Prima della pausa estiva, il “Decreto Bollette” (D.L. 34/2023) in sede di conversione in legge ha apportato con l’articolo 15 ter una importantissima modifica alla legge 409 del 24 luglio 1985, normativa (ormai datata) che aveva istituito la professione sanitaria di odontoiatra.
Nello specifico, è stata prevista la possibilità di esercitare attività di medicina estetica non invasiva o mininvasiva al terzo superiore, terzo medio e terzo inferiore del viso. Con un iter avviato ormai più di dieci anni orsono, si sono quindi ridefiniti gli spazi e le modalità di esercizio della medicina estetica eliminando quelle limitazioni che, fino alla conversione in legge del decreto, limitavano l’attività dell’odontoiatra in ambito estetico al terzo inferiore e, più nello specifico, alla zona periorale. La nuova formulazione dell’articolo 2 della legge 409/1985 risulta quindi essere la seguente: “Formano un oggetto della professione di odontoiatra le attività inerenti alla diagnosi e alla terapia delle malattie e anomalie congenite e acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione e alle riabilitazioni odontoiatriche punto gli odontoiatri possono prescrivere tutti i medicamenti necessari all’esercizio della loro professione e possono esercitare l’attività di medicina estetica non invasiva o meno invasiva al terzo superiore, terzo medio e terzo inferiore del viso.”
Questo ampliamento delle attività erogabili negli studi dentistici ha destato grande scalpore, contrapponendo le società scientifiche dei medici estetici, dei dermatologi e dei chirurghi plastici con le associazioni sindacali odontoiatriche (principalmente AIO e ANDI) supportate dalla CAO nazionale. Se da un lato il mondo dell’odontoiatria plaude a questa estensione di operatività, sostenendo ragionevole e corretto l’ampliamento delle aree di attività in materia di medicina estetica per gli odontoiatri, i quali potranno quindi completare le prestazioni di odontoiatria estetica intervenendo anche sulle altre parti del volto, molto forte è stata invece la reazione contraria soprattutto dei medici estetici. In particolare, il Collegio delle società scientifiche di medicina estetica ha sollevato forti dubbi sulle competenze degli odontoiatri, non solo sugli aspetti anatomici del volto considerato nella sua interezza come un unicum anatomo-funzionale ma anche sulla conoscenza delle possibili conseguenze negative dei prodotti utilizzabili e dei trattamenti estetici potenzialmente erogabili nello studio odontoiatrico. Al di là delle differenti posizioni delle singole associazioni di categoria, per coloro che volessero erogare anche le prestazioni di medicina estetica nella propria struttura (sia esso studio professionale o società) è opportuno segnalare che al momento la formulazione normativa desta qualche perplessità. Dovrebbe essere in primo luogo meglio definito che cosa si intende per “medicina estetica non invasiva o mininvasiva”. Questo aspetto potrebbe avere una certa rilevanza in vari ambiti, da quello autorizzativo (in particolar modo per coloro che esercitano attraverso veicoli societari dotati di autorizzazione sanitaria, tra cui la S.r.l. o la STP a responsabilità limitata) a quello assicurativo sino a tematiche di responsabilità medico-legale in sede contenziosa con il paziente. Inoltre, stante la neonata estensione normativa, non è ancora stata prevista l’obbligatorietà di percorsi formativi ad hoc con limiti e vincoli per chi non li sostiene. Su questo tema alcuni ordini territoriali (come, ad esempio, l’ordine di Roma) si sono già mossi, prevedendo dei registri specifici per coloro che praticano la medicina estetica il cui accesso può avvenire solo se si soddisfano altrettanto specifici requisiti formativi. Vi sono poi aspetti da valutare che interessano gli obblighi informativi da fornire al paziente, soprattutto in un ambito in cui l’oggetto del trattamento non è esclusivamente la cura di una malattia o di una disfunzione bensì, spesso, nasca da una volontà di miglioramento estetico del volto, evidentemente non privo di soggettività nel giudizio finale. I rischi quindi di contenzioso (oltre che di deludere le aspettative del paziente con annesso danno reputazionale) sono potenzialmente più elevati rispetto alle cure odontoiatriche e, al momento, vi sono pochissime polizze che assicurino gli odontoiatri in tema di responsabilità civile per i danni estetici arrecati nel terzo medio e nel terzo superiore del viso. Spesso estendono la copertura al terzo inferiore, peraltro raramente nella sua interezza ma solo nella zona periorale, ed altrettanto soventemente non tutelano l’odontoiatra per danni causati da farmaci off-label (utilizzati in sfere differenti da quelle per cui sono autorizzati). Sebbene, quindi, la possibilità offerta dal legislatore agli odontoiatri in termini di ampliamento delle possibili attività da fornire ai pazienti possa essere letta positivamente, come si può comprendere i profili di attenzione e i dubbi sono molteplici. Ovviamente anche il fisco fa la sua parte nel complicare le cose! Entrando quindi nella sfera di nostra competenza, cercheremo di rispondere alla classica domanda: “Sulle prestazioni di medicina estetica devo applicare l’IVA oppure è una prestazione esente?”, andando a delineare il trattamento IVA da riservare alle prestazioni di medicina estetica con un’analisi anche di pronunce giurisprudenziali particolarmente di interesse. Da ultimo, cercheremo anche di rispondere al dubbio su come si debba emettere la fattura (elettronica da inviare allo SDI, digitale o analogica ma da non far transitare allo SDI) e se queste prestazioni possano essere detratte dal paziente dalle proprie imposte personali.
Le prestazioni di medicina estetica sono esenti IVA o no?
Come abbiamo anticipato, il trattamento fiscale ai fini IVA delle prestazioni di medicina estetica è tutt’altro che semplice da identificare, con conseguenze impattanti in caso di verifica fiscale. L’articolo 10 comma 1 numero 18 del DPR 633/1972 (la normativa IVA) prevede che si possa applicare l’esenzione per “le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza ai sensi dell’articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie (Regio Decreto numero 1265 del 27 luglio 1934) e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto dal Ministero della Sanità di concerto con il Ministero delle Finanze”. L’articolo in questione recepisce nella normativa nazionale quanto previsto dalla direttiva comunitaria che dà la facoltà agli Stati membri dell’Unione di esentare “le prestazioni mediche effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri interessati”.
È quindi evidente che sia la normativa comunitaria che quella nazionale esentano da IVA le prestazioni mediche finalizzate a diagnosi, cura e (si spera!) guarigione di malattie e problemi di salute il cui scopo principale è quello di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone facendo rientrare in queste finalità i trattamenti o gli esami medici a carattere profilattico effettuati nei confronti di persone che non soffrono di alcuna malattia. Questi concetti generici sono stati tradotti in esempi pratici dall’Agenzia delle Entrate con una ormai datata circolare 4/E del 28.1.2005 che nelle battute finali, analizzando il trattamento IVA delle prestazioni mediche di chirurgia estetica, si è espressa molto chiaramente: questa tipologia di prestazioni sono esenti da IVA in quanto ontologicamente connesse al benessere psicofisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona.
L’Agenzia, nel documento di prassi, specifica la motivazione di questa sua presa di posizione: a suo dire, si tratta di interventi tesi a riparare inestetismi, sia congeniti sia talvolta dovuti ad eventi pregressi di vario genere (come ad esempio malattie tumorali, incidenti stradali, incendi, ecc.) comunque suscettibili di creare disagi psicofisici alle persone. In altre parole, ad una prima lettura sembrerebbe che l’amministrazione riconosca tout court l’esenzione per queste prestazioni dato che hanno una finalità curativa. Il problema sorge perché la Corte di Giustizia europea, con la sentenza del 2013 relativa alla causa C-91/12, ha statuito che le prestazioni di chirurgia estetica e i trattamenti di carattere estetico rientrano tra le cure o prestazioni mediche alla persona esenti da IVA qualora abbiano lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute o, ancora, di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone mentre non vi rientrano gli interventi che rispondono a scopi puramente cosmetici. L’effetto della giurisprudenza comunitaria nel nostro Paese è stato dirompente: sebbene l’amministrazione non abbia mutato i suoi intendimenti espressi nella circolare 4/E del 2005, da quella data infatti si sono moltiplicati i controlli dell’Agenzia delle Entrate in cui veniva disconosciuta l’esenzione IVA con conseguente richiesta al medico che ha effettuato la prestazione del pagamento dell’IVA sulle stesse (sebbene non incassata dal paziente a suo tempo), ovviamente maggiorato di sanzioni e interessi. Come era logico attendersi, a questi controlli è seguito un ampio contenzioso che ha visto nei primi gradi di giudizio (Commissioni tributarie provinciali) sentenze favorevoli ai medici, disponendo l’esenzione IVA ai trattamenti di medicina e di chirurgia estetica anche quando emergeva una finalità prevalentemente estetico-cosmetica. Purtroppo, nei gradi di giudizio successivi la giurisprudenza di merito (Commissioni tributarie regionali) ha mutato il suo orientamento. Anche la Corte di Cassazione (giurisprudenza di legittimità) si è espressa in questi termini, in un filone giurisprudenziale che si può definire consolidato. Guardando solamente agli ultimi anni, vi sono numerose sentenze (la n. 27947 del 2021 e nel 2022 la n. 23831, la n. 6572 e la n. 26906) che stabiliscono che le operazioni di chirurgia estetica godono dell’esenzione IVA solo se realizzate con lo scopo di alleviare sofferenze psicologiche del paziente affetto da handicap o malattie o siano conseguenze di traumi. Quando invece hanno finalità puramente cosmetiche l’IVA deve essere applicata nelle modalità ordinarie. In molte pronunce si ritrova poi un passaggio ripreso direttamente dalla sentenza della Corte di Giustizia europea che ben chiarisce la situazione: “le semplici convinzioni soggettive che sorgono nella mente della persona che si sottopone a un intervento di carattere estetico in merito adesso non sono di per sé determinanti ai fini della valutazione della questione se tale intervento abbia scopo terapeutico”. Il tema dell’esenzione è stato poi anche oggetto di ripetute interrogazioni parlamentari al MEF, la cui ultima risale al marzo 2022 (la n. 3-03094), e, a livello comunitario, di interventi del Comitato IVA. Le conclusioni sono sempre le medesime: in assenza di malattie o problemi di salute del paziente, le prestazioni di medicina estetica rientrano nell’ambito della cosmesi e pertanto devono essere fatturate applicando l’IVA. L’aspetto più spinoso è sicuramente il contenuto della prova che il medico deve fornire per poter non applicare l’IVA ordinaria sulle prestazioni di medicina estetica: l’onere della prova, ricordiamo, è a carico del contribuente, non dell’amministrazione. Assume quindi rilevanza la descrizione delle cure riportata nelle fatture: quando questa risulta essere troppo generica, al punto da non permettere di comprendere la natura delle prestazioni e la necessità terapeutica sottostante, alla prestazione deve essere applicata l’IVA. Ciò detto, nel caso in cui il medico, sulla base del proprio giudizio professionale, riesca a provare che il trattamento di medicina estetica effettuato ha scopo terapeutico e produca documentazione a supporto come, ad esempio, cartelle cliniche che indichino la patologia diagnosticata e l’intervento effettuato, letteratura scientifica che dimostri l’efficacia di tale intervento per la cura della specifica patologia, prescrizioni di medicinali, referti di altri medici, può essere applicata l’esenzione. Raramente infatti l’Agenzia, nelle sentenze analizzate, è stata in grado di controbattere al parere medico con controprove scientifiche ma spesso si è limitata elementi generici e soggettivi. In buona sostanza, quindi, è possibile non applicare l’IVA ogniqualvolta le prestazioni di medicina estetica siano finalizzate a curare o guarire malattie o problemi di salute anche di ordine psicologico e ciò emerga dal corretto giudizio professionale del medico comprovato da prove documentali (come detto, cartelle cliniche, letteratura scientifica prescrizioni, referti). La semplice considerazione che tali prestazioni siano eseguite da personale medico qualificato o la volontà del paziente di migliorare il proprio aspetto estetico senza finalità terapeutiche o curative non giustificano invece l’esenzione IVA.
Come si devono fatturare le prestazioni di medicina estetica?
Il tema della fatturazione, rispetto al suo trattamento IVA, è decisamente più semplice. Su questo aspetto l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata nella risposta 103 del 9 aprile 2019 a fronte di un quesito posto proprio da uno studio odontoiatrico che svolgeva sia l’attività odontoiatrica sia attività di chirurgia e medicina estetica. L’amministrazione, richiamando l’articolo 10 bis del DL 119/2018 e le sue successive estensioni agli anni successivi, ha ricordato come vi sia il divieto di documentare tramite fatturazione elettronica le prestazioni effettuate da coloro che sono tenuti all’invio dei dati al Sistema Tessera Sanitaria a prescindere che il paziente si opponga o meno all’invio. Pertanto, le prestazioni di medicina e chirurgia estetica effettuate da liberi professionisti, associazioni professionali o società nei confronti di persone fisiche non devono mai essere fatturate elettronicamente ed inviate al Sistema di Interscambio, a prescindere che si tratti di spese detraibili per il paziente o del relativo trattamento IVA (aspetto, quest’ultimo, chiarito nelle FAQ del Sistema TS). Tali prestazioni saranno documentate con fatture emesse digitalmente o analogicamente. Vi sarà l’obbligo di comunicazione dei dati al Sistema Tessera Sanitaria utilizzando il codice IC: in una FAQ del Sistema TS, infatti, è stato precisato che: “le spese relative agli interventi ai trattamenti di chirurgia estetica ambulatoriale o ospedaliera vanno comunicate al sistema tessera sanitaria con il codice IC. Con il medesimo codice vanno comunicate anche le spese relative agli altri interventi e trattamenti di medicina estetica ambulatoriale ed ospedaliera.” Nel caso in cui invece le prestazioni in oggetto siano rese non a persone fisiche ma a persone giuridiche come, ad esempio, enti assicurativi, imprese o a “società di welfare”, queste dovranno essere documentate a mezzo fattura elettronica da inviarsi allo SDI e non saranno soggetto all’obbligo di comunicazione al Sistema TS.
Sono detraibili ai fini Irpef le prestazioni di medicina estetica?
Solo le prestazioni di natura sanitaria rispondenti a trattamenti sanitari qualificati e finalizzati alla cura di una patologia specifica desumibile dalla descrizione riportata nella causale della fattura sono detraibili. Ulteriore condizione, ricordiamo, è il loro pagamento con modalità tracciata (bonifico, assegno, bancomat, carte di credito o prepagate o, ancora, app di pagamento che ne consentano la tracciabilità). Non sono invece detraibili le prestazioni meramente estetiche finalizzate a rendere più gradevole l’aspetto personale o a migliorare il benessere psicofisico del paziente ma non necessarie ad un recupero della normalità sanitaria e funzionale della persona. Nelle annuali circolari dell’Agenzia delle Entrate (da ultimo la Circ. 14/E del 19.6.2023) in tema di oneri deducibili e detraibili, vengono spesso indicate tra le spese non detraibili le prestazioni di chirurgia estetica o di medicina estetica non conseguenti ad incidenti, malattie o malformazioni congenite (anche se effettuate da personale medico o sotto la sua supervisione). Restando nell’ambito delle prestazioni di medicina estetica che possono essere erogate da odontoiatri, sono invece considerate spese sanitarie detraibili ai fini delle imposte sui redditi le prestazioni di dermopigmentazione a ciglia e sopracciglia per rimediare ai danni estetici causati dalla alopecia universale o di luce pulsata per sopperire ai danni causati dall’irsutismo a condizione che l’intervento sia eseguito da personale medico all’interno di strutture sanitarie provviste di regolare autorizzazione.
Conclusioni
Sicuramente, la novità normativa è da leggere con favore per l’estensione di nuove attività al mondo odontoiatrico. Come sempre però è necessario avere una visione completa e profonda della prestazione medica che si va a fornire, non solo negli aspetti tecnico-sanitari ma anche in tutti gli ambiti accessori, come il trattamento fiscale, gli obblighi informativi, le tematiche assicurative ed i profili di responsabilità medica. L’improvvisazione rischia di creare grossissimi danni in primis al paziente ma anche al medico odontoiatra.
“Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza.” Stephen Hawking