Nuove prospettive nella terapia chirurgica delle lesioni precancerose e del carcinoma iniziale delle mucose orali: ruolo del laser e delle nuove tecnologie

Fig. 1 Normale autofluorescenza dei tessuti orali: la mucosa linguale sana appare di un verde brillante.

INTRODUZIONE

Il carcinoma squamocellulare del cavo orale (OSCC) occupa il sesto/ottavo posto per frequenza mondiale dei tumori maligni, rappresentandone il 2-4%, con un’incidenza di oltre 300.000 nuovi casi ogni anno (1).

Il termine “lesione precancerosa”, come quello di “condizione precancerosa”, impiegati per lungo tempo in letteratura internazionale, sono stati superati dalla definizione “disordini orali potenzialmente maligni” (OPMD) per sottolineare che non necessariamente per nessuna delle patologie considerate il fenomeno di trasformazione, anche a lunga distanza, sia comunque inevitabile (2).

La letteratura riporta percentuali estremamente variabili: dal 10 all’80% di comparsa di carcinomi su queste lesioni (3). La leucoplachia (nelle sue varie forme), l’eritroplachia, il lichen planus orale (e le lesioni “lichenoidi”) sono le patologie più comuni, ma vanno considerate anche la fibrosi sottomucosa (frequente in India e in tutto l’Oriente e Medioriente), la cheilite attinica e le alterazioni mucose correlate con patologie defedanti di natura immunitaria, infettiva o carenziale (4).

Una volta identificate le lesioni a rischio, si dovrà isolare il paziente a rischio. La presenza delle abitudini voluttuarie, alcool e fumo, ha sempre identificato la classica tipologia del paziente a rischio di carcinoma oro-faringeo. Altri fattori come i virus, i lieviti, l’inquinamento ambientale, alcune terapie farmacologiche (in particolare immunodepressori) e patologie sistemiche che possono compromettere l’integrità delle difese immunitarie, rappresentano ulteriori fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma orale (5).

Recentemente in letteratura sono state descritte sempre più frequentemente tecniche diagnostiche non invasive che aiutano ad identificare le parti del tessuto qualitativamente alterato o già francamente neoplastico, così da procedere ad un prelievo mirato sull’area più significativa e presumibilmente grave della lesione o ad estendere in margini di sicurezza l’eventuale asportazione chirurgica.

Diverse lunghezze d’onda laser ed altre nuove tecnologie possono rappresentare un vantaggio nella fase diagnostica e terapeutica di queste patologie, in particolare nella chirurgia delle mucose orali e nell’eventuale resezione delle basi esse mascellari.

ESAME OBIETTIVO

L’identificazione delle lesioni a rischio del cavo orale si fonda sull’esame clinico convenzionale (COE), cioè sulla valutazione visiva e sulla palpazione della patologia.

L’esame istologico della lesione conclude la fase diagnostica. L’interesse scientifico mondiale si è focalizzato negli ultimi dieci anni sull’impiego di sistemi non invasivi in grado di migliorare l’esame clinico nell’intercettazione di lesioni a rischio e soprattutto di conferire maggior precisione nell’identificare le aree più significative nella biopsia e nell’eventuale estensione chirurgica.

L’autofluorescenza (AF), la chemiluminescenza (CL), il blu di toluidina (TB), la chemiluminescenza associata al blu di toluidina (CLTB) sono le tecniche maggiormente diffuse e sperimentate che possono conferire un valido supporto all’esame obiettivo convenzionale. La specificità di una tecnica diagnostica rappresenta la capacità di identificare correttamente i soggetti sani.

Un’alta specificità di un esame corrisponde al basso rischio di avere falsi positivi mentre la sensibilità è la capacità di identificare correttamente i soggetti ammalati. Un esame con alta sensibilità indurrà un basso rischio di falsi negativi (6).

L’autofluorescenza (AF) rappresenta una tecnica promettente e offre ottimi risultati in merito a sensibilità e specificità sia nell’identificazione di displasie severe che di carcinomi inizialmente infiltranti (7).

Alcune sostanze endogene o esogene, dette fluorofori, quando assorbono la luce ad una lunghezza d’onda specifica ne emettono un’altra a differente lunghezza d’onda ingenerando il fenomeno della fluorescenza.

La fluorescenza può essere emessa da molecole già presenti nel tessuto da analizzare (fluorescenza endogena) o prodotta da una sostanza fotosensibilizzante immessa dall’esterno nel tessuto, ove tende selettivamente e sito specificamente ad accumularsi in varie condizioni (fluorescenza esogena). Nei tessuti orali i fluorofori più conosciuti sono rappresentati da proteine (collagene, elastina, cheratina) e co-enzimi (NADH, FAD) e dalle porfirine (8).

Le variazioni della naturale fluorescenza dei tessuti sani generalmente riflettono modifiche biochimiche o strutturali che possono indicare delle lesioni sospette. In un tessuto sano il fluoroforo attivato da una sorgente di lunghezza d’onda compresa tra i 400 e 460 nm (luce blu) è in grado di indurre una fluorescenza che risulta verde brillante (fig. 1).

Nel tessuto displastico il fluoroforo alterato non è più in grado di produrre fluorescenza e l’area appare scura (fig. 2). La perdita di fluorescenza nelle aree di mucosa interessate da processi degenerativi oncologici è dovuta a vari meccanismi tra cui alterazione dell’attività metabolica dei cheratinociti displastici, alterazioni strutturali del collagene sottoepiteliale, maggior assorbimento della luce da parte del sangue affluito per fenomeni infiammatori che spesso si accompagnano alla lesione precancerosa o tumorale (9).

Si potrà arrivare, con l’evoluzione di questa tecnologia, a stabilire con estrema precisione i valori della variazione della fluorescenza corrispondenti al grado di alterazione tissutale fino a giungere ad una vera e propria “biopsia ottica”.

Fig. 2 Lesione lichenoide: aree non visibili clinicamente appaiono ipofluorescenti.

BIOPSIA

Fig. 3 Lesione leucocheratosica.

Il primo passo nella gestione delle lesioni a rischio è l’identificazione e la rimozione degli eventuali fattori di rischio locali (traumi, materiali odontoiatrici, abitudini voluttuarie).

Se dal controllo successivo a distanza di due settimane non si verifica la regressione della lesione, si procede all’intervento bioptico per l’accertamento istologico della natura della malattia.

Nonostante vengano riportati in letteratura discrepanze tra le due fasi di diagnosi istologica, la biopsia pre-operatoria e l’esame del pezzo prelevato nel successivo intervento rappresentano l’elemento fondamentale che condiziona rispettivamente l’opzione terapeutica ed il timing del follow-up (5).

Fig. 4 In mucosa apparentemente non alterata si rivela un’area ipofluorescente limitrofa all’area iperfluorescemte, quasi bianca, relativa alla lesione ipercheratosica.

La biopsia incisionale (prelievo mirato di una parte della lesione) è indicata per le lesioni di superficie e consistenza omogenea, mentre per le forme diffuse e disomogenee è indicato un prelievo multiplo (biopsia a mappa).

La biopsia escissionale rappresenta l’asportazione in toto della lesione e deve essere riservata per lesioni piccole (inferiori ai 5 mm) dove un prelievo parziale, indipendentemente dallo strumento impiegato, sarebbe alterato dalla manipolazione chirurgica e dal procedimento di laboratorio.

In caso di lesioni clinicamente fortemente sospette si dovrà progettare di estendere l’escissione in margini di sicurezza (1 cm ai margini e in profondità) (10).

I sistemi non invasivi di ausilio diagnostico come l’autofluorescenza consentono di mirare la biopsia in aree che in certi casi non sono visibili all’esame obiettivo convenzionale (fig. 3, 4, 5, 6).

Fig. 5 Vengono effettuati due prelievi bioptici distinti nelle due aree.

L’apporto delle tecnologie innovative in chirurgia orale ha conferito notevoli vantaggi sia nella fase bioptica che nella rimozione chirurgica delle lesioni precancerose e del carcinoma orale.

Fig. 6 L’esame istologico rivela nella prima biopsia (area ipofluorescente) displasia intermedia e nella seconda (area iperfluorescente) iperplasia verrucosa.

EFFETTI DELLE NUOVE TECNOLOGIE SULL’INCISIONE
DELLE MUCOSE ORALI

Una particolare evoluzione dell’elettrochirurgia è rappresentata dagli apparecchi a risonanza quantica molecolare (RQM), che conferiscono un eccezionale rispetto dei tessuti cutanei e mucosi incisi rispetto alle apparecchiature tradizionali.

La tecnologia a RQM si basa sui principi fondamentali della fisica quantistica, secondo cui qualsiasi forma di energia viene trasmessa da una sorgente a un corpo non in maniera continua, ma in quantità discrete, i cosiddetti “quanti di energia”, per cui il valore dell’energia erogata dai quanti dipende dalla frequenza della sorgente che li ha prodotti.

Nel momento in cui i quanti di energia colpiscono il tessuto ricevente si possono verificare due diversi eventi. Se il valore dell’energia del quanto è diverso dall’energia di legame della molecola o dell’atomo colpito, si ha solo un aumento dell’energia cinetica, senza rottura del loro legame; se invece il valore dell’energia del quanto è uguale all’energia di legame, quest’ultima viene convogliata nella rottura del legame stesso, senza aumento dell’energia cinetica e quindi senza aumento della temperatura (11).

Fig. 7 Incisione regolare senza aree di carbonizzazione ottenuta con il bisturi a risonanza quantica molecolare.

Tali caratteristiche fisiche contribuiscono a rendere possibile il taglio “a freddo” tipico di questo strumento poiché l’elettrodo rimane a temperature inferiori a 50 °C .

L’incisione ottenuta con il bisturi a RQM è netta perché l’elettrodo non supera la temperatura che genera la necrosi tissutale e non lascia segni di lacerazione perché il taglio è generato dalla rottura dei legami atomici e molecolari che entrano in risonanza con una precisa frequenza (fig. 7).

Si ottiene in questo modo una riduzione del danno termico sui tessuti che si assesta sui 20 microns.

L’assenza di carbonizzazione determina un’accelerazione dei processi di guarigione, un minore dolore postoperatorio e un controllo degli esiti cicatriziali con consistenti vantaggi estetici e funzionali (12).

Fig. 8 Incisione con perfetto controllo dell’emostasi ottenuta con il laser Nd:YAG (1064 nm).

I laser a diodi (da meno di 450 a oltre 1000 nm) possono essere validamente utilizzati per interventi bioptici o per la rimozione chirurgica delle lesioni precancerose o francamente neoplastiche del cavo orale.

Queste lunghezze d’onda, come il laser Nd:YAG (1064 nm) ed il KTP (532 nm), hanno affinità per emoglobina e melanina e possiedono un’ottima capacità emostatica durante e dopo l’atto chirurgico (fig. 8) conferendo un danno termico tessuta che si estende in profondità al massimo per 500 microns (13).

Il laser CO2 (10600 nm) è stato il primo apparecchio impiegato in chirurgia orale dall’inizio degli anni ’70 e tutt’oggi trova un’indicazione principale in questo settore perché coniuga rapidità di intervento ed emostasi perfetta (14).

Fig. 9 Incisione senza danno termico e con scarso controllo dell’emostasi ottenuta con il laser Er:YAG (2940 nm).

I laser ad erbio, con lunghezza d’onda di 2790-2940 nm, posseggono un’alta affinità per acqua ed operano con grande efficienza sulle mucose orali, conferendo una modificazione minimale nell’area di incisione mucosa che non supera i 30 microns.

I laser ad erbio hanno la possibilità di determinare una “ablazione a freddo”: lavorano sui tessuti molli senza portare coagulazione né carbonizzazione e inducono un rialzo termico molto limitato rispetto agli altri strumenti (fig. 9).

La profondità di penetrazione del fascio laser risulta molto contenuta (0,1 mm), questo offre una certa sicurezza nell’impiego e permette di effettuare interventi molto precisi e minimamente invasivi (fig. 10).

L’assenza di effetti emostatici condiziona l’impiego di queste lunghezze d’onda nella aree ad elevata vascolarizzazione, anche se una modificazione dei parametri e la riduzione dell’irrigazione possono contribuire ad un delicato aumento di temperatura nel tessuto con un discreto controllo del sanguinamento (15).

Fig. 10 Incisione mucosa orale ed estensione della modificazione termica con bisturi a risonanza quantica molecolare: 20 microns (1) Laser Nd:YAG: 500 microns (2) La-ser Er:YAG: 30 microns.
Fig. 11 Carcinoma in situ e carcinoma microinvasivo.

ASPORTAZIONE CHIRURGICA

L’asportazione chirurgica di queste lesioni, tradizionalmente affidata alla lama del bisturi, può trovare innumerevoli vantaggi clinici nell’impiego dei nuovi apparecchi elettromedicali a risonanza quantica molecolare e delle diverse lunghezze d’onda laser sopracitate (16).

La letteratura consiglia di mantenersi da 1 a 3 mm in tessuto sano sia in periferia che in profondità di una lesione precedentemente biopsiata che dimostra displasia assente o lieve, mentre di estendere a 5 mm l’escissione di lesioni che istologicamente mostrano displasia medio/grave (17).

In caso di carcinoma in situ (displasia severa che interessa la totalità dello spessore epiteliale) o carcinoma micorinvasivo (che non supera di oltre 3 mm la membrana basale) (fig. 11) si dovrà procedere preliminarmente ad accertamenti diagnostici strumentali (ecografia, Tomografia assiale computerizzata, Risonanza magnetica nucleare) per escludere un coinvolgimento linfonodale locoregionale o a distanza della neoplasia.

In caso di accertata limitatezza della lesione l’escissione dovrà estendersi ad almeno 1 cm in tutte le direzioni (fig. 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20).

Bisogna comunque sottolineare che vengono ampiamente riportate in letteratura sostanziali modificazioni nucleari nell’epitelio clinicamente sano limitrofo alle lesioni. Questo spiegherebbe il rischio di recidiva (tra il 7,7 ed il 38,1%) e l’evoluzione maligna (1.2%) tra il primo ed il terzo anno dall’escissione chirurgica indipendentemente dallo strumento utilizzato (18).

Risulta comunque determinante identificare quella strategia operativa che possa offrire le maggiori agevolazioni sia per l’operatore che per il paziente.

I mezzi diagnostici non invasivi, precedentemente citati, possono aiutare l’operatore nella scelta dell’estensione chirurgica anche in zone clinicamente non visibili e le nuove tecnologie consentono di affrontare l’intervento con più rapidità e di estendere rapidamente l’escissione contenendo il sanguinamento, conferendo un periodo post operatorio più confortevole (19).

Fig. 12 Paziente di 89 anni non esposta ai fattori di rischio “classici” (fumo e alcool). Le-sione lichenoide sul dorso linguale con area di perdita della fluorescenza.

Negli interventi chirurgici sulle mucose orali, applicando il fascio laser in maniera progressiva e defecoalizzata, si può ottenere un’analgesia di superficie ed evitare l’anestesia per infiltrazione. È riportato in letteratura che per la maggioranza dei pazienti trattati con laser a diodi non è necessario procedere ad anestesia plessica rispetto al 90% dei gruppi controllo.

Fig. 13 Risultato della biopsia mirata incisionale: carcinoma microinvasivo.

Un altro vantaggio dell’impiego del laser rispetto alle tecniche chirurgiche tradizionali è rappresentato, oltre che dall’emostasi, dal processo più rapido di guarigione con marcata riduzione dell’infiammazione e del dolore post operatorio (20).

L’assunzione di antidolorifici/antinfiammatori non steroidei risulta sensibilmente ridotta nei soggetti che hanno subìto intervento chirurgici effettuati con il Nd:YAG laser rispetto alla chirurgia tradizionale (fig. 21, 22, 23).

Così come dalla valutazione dei questionari somministrati a un largo numero di pazienti e analizzando le scale analogico-visive e numeriche risulta ridotto il dolore post operatorio e migliore la qualità di vita del periodo successivo all’intervento (21).

La fotobiomodulazione laser, nota anche come low-level laser therapy (LLLT) o biostimolazione laser, riconosciuta per il suo diffuso utilizzo in medicina, è un trattamento medico che consiste nella irradiazione dei tessuti mediante un dispositivo laser a bassa potenza.

La luce, nella fotobiomodulazione, è compresa nella regione del rosso o vicino infrarosso con una lunghezza d’onda solitamente tra 600 e 1000 nm e il laser ha una densità di potenza (power density) compresa tra 5 mW/cm^2 e 5 W/cm^2 (22). La modalità di irradiazione può essere continua o pulsata con una densità energetica (fluence o energy density) relativamente bassa (0.04 a 50 J/cm^2).

I laser più utilizzati nella fotobiomodulazione per favorire la guarigione delle ferite e la rigenerazione tissutale sono il laser helio-neon (He-Ne 632,8 nm) e i laser a diodi tra i quali sono compresi i laser arseniuro di gallio e allumino (Ga-Al-As 805 o 650 nm), arseniuro di gallio (As-Ga 904 nm) e indio-gallio-alluminio-fosfato (In-Ga-Al-P 670, 685 e 904 nm). Altri tipi di laser impiegati per la LLLT comprendono laser a rubino (694 nm), argon (Ar 488 e 514 nm) e Krypton (521, 530, 568 e 647 nm) (23).

L’uso della fotobiomodulazione laser post operatoria è ampiamente riportata in letteratura per il forte impatto nella riparazione tessutale e sulla qualità di vita del paziente.

La sua azione è attiva localmente sulla microcircolazione e sul metabolismo cellulare con effetti antinfiammatori e rigenerativi (24). Una recente metanalisi della letteratura conferma come la biostimolazione effettuata con un laser rosso o infrarosso nel periodo post-operatorio di ferite chirurgiche (di prima o seconda intenzione) induce processi riparativi più rapidi e di migliore qualità (25).

Fig. 14 Risonanza magnetica preoperatoria negativa per invasione linfonodale.
Fig. 15-16 Intervento chirurgico effettuato con bisturi a risonanza quantica molecolare. Incisione a 1 cm di distanza dai margini indicati dall’area di ipofluorescenza e in profondità.
Fig. 17-18 Intervento chirurgico effettuato con bisturi a risonanza quantica molecolare. Incisione a 1 cm di distanza dai margini indicati dall’area di ipofluorescenza e in profondità.
Fig. 19 Condizione postoperatoria.

FOLLOW UP

Tutte le considerazioni sopra esposte, in conclusione, impongono un corretto e scrupoloso controllo dei disordini potenzialmente maligni del cavo orale per identificare e così gestire precocemente l’eventuale trasformazione maligna.

Si passerà da una volta all’anno per le forme localizzate, omogenee e senza displasia, a controlli strettissimi (ogni uno/due mesi) per le forme diffuse non responsive alla terapia e frequentemente recidivate, nonché per quei pazienti che hanno già sviluppato un carcinoma su queste precedenti lesioni.

Qualunque sia l’approccio terapeutico scelto, sono imperativi la completa eliminazione di fumo ed alcool ed il follow-up periodico che si estenderà dai 5 anni a tutto il corso della vita per le lesioni idiopatiche e francamente neoplastiche.

Ancora una volta l’impiego degli apparecchi ad autoflorescenza può conferire un valido aiuto nell’isolamento di aree a rischio durante il controllo periodico delle mucose orali di questi pazienti, consentendo un percorso diagnostico repentino e una gestione tempestiva di eventuali aree di iniziale cancerizzazione (26).

Fig. 20 Follow up a 6 mesi: ottimo ripristino funzionale ed estetico del dorso e margine linguale e ripresa della normale fluorescenza tissutale.
Fig. 21-22 Asportazione di leucoplachia del ventre linguale che alla biopsia era risultata displasia intermedia mediante laser Nd:YAG. Estensione a 5 mm ai margini, ottima emostasi.
Fig. 23 Follow up a 7 giorni che mostra la ferita chirurgica in buona fase di riparazione per seconda intenzione in assenza di infiammazione e a 6 mesi con completa riepitelizzazione senza ripresa di malattia.
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