Cerchiamo di fare il punto della situazione partendo da una premessa. Dal 2014 la Commissione Europea controlla i progressi nel digitale compiuti dagli Stati membri pubblicando un rapporto basato sui DESI (Digital Economy and Society Index).

Nel resoconto 2021 secondo i nuovi DESI di digitalizzazione dell’economia e della società, l’Italia si colloca al 20º posto su 27 Stati membri dell’UE. Nel rapporto del 2021 l’Italia migliora la sua posizione (dalla 25° alla 20° posizione) ma resta sempre fanalino di coda rispetto ad altri Paesi che dopo aver messo la freccia sembrano mantenersi sempre in corsia di sorpasso.

Leggendo il rapporto, tra tutti i dati quello relativo al “capitale umano” mi ha molto incuriosito. Per quanto riguarda questo indice la nostra posizione è ancor di più penalizzata soprattutto se stiamo parlando di un “Paese industrializzato” come il nostro: purtroppo qui siamo fermi al 25° posto su 27. Per comprendere meglio cosa rappresenti questo indice riporto un dato: solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (56 % nell’Ue) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (31% nell’Ue). A questo punto la domanda sorge spontanea.

Quanto siamo pronti, come categoria, ad un impatto così forte rappresentato dalla digitalizzazione e quanto il nostro Paese è in grado di supportarci mettendoci a disposizione, ad esempio, sistemi di connessione sempre più efficaci e veloci, necessari come l’ossigeno per noi nella digitalizzazione dei nostri studi? Perché il nostro Paese va a due se non a tre velocità e ad esempio io che vivo nell’operosa e industrializzata Lombardia non riesco ad avere nella mia abitazione una banale “connessione veloce”?

Al di là di queste considerazioni credo che tutte queste nuove tecnologie interessino ancora una ridotta fascia di colleghi e in ambito endodontico ancor meno. Non è un caso che quando mi trovo a parlare di “endodonzia digitale” molti, forse troppi, ancora mi guardano con sguardo perso come se l’endodonzia fosse solo files e canali.
Fortunatamente, l’endodonzia come del resto altre discipline odontoiatriche stanno vivendo una nuova era, che grazie al digitale – non sono solo io a pensarlo – potrà portare grandi benefici a tutto il mondo odontoiatrico.

Partiamo dalle aumentate potenzialità che ci può fornire un sistema di imaging tridimensionale come la CBCT. Pensiamo di “matchare” dati DICOM e dati STL dell’impronta ottica digitale per ottenere dime di accesso ortogrado (per reperire canali calcificati) o dime per accessi guidati in chirurgia, qualora la complessità dell’intervento necessiti di un controllo totale dell’atto chirurgico. Per non parlare della stampa tridimensionale che può consentirci la riproduzione fedele di modelli tridimensionali per pre-visualizzare, ad esempio, un elemento con anatomia complessa o per simulare la fattibilità di un intervento complesso. Immaginiamo quanto tutto questo ridurrebbe gli errori iatrogeni e migliorerebbe i risultati del trattamento.

Infine, ma non per questo meno importante, il grande impatto che l’AI (artificial intelligence) ha e avrà nell’immediato futuro sui sistemi digitali. Ma cos’è l’AI? Molto semplicemente l’intelligenza artificiale è una branca dell’informatica che si occupa di costruire macchine e mettere a punto software intelligenti in grado di svolgere compiti che in genere richiedono l’intelligenza umana.

Siamo già circondati da questa tecnologia e non ce ne rendiamo conto: SIRI, Alexa, guida autonoma e molto altro ancora si basano su complessi algoritmi di AI. Esistono software di radiologia che sfruttano l’AI; alcuni di questi possono fornire anche un report molto dettagliato dei radiogrammi 2D e 3D, creare segmentazione e modelli 3D per tutte le esigenze della digital dentistry.

A questo punto è chiaro che esiste una dicotomia tra quello che le aziende riescono a proporci e quello che siamo in grado di utilizzare (e confermo il termine utilizzare, non acquistare).

La nostra categoria dovrà fare un balzo in avanti e il sistema Paese dal canto suo avrà il compito di agevolare questo sviluppo mettendo a disposizione dei cittadini risorse e infrastrutture, supportando con politiche fiscali gli investimenti in tal senso. Noi come categoria invece abbiamo l’obbligo di investire non solo in strumenti ma soprattutto in formazione per arrivare nel minor tempo possibile a oltrepassare quello che Geoffrey Moore nel suo libro “Crossing the Chasm” ha definito il baratro che separa le prime due categorie della curva di Rogers (visionari e aperti alle innovazioni) dalle altre tre ben più ampie numericamente dei più scettici e diffidenti. Perché la vera diffusione del digitale si completerà solo quando avremo acquisito le competenze per utilizzarlo nel modo corretto.