentale di ogni intervento da effettuare e delimita le formazioni anatomiche che costituiscono l’oggetto dell’intervento chirurgico.
Funzione primaria del CO in chirurgia è quella di garantire l’asepsi, termine che indica una serie di procedure atte a prevenire l’accesso ai microrganismi, patogeni e non, nei tessuti o sui biomateriali sterilizzati artificialmente.
La diga di gomma rappresenta un sistema che consente la creazione di un CO isolato ed ha raggiunto la standardizzazione in ambiti odontoiatrici soprattutto in endodonzia (1) e in conservativa, poiché consente di soddisfare le esigenze lavorative dei professionisti e dei pazienti quali:

  • garantire sicurezza sul lavoro, in linea con le raccomandazioni ministeriali (2): limita la probabilità di contagio tra operatore e pazienti portatori di patologie trasmissibili e riduce la probabile contaminazione dell’ambiente di lavoro;
  • impedire l’inalazione o l’ingestione di corpi estranei (3, 4) e sostanze liquide (5) di lavaggio canalare (ipoclorito, EDTA eccetera) impiegate di routine in specifici ambiti. Tale fenomeno può verificarsi in condizioni di scarsa sicurezza di lavoro: in conservativa il paziente può ingerire l’amalgama durante la rimozione di un vecchio restauro o durante le fasi di compattazione e modellazione di una nuova ricostruzione;
  • assicurare una totale asepsi, in quanto isola il dente da trattare impedendo la contaminazione dei tessuti da parte di saliva o di sangue che predisporrebbero al fallimento parziale o totale dell’intervento (6).

Tra i vantaggi legati all’utilizzo sistematico della diga per migliorare la qualità, l’efficacia e la velocità di lavoro si aggiunge che:

  • economizza i tempi di lavoro: vengono eliminate alcune “tradizionali” procedure di lavoro, come la sostituzione dei rulli di cotone,
  • impedisce al paziente di distrarsi cercando ripetutamente di chiudere la bocca o risciacquarsi;
  • consente di divaricare i tessuti creando uno spazio di lavoro più ampio: la lingua è più rilassata e le guance più divaricate. Allo stesso tempo, protegge i tessuti da traumi dovuti alle frese rotanti;
  • migliora il campo visivo, la concentrazione e il contrasto visivo;
  • rilassa l’operatore, l’assistente e il paziente;
  • in endodonzia l’uso della diga è diventato quello che si definisce lo standard of care (1): permette all’operatore di maneggiare gli strumenti con maggiore sensibilità;
  • non interferisce con l’esecuzione di radiografie endorali: se adeguatamente montata la diga non ostacola l’esecuzione delle radiografie ed è possibile utilizzare i centratori con facilità (7); nei casi più complessi è possibile smontare il telaio, raccogliere la gomma, fissarla con una clip ed eseguire la radiografia o utilizzare un telaio con cerniera verticale come il Hager & Werken;
  • in endodonzia il localizzatore apicale è uno strumento essenziale: per avere la massima efficienza, quando lo si utilizza la camera pulpare deve essere asciutta e i canali radicolari umidi (7);
  • è indicato il suo utilizzo in pazienti con malattie neuromuscolari come la disfagia (8) e affetti da Morbo di Crohn (9);
  • la diga è uno strumento di lavoro semplice da usare ed economico e può essere utilizzato su uno o più denti da trattare.

Come in ogni procedimento chirurgico anche in implantologia è assolutamente necessario, per un perfetto isolamento del campo operatorio, disporre di metodi pratici e veloci nell’allestimento, tali da impedire la contaminazione chirurgica.
Pertanto, lo scopo di tale lavoro è quello di dimostrare ed illustrare in che modo è possibile creare un CO isolato anche in implantologia, ambito nel quale era finora impossibile, mediante la diga di gomma e l’utilizzo di uncini specifici, non disponibili in commercio ma creati ad arte.
La tecnica di lavoro che si intende illustrare propone un metodo rapido e di sicuro utilizzo che consente l’isolamento dell’osteotomia con l’eliminazione del rischio di contaminazione degli impianti durante la fase di inserimento.
A tale scopo, vengono descritti due casi clinici di chirurgia implantare (con lembo il primo e senza lembo, o flapless, il secondo) affrontati con il metodo di applicazione della diga di gomma utilizzando uncini da osso.

MATERIALI E METODI

La diga di gomma: un sistema

La Diga (Dental Dam o Rubber Dam) costituisce un sistema caratterizzato da diversi elementi che, interconnessi e interdipendenti tra loro, si comportano come un tutt’uno.
Il sistema adottato in implantologia, per la creazione di un CO totalmente asettico, è costituito da: uncino da osso, foglio di gomma 15 cm x 15 cm lavata e sterilizzata in busta a 121 °C, pinza foradiga, pinza portauncini e un telaio tendidiga grande.

Fig. 1 Disegno in vista assonometrica dell’uncino da osso (Tecnologia Patent Pending): 1 uncino da osso 2 archi 3 spessore della branca 4 branca 5 denti.
Fig. 1
Disegno in vista assonometrica dell’uncino da osso (Tecnologia Patent Pending):
1 uncino da osso
2 archi
3 spessore della branca
4 branca
5 denti.

L’uncino da osso (fig. 1) rappresenta l’invenzione (Tecnologia Patent Pending) ed è costruito totalmente in acciaio inox. È costituito da due archi, due branche (o ganasce) contrapposte dotate da mezzi di vincolo (fori o asole) e due o più denti per branca.
Gli archi divergenti sono in acciaio armonico e saldati alle branche; possono essere più o meno grandi e la loro funzione è quella di determinare l’ancoraggio dell’uncino all’osso per mezzo delle sue proprietà elastiche (effetto “molla”).
I fori (o asole) praticati alle branche fungono da presa per la pinza portauncino.
I denti acuminati, speculari e saldati mesialmente alle basi delle branche, hanno la funzione di garantire un buon grip sulla corticale ossea senza determinarne lesioni. Nella specifica tecnica flapless i denti (in tale caso più lunghi) penetrano la mucosa stabilizzando in maniera ottimale l’uncino.
Le branche hanno altezza e larghezza variabile (da 4 mm in su) affinché l’uncino possa adattarsi alla specifica area edentula nel rispetto delle distanze mesio-distali, anch’esse variabili.
Per creare il CO asettico in implantologia si eseguono dapprima tutte le fasi diagnostiche e chirurgiche comunemente utilizzate: selezione clinica e radiologica del paziente, consenso informato, profilassi antibiotica, preparazione, disinfezione intraorale con clorexidina (CLX), anestesia locale, disegno del lembo e osteotomia con frese, seguendo il protocollo predisposto dalle case produttrici di impianti, e la videoradiografia (RVG) durante le fasi operatorie.
Prima di utilizzare l’ultima fresa sequenziale si sceglie e si prova l’uncino necessario: lo si arma con la pinza portauncini e lo si fa scivolare tra le corticali e i lembi mucoperiostei divaricati con lo scollaperiostio.
L’operatore deve verificare che la distanza mesio-distale dell’area edentula corrisponda alla larghezza della branca dell’uncino stesso, che il centro delle branche coincida con il centro dell’osteotomia e che i denti abbiano un buon grip sulla corticale.
In seguito, l’uncino verrà stabilizzato e con l’aiuto dell’assistente si potrà procedere con l’installazione della diga: allargando il foro del foglio di gomma lo si fa scivolare prima sull’arco distale e, mentre l’assistente blocca l’arco per evitare un movimento basculante, si tende ancora il foglio e, allargando il foro, lo si fa scorrere attorno all’arco mesiale.
Si monta il telaio alla gomma che viene fatta scivolare tra lembo e branca servendosi di una spatola Heidemann o, ancora meglio, di un piccolo scollaperiostio angolato smusso (fig. 2, elemento numero 1) o angolato a raspa (fig. 3).

Fig. 2 1 scollaperiostio smusso; 2 scollaperiostio tagliente a sinistra; 3 scollaperiostio tagliente a destra; 4 scollaperiostio tagliente. Fig. 3 Scollaperiostio a raspa.
Fig. 2 1 scollaperiostio smusso; 2 scollaperiostio tagliente a sinistra; 3 scollaperiostio tagliente a destra; 4 scollaperiostio tagliente.
Fig. 3 Scollaperiostio a raspa.

I due lembi mucoperiostei funzionano da prima barriera all’asepsi e la tenuta della gomma completa l’isolamento (fig. 4).
Se il sigillo è ottenuto correttamente, il sistema non farà passare né sangue, né saliva sul CO.

Fig. 4 La diga sigilla il CO.
Fig. 4 La diga sigilla il CO.

Primo caso clinico
Chirurgia implantare senza lembo (flapless) con CO

Il caso clinico prevede l’inserimento di un impianto singolo in posizione 2.5 con un approccio chirurgico mininvasivo.
Con la tecnica flapless si riducono i tempi operatori, si accelera la guarigione postoperatoria (10) e il sanguinamento e l’edema sono pressoché inesistenti. Inoltre, con tale tecnica si evitano suture e rimozione delle stesse migliorando il comfort per il paziente e viene ridotto il numero delle sedute.
Il paziente è un uomo di 44 anni di razza caucasica, all’anamnesi non presenta patologie correlabili all’insuccesso della riabilitazione implantoprotesica, non fumatore, con buona igiene orale. L’esame iniziale rivela che l’ampiezza del tessuto cheratinizzato (fig. 5) sull’area edentula è ottimale (distanza mesio-distale 6,5 mm),

Fig. 5 Stato morfologico delle mucose.
Fig. 5 Stato morfologico delle mucose.

presupposto clinico idoneo al mantenimento della fixture nel lungo periodo (11), la radiologia mostra un altezza ossea adeguata (fig. 6) e una cresta di 6 mm di spessore.

Fig. 6 RVG: misurazione altezza ossea.
Fig. 6 RVG: misurazione altezza ossea.

Intervento
In anestesia locale con articaina al 4% e adrenalina 1:200.000 plessica vestibolo-palatina si pratica un foro con una sonda, che sarà il punto della futura emergenza dell’impianto sul tessuto cheratinizzato e con un mucotomo diametro 4,5 mm si incide a tutto spessore (fig. 7).

Fig. 7 Mucotomia.
Fig. 7 Mucotomia.

Il mucotomo deve avere un diametro superiore rispetto a quello dell’impianto da utilizzare. In questo caso un mucotomo da 4,5 soddisfa l’utilizzo di impianti da 3,7 o 4,1 mm di diametro. Con l’ausilio di un micro scollaperiostio (fig. 2, elementi 2, 3, 4), si rimuove il tassello gengivale misurandone lo spessore per potere scegliere la vite di guarigione ottimale. Ci si assicura di avere rimosso ogni frustolo di tessuto periostale (fig. 7), curettando la superficie ossea e tutta la circonferenza della mucotomia, e si delimita con una fresa lanceolata il centro della circonferenza. Si esegue quindi un’osteotomia con fresa provvista di stop di 2,3 mm di diametro e prolunga per una lunghezza di lavoro di 12 mm (fig. 8).

Fig. 8 Fresa 2,3 mm.
Fig. 8 Fresa 2,3 mm.

Si esegue una RVG di controllo mantenendo la fresa in situ, che funge da indicatore di direzione e di profondità, e si procede alesando con una fresa di 2,8 mm di diametro, sempre con stop (fig. 9).

Fig. 9 RVG di controllo.
Fig. 9 RVG di controllo.

Prova dell’uncino
Poiché la distanza mesio-distale precedentemente misurata è di 6,5 mm, si sceglie un uncino con una branca di 5 mm di larghezza. Con la pinza si arma l’uncino e, allargando le branche, si applica lo stesso con i denti che penetrano la mucosa vestibolare e la fibromucosa palatina con la sola attenzione di fare cadere l’osteotomia al centro delle branche divaricate. La forza elastica del doppio arco deve esercitare un buon grip sui tessuti. Se la stabilità dell’uncino dovesse essere insufficiente è possibile avvicinare le branche stringendole con pollice e indice, permettendo ai denti di ancorare al meglio l’uncino (fig. 10).

Fig. 10 Prova dell’uncino.
Fig. 10 Prova dell’uncino.

Montaggio della diga
Con pinza foradiga e piattello a foro grande, si crea un foro centrale alla gomma e con la tecnica “prima l’uncino poi la diga”, si tende la gomma e, allargando il foro, lo si fa scivolare sull’arco distale; mentre l’assistente tiene bloccato lo stesso arco, si tira la gomma e la si fa scivolare attorno all’arco mesiale. In seguito, si fissa il telaio alla gomma e si rincalza quest’ultima, con una spatola Heidemann o con lo scollaperiostio angolato a raspa (fig. 3) attorno alle branche facendo attenzione a bloccare la diga stessa fra branca e mucosa (fig. 11).

Fig. 11 Completamento del CO.
Fig. 11 Completamento del CO.

Questa manovra, se bene eseguita, garantisce la tenuta, un campo operatorio asettico ed una buona visibilità.

Inserimento impianto
Una volta isolato il CO si effettua un lavaggio con soluzione fisiologica del sito completando l’osteotomia con fresa di 3,4 mm di diametro alesando solo la corticale per utilizzare, come in questo caso, un impianto IRES Modello Shape1b (s1b) di 3,7 mm di diametro e 11,5 mm di lunghezza a tripla spira. Con un connettore montato sul cricchetto si avvita l’impianto nell’osteotomia avendo cura di superare il bordo gengivale per lo spessore precedentemente stabilito con la mucotomia (fig. 12).

Fig. 12 Inserimento impianto IRES Modello Shape1b (s1b).
Fig. 12 Inserimento impianto IRES Modello Shape1b (s1b).

Rimozione del CO
Con la pinza si rimuove l’uncino e tutto il sistema in pochi secondi e si esegue subito una RVG per assicurarsi che la piattaforma implantare sia a livello della cresta alveolare (fig. 13). Se la piattaforma dovesse risultare ad un livello superiore della cresta è necessario inserire più in profondità l’impianto per mezzo del cricchetto eseguendo, successivamente, una nuova RVG di controllo.
In questo caso, anziché avvitare la vite di guarigione è stato fresato, provato, rifinito e lucidato un moncone dritto, la cui vite di fissaggio è stata stretta a 30 Ncm (figg. 14 e 15). Infine, una corona in resina è stata ribasata e cementata provvisoriamente al moncone, è stata controllata l’articolazione con i denti antagonisti, scaricandola in maniera ottimale pur mantenendo la funzione estetica e masticatoria dell’elemento.

Fig. 13 RVG di controllo.
Fig. 13 RVG di controllo.
Fig. 14 Prova moncone.
Fig. 14 Prova moncone.
Fig. 15 Moncone rifinito.
Fig. 15 Moncone rifinito.

Secondo caso clinico
Chirurgia implantare con lembo e rialzo del seno con approccio crestale con CO

L’edentulia del mascellare superiore può, talvolta, presentare delle difficoltà per la riabilitazione implantoprotesica. In alcuni casi è possibile riscontrare una progressiva pneumatizzazione del seno mascellare o un riassorbimento dell’osso alveolare in seguito ad estrazioni o malattia parodontale (12), fattori che portano ad una riduzione della cresta orizzontale e a difetti verticali.
Nel 1984 Summers propone, per la prima volta, una tecnica di rialzo del pavimento del seno mascellare con approccio crestale (od ortograda) utilizzando osteotomi (13).

Il caso clinico si riferisce ad una donna di razza caucasica di 47 anni che presenta da anni edentulia del 1.6 e il desiderio di riabilitare l’arcata dentaria con una corona implanto-supportata. La paziente all’anamnesi non presenta patologie correlabili all’insuccesso implantare, non fumatrice e una corretta igiene orale.
L’esame clinico rileva un’ottima ampiezza della mucosa cheratinizzata (fig. 16)

Fig. 16 Stato morfologico dei tessuti.
Fig. 16 Stato morfologico dei tessuti.

sull’area edentula (presupposto clinico per il mantenimento del lavoro implantare nel lungo periodo) (11) e dai modelli studio uno spazio interdentale di 5,1 mm. La radiologia evidenzia una distanza mesio-distale di 8,1 mm, un’altezza ossea di 6 mm e una cresta di 5,5 mm di spessore. Il pavimento del seno presenta un setto arcuato e concavo distalmente che delinea una loggia sovrastante il 1.7 che fungerà da parete posteriore per il rialzo. La cresta ossea è a 2,8 mm dalla CEJ, o giunzione amelocementizia (fig. 17), che fa rientrare questo rialzo in classe B (14). Come nel caso precedente la preparazione del paziente e l’anestesia sono seguiti dalla fase chirurgica.

Fig. 17 Riferimenti metrici.
Fig. 17 Riferimenti metrici.

Intervento

Fig. 18 Incisione in cresta e sulculare.
Fig. 18 Incisione in cresta e sulculare.

Dopo avere eseguito un’incisione a spessore totale in cresta e sulculare (fig. 18) sui 1.5 e 1.7, si scollano i due lembi mucoperiostei distendendoli senza provocare lacerazioni sul parodonto marginale (fig. 19).

Fig. 19 Scollamento.
Fig. 19 Scollamento.

Tenendo conto dell’anatomia del mascellare e dei rapporti intermascellari, oltre che alla prevista configurazione protesica, si inizia la preparazione dell’osteotomia con una fresa guida a rosetta, o una lanceolata con gambo lungo, per 5 mm di profondità (RVG di controllo). L’osso basale o residuo di 6 mm ci consente di utilizzare frese da 2,3 mm (fig. 20) e 2,8 mm con stop (fig. 21), praticando l’osteotomia (fig. 22) e mantenendo in situ le frese stesse; per verificare inclinazione/parallelismo e profondità si eseguono controlli radiologici (fig. 21) per essere sicuri di essere in prossimità del pavimento sinusale.

Fig. 20 Fresa 2,3 mm.
Fig. 20 Fresa 2,3 mm.
Fig. 21 RVG di controllo: fresa da 2,8 mm con stop.
Fig. 21 RVG di controllo: fresa da 2,8 mm con stop.
Fig. 22 Osteotomia.
Fig. 22 Osteotomia.

Prova dell’uncino
La distanza mesio-distale, precedentemente misurata, è di 8,1 mm e si arma un uncino con una branca di 6 mm di larghezza. Divaricando i lembi, si fanno scivolare le 2 branche tra osso e lembi cercando di ottenere un buon ancoraggio. Se la stabilità dell’uncino dovesse essere insufficiente, si avvicinano le branche stringendole con il pollice e l’indice, così da permettere ai denti di avere un migliore grip sulle corticali.

Montaggio della diga
Come nel caso precedentemente descritto si fora la diga tenendo presente che la parte ruvida di essa dovrà essere rivolta dalla parte dell’operatore. Con la tecnica “prima l’uncino poi la diga” si tende la gomma e la si fa scivolare attraverso il foro, prima attorno all’arco distale poi su quello mesiale. Fissato l’archetto si rincalza la gomma tra branca e lembo fin sotto le basi delle branche (fig. 4) con lo scollaperiostio angolato a bordi smussi, con intagli sul lato di lavoro che agiscono da raspa (fig. 3). Se il procedimento è eseguito con precisione la gomma garantirà un CO asettico, nello specifico, i lembi mucoperiostei, accollati alla gomma, fungono da prima barriera alla saliva o al sanguinamento limitrofo (fig. 23). Infine, i lembi vengono liberati dalla trazione esercitata dagli scollaperiostio.

Fig. 23 Campo Operatorio.
Fig. 23 Campo Operatorio.

Rialzo del seno e inserimento impianto

Fig. 24 Osteotomo.
Fig. 24 Osteotomo.

Dopo aver lavato l’osteotomia (alesata a 2,8 mm di diametro) e il CO con soluzione fisiologica, con un osteotomo cilindrico da 3 mm di diametro (fig. 24) si frattura il pavimento del seno con sollevamento dell’osso e membrana schneideriana. La manualità dell’operatore, che ha il compito di percuotere il martello sull’osteotomo, è fondamentale.
Si procede ad inserire nell’osteotomia il sostituto d’osso in particolato (fig. 25)

Fig. 25 Riempimento con sostituto d’osso in particolato.
Fig. 25 Riempimento con sostituto d’osso in particolato.

che viene sospinto delicatamente da un compattatore da 2,5 mm di diametro, prima corto poi lungo, che fa percepire una leggera resistenza data dalla tensione della membrana (fig. 26).

Fig. 26 Sostituto d’osso in particolato nel seno.
Fig. 26 Sostituto d’osso in particolato nel seno.

Prima di inserire l’impianto si svasa la sommità dell’osteotomia con una fresa da 3,4 mm di diametro e si inserisce l’impianto IRES Shape1 Hybrid (figg. 27 e 28) 4,1/10 mm ibrido e a tripla spira. Infine, si avvita il tappo chirurgico.

Fig. 27 Inserimento impianto IRES® Shape1 Hybrid.
Fig. 27 Inserimento impianto IRES® Shape1 Hybrid.
Fig. 28 Impianto in sede.
Fig. 28 Impianto in sede.

Rimozione del CO
Con la pinza si rimuove l’uncino e tutto il sistema in pochi istanti e si esegue una RVG di controllo (fig. 29). Le immagini dimostrano l’ottimo stato trofico dei lembi (fig. 30) che vengono suturati con PTFE (fig. 31).

Fig. 29 RVG di controllo.
Fig. 29 RVG di controllo.
Fig. 30 Rimozione CO. Visione stato morfologico delle mucose.
Fig. 30 Rimozione CO. Visione stato morfologico delle mucose.
Fig. 31 Sutura in PTFE.
Fig. 31 Sutura in PTFE.

 

DISCUSSIONE

La saliva costituisce un agente che contribuisce alla contaminazione del CO e può provocare l’insuccesso di numerosi interventi per infezioni e successive complicanze anche gravi, sia in interventi maxillofacciali che odontoiatrici (15, 16). Tali considerazioni sono sempre state oggetto di attenzione da parte dei chirurghi già dai tempi della Grande Guerra: fratture, innesti e tumori ossei dei mascellari richiedevano incisioni d’accesso extraorali ed era necessario operare in modo da evitare la comunicazione tra il CO e la cavità orale. La contaminazione degli innesti da parte della saliva e conseguente infezione avrebbe richiesto la sospensione dell’intervento e la necessità di ripeterlo dopo alcune settimane (17, 18).
Sono passati poco più di 150 anni quando il 15 marzo del 1864 il Dott. Sanford Christie Barnum (1838-1883) di New York (19) propose per la prima volta di utilizzare un pezzo ti tovagliolo protettivo del paziente, precedentemente bucato, rincalzandolo attorno ad un molare inferiore sinistro da curare.
Nei decenni successivi le industrie realizzarono strumenti sulla scia del suo intuito finalizzati al perfezionamento delle tecniche di isolamento dentale.
In implantologia un isolamento del CO è giustificato poiché, anche in questa disciplina, la saliva può avere un ruolo causale nell’insuccesso implantare.
Tale necessità ha portato ad una fase di sperimentazione, durante la quale si è scelto di utilizzare due uncini di fabbrica, il W8A e il 27N che, se pure modificati sulla lama di chiusura e sui denti ritentivi, hanno trovato impiego solo sulle zone diatoriche. Tali uncini, provvisti di un solo arco, si sono dimostrati poco stabili e poco ritentivi sulla corticale ossea. È stato anche utilizzato l’uncino numero 6, dopo avere eliminato le alette mesiali e affilati i bordi di chiusura delle branche, ma non si è dimostrato adeguatamente ritentivo sulle corticali.
Pertanto, sono stati disegnati e realizzati una serie di uncini da osso, diversi tra loro per caratteristiche e dimensioni, tali da garantire ottima manipolazione e stabilità.
Gli uncini sopra descritti possono essere considerati come un’evoluzione degli uncini da anteriori (o cervicali) in quanto sfruttano il doppio arco che assicura un’ottima stabilità; inoltre, i denti sottili e acuminati che li caratterizzano sono in grado di creare un grip ottimale senza arrecare alcun danno all’osso o alle mucose.

CONCLUSIONE

La cavità orale costituisce un ambiente difficilmente disinfettabile ed espone il CO (superficie implantare e osteotomia) ad un alto rischio di contaminazione.
Il lavoro presentato illustra una nuova metodica di chirurgia implantare che, con l’ausilio della diga insieme agli uncini da osso, consente di isolare il CO allo scopo di ridurre i rischi di insuccesso degli interventi. Tale metodo, che richiede manualità e una specifica preparazione dell’operatore, si è dimostrato efficace in tutti gli interventi eseguiti e ha raggiunto il grado di successo desiderato in termini di qualità, sicurezza e complicanze postoperatorie.
La diga in implantologia rappresenta un sistema versatile il cui impiego permetterà di migliorare alcune tecniche chirurgiche; le metodologie di ritrattamento di impianti parzialmente compromessi, gli interventi di rigenerazione ossea guidata (GBR) e la riabilitazione implantoprotesica su pazienti trattati con bifosfonati orali sono i casi che richiedono una maggiore attenzione e un CO particolarmente asettico.
Il sistema qui descritto potrà soddisfare tali esigenze e migliorare, di conseguenza, la qualità degli interventi di chirurgia implantare. ●

 

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To cite: Doctor Os • novembre-dicembre 2016 • XXVII 09
Autore: Vittorio Gilmozzi
Istituzione: Libero professionista