Ci vuole parlare delle origini della sua famiglia e delle difficoltà del periododel dopoguerra in cui nacque?

La mia era una famiglia normalissima, mio padre era un commerciante, mia madre una fruttivendola. Io sono il quarto di cinque figli e nel 1957, quando nacqui, c’era da lottare un po’. Come succedeva nelle famiglie di quei tempi, vengo messo a balia e cresco in una cascina, unendo dunque l’esperienza della città a quella dei dintorni di Bergamo. Frequento poi il collegio delle suore; mia madre voleva che facessi il prete, ho desistito e ho scelto la seconda opzione, quella di fare il medico, frequentando dapprima una scuola professionale.

Mi parli dunque delle sue prime scuole…
Ho iniziato con la scuola per odontotecnici di via Correnti a Milano, l’unica esistente. Qui c’era anche Mario Capanna e con lui tutto il contorno del post ’68. Mi alzavo presto, alle 5.15, per arrivare a scuola alle 8.00. Da una città provinciale mi ritrovo catapultato a Milano: un’esperienza di vita dura ma formativa.
Come è stata la sua esperienza presso l’Università di Milano e come ricorda i suoi maestri?
Frequento Medicina sia all’Università di Milano sia a quella di Brescia (legata in quegli anni a Milano), mentre lavoro come odontotecnico nel mio laboratorio. Quando finalmente viene istituito il corso di laurea in Odontoiatria, tento il concorso e lo passo e, curiosamente, ritrovo amici bergamaschi che non vedevo da tempo. Si forma pertanto un gruppo di lavoro molto unito, legato ad un grande maestro, Ennio Giannì, anche lui di Bergamo. A Milano trovo un ambiente ricco di umanità, con i professori Loiaconi e Moro e con tutti quelli che mi hanno permesso di crescere. Da lì sono diventato per tutti il “Ciccio”, mentre Franco Santoro era il “Boss” e Giannì il “Maestro”.

Quali sono stati i primi passi subito dopo la laurea?
Avevo già un laboratorio di odontotecnica e decido di aprire un piccolo studio in periferia, consigliato dall’allora presidente ANDI di Bergamo. È una scelta fortunata perché introduco in un piccolo paesino la genialità del professor Giannì e della Scuola di Milano, interessandomi subito alla gnatologia, andando anche in America, conoscendo Peter Thomas e introducendo il suo metodo di lavoro nel laboratorio. Nel 1986-87 comincio ad occuparmi di situazioni più importanti: cosa può fare l’odontoiatra in chirurgia, per esempio, quando la chirurgia è ancora solo endodontica e non si può praticare nemmeno l’anestesia! Inizia una battaglia…

Nel 2000 si diploma in Anatomia applicata presso l’Università Claude Bernard di Lione: quali i motivi?
Cresco alle spalle del professor Gianfranco Moro, che quando si trasferisce a Perugia mi chiama come professore a contratto della cattedra di Chirurgia Maxillofacciale. Insegno con lui Implantologia dedicandomi alla parte protesica e noto che mi manca una conoscenza di base e che ai ragazzi manca la possibilità di conoscere veramente l’anatomia. Allora scopro che a Lione ci sono dei corsi e li frequento privatamente. Conosco Pietro Cremona e ad entrambi offrono la possibilità di partecipare al corso biennale e mi rendo conto di non sapere nulla di anatomia né di chirurgia a un certo livello. In seguito, con l’amico Pietro, iniziamo corsi privati per i ragazzi.

Non pago, si perfeziona nel 2002 nell’utilizzo del laser e delle nuove tecnologie, riuscendo ad essere ancora una volta uno dei primi in Italia in questo settore. Qual è la sua esperienza?
Nel 1999 leggo alcuni articoli americani sull’uso del laser, soprattutto nella protesi e nella conservativa. Conosco un altro maestro, Francesco Scarpelli, e insieme veniamo a conoscenza che sta partendo un corso sperimentale del professor Rocha alla Sophia Antipolis di Nizza. Frequentiamo e con il supporto delle aziende che ci forniscono i laser fondiamo AIOLA (Accademia Internazionale Odontostomatologia Laser Assistita) per far conoscere il laser in Italia.

Continua a fare lo studente perfezionandosi in Odontoiatria Forense presso l’Università di Firenze nel 2006. Come mai sente questa necessità?
Inizio un’attività politica di tipo associativo per affermare la nostra professione e la nostra professionalità. Nel 1988 mi iscrivo all’Albo dei periti del Tribunale di Bergamo consigliato da un amico e mi rendo conto della mancanza di una scuola. È Francesco Scarpelli ad aprirla a Firenze, dove io già ero docente con il professor Grandini. Facevo dunque un po’ lo studente e un po’ l’insegnante.

Nel 2012 si iscrive anche all’Ordine dei medici dentisti della Confederazione Elvetica. Come è stato possibile?
È stato possibile facendo riconoscere la nostra laurea di odontoiatri. Nessuno l’aveva ancora fatto a un certo livello, era stato fatto solo presso gli ordini cantonali. Io, invece, sono andato direttamente all’ordine federale che ha riconosciuto tutti i miei titoli, anche i corsi di perfezionamento perché avevano tutti valenza europea.

Continua anche ad avere molti rapporti con le università francesi, in particolare con la Jean Monnet di Saint Etienne, anche come istruttore nel corso di chirurgia. Come mai questi rapporti?
Lione era diventata nel frattempo una scuola sempre più grande con problemi burocratici sempre più pressanti. I miei docenti si trasferiscono a Saint Etienne e insieme ristrutturiamo il nostro corso rendendolo più snello e ne istituiamo un altro annuale anziché biennale.

È anche docente presso l’Università Vita Salute San Raffaele di Milano e presso la Sapienza di Roma, soprattutto nel campo del laser. Qual è la sua esperienza?
Con alcuni colleghi organizziamo a Firenze il corso di perfezionamento in laser terapia per odontoiatri e igienisti. Rimaniamo a Firenze per dieci anni, poi ci trasferiamo a Siena per altri tre anni, supportati dai professori Grandini, Romano prima e Simone poi. Date le vicissitudini dell’Università di Siena legate ai problemi del Monte dei Paschi, per motivi burocratici non è più possibile lavorare lì. A questo punto il nostro sapere viene messo a disposizione sul territorio e il professor Gherlone apre un corso di perfezionamento al San Raffaele con la professoressa Cattoni, che era docente presso il nostro corso. Di conseguenza veniamo chiamati anche noi. Poi iniziamo a girare per altre università portando il nostro background e la nostra esperienza professionale. Alla Sapienza lavoro con la professoressa Nardi.

Quando si è iscritto all’Associazione Italiana Odontoiatri e quali sono stati i suoi primi incarichi?
Innanzitutto mi iscrivo all’Associazione Italiana Studenti in Odontoiatria (AISO) nel 1983-84 dove si portano avanti battaglie per il riconoscimento della nostra laurea. Poi fondo l’AIO a Milano come associazione interprovinciale che comprende tutta la Lombardia e ne divengo segretario culturale nel 1985-86.
L’AIO nasce in realtà a Roma con il professor Capozzi, grande uomo, che affida l’incarico all’amico Aldo Ciolfi che muove i primi passi all’interno della Sapienza. Poi arriviamo noi di Milano, cominciamo a girare sul territorio e le aziende investono su di noi, ci invitano ai congressi. Iniziamo così a creare delle sedi AIO nel nord Italia. Intanto arriva finalmente l’esame di stato e possiamo iniziare a lavorare. A questo punto l’associazione si trova nella necessità di fare il primo vero congresso che viene organizzato al Palazzo delle Stelline.

In quell’occasione lei è eletto presidente AIO. Mi parli della sua esperienza, dei programmi svolti, dei congressi e dei rapporti con le altre associazioni.
È l’esperienza più bella della mia vita perché mi divido tra il mio studio, dove mi circondo di collaboratori ognuno con una funzione specifica, a cui affido il lavoro per dedicarmi alla costruzione della professione. Quando vengo eletto ci sono otto sedi AIO e in breve diventano ventuno. Mi ritrovo ad avere come amici coloro che erano stati i miei nemici perché ora hanno capito il loro errore e a questo punto ho tutte le porte aperte. Comincio a fare corsi, congressi, seminari. A livello europeo la prima cosa che facciamo è presentarci al congresso dell’FDI nel 1989 in Portogallo, dove decidiamo se portare l’FDI in Italia. ANDI non aveva le credenziali perché era un’associazione di medici e non aveva valenza europea: allora cambia lo statuto e da AMDI diventa ANDI, apre agli odontoiatri e inizia una sinergia di categoria.

Poi anche come past president continua a seguire l’AIO: quali i suoi rapporti e la sua esperienza negli anni?
Negli anni c’è un certo raffreddamento, rimango iscritto ad AIO e ANDI, poi inizio un’attività politica extra e per diritto e dovere lascio entrambe.

Come vede attualmente la possibilità di sviluppo dell’AIO, i rapporti con ANDI e altre associazioni?
È giusto che esista l’AIO perché è bene che ANDI abbia sempre qualcuno con cui confrontarsi. Ricordiamo che ANDI ha come presidente, da ormai due mandati, un odontoiatra! Vorrei però che AIO fosse più forte, più condizionante su certi aspetti.

Lei si occupa molto anche di solidarietà, come rotariano e soprattutto come responsabile e volontario dell’associazione Change Onlus per attività odontoiatriche in Madagascar. Mi vuole parlare di questa esperienza?
Nel 2009 vengo investito su una pista da sci, mi rompo una gamba e per poco non mi uccidono la bambina di quattro anni. Passo tre mesi in ospedale e i miei amici portano avanti lo studio. Conosco in quell’occasione un collega che ha creato un dispensario in Madagascar e che dovrebbe partire ma ha problemi per via del colpo di stato del giugno del 2009; il dipsensario è là fermo ed è un grosso investimento. Mi offro allora di andarci, parto e mi innamoro di quella situazione. Tornato, presento il progetto al mio Rotary e le aziende mi sostengono. Fatto questo si decide di costruire un ospedale, inaugurato nel 2014, 600 mq in cui lavorano 23 persone, con un dispensario odontoiatrico all’interno e un piccolo ospedale su un’isoletta.

Tutta questa attività è affiancata dalla pubblicazione di diversi libri, soprattutto nel campo del laser. Me ne vuole parlare?
Il mio primo libro risale agli anni Ottanta e riguarda la tecnologia di laboratorio perché mancava un testo di questo tipo. Grazie all’appoggio della casa editrice Ariesdue realizzo numerosi progetti con libri sullo sbiancamento dentale, sulla chirurgia laser e sui mini impianti, sull’odontoiatria per i disabili. Mettiamo sulla carta la nostra esperienza pratica. A fronte di questo, è necessario costruire qualcosa di più complesso per il mondo della laser terapia. Ci rivolgiamo all’editore Piccin e pubblichiamo un volume di 500 pagine riunendo 25 colleghi. Molti sono anche gli articoli pubblicati su diverse riviste di settore.

Quali sono attualmente i suoi interessi, i suoi incarichi nel campo associativo o di insegnamento?
Per quanto riguarda l’insegnamento, oltre ad essere alla Sapienza con il Master in laser terapia insieme alla professoressa Nardi, sto scrivendo un articolo corposo sull’ozonoterapia. Nel frattempo ho trasformato il mio studio in una SRL polifunzionale. Rimane poi il mio impegno con il Rotary.

Quale messaggio vuole lasciare oggi ai giovani laureati in odontoiatria che iniziano la loro esperienza professionale?
Intanto devono capire che sono dei professionisti, non dei mercanti e non devono abbassarsi ad essere sottopagati. Non devono pensare di dover essere bravi solo in una disciplina specifica: devono essere dei medici della bocca, coloro che capiscono cos’è un patologia e riescono ad individuare il cancro orale, che entrano nella psiche del paziente per capire quello di cui ha bisogno. I ragazzi devono pensare che sono dei medici e che devono far fatica per arricchirsi professionalmente.

Ringrazio il dottor Maggioni e chiudo con una frase emblematica di Albert Schweitzer: “quello che tu puoi fare è una piccola goccia nell’oceano, ma è ciò che dà significato alla tua vita”.