È nozione comune che si indichi nella “empatia” il comportamento ideale per avvicinare un medico, in generale, ed un dentista, in particolare, a qualsiasi paziente. Anche igienisti dentali ed ASO dovrebbero avere competenza nella gestione della empatia.
Chi ne consiglia l’uso, tuttavia, non fa che una raccomandazione comportamentale generica, perché non dà, in proposito, prescrizioni specifiche, tali da gestire la perfetta procedura operativa con la quale attivare la tanto raccomandata empatia.
A questa lacuna procedurale ha provveduto, recentemente, il progetto FIORE (Functional Imaging of Reinforcement Effects) che, sfruttando la RMF (Risonanza Magnetica Funzionale), ha evidenziato quali porzioni dell’encefalo si attivano progressivamente quando si mettono in atto 8 specifiche procedure di comportamento nel rapporto dentista-paziente.
Riprendendo quanto recentemente descritto nel mio testo “Comunicare è curare”, si può osservare come sia importante che il dentista segua un percorso operativo dettagliato, che consiste nelle seguenti otto fasi:
- (se è seduto) si alza e va incontro al paziente
- al primo incontro si presenta e dice, chiaramente, (meglio ripetendo) nome e cognome
- stringe la mano al paziente
- rimane con il corpo orientato verso il paziente
- dà frequenti segni di attenzione, a voce e/o annuendo
- può prendere appunti su un block-notes
- se deve scrivere sul computer spiega che sta immettendo dati, li enuncia ad alta voce, mostra lo schermo anche al paziente
- a fine visita, chiede al paziente di descrivere i punti salienti dell’incontro
Come abbiamo descritto, ognuna delle 8 fasi attiva, progressivamente, specifiche aree della corteccia cerebrale, provocando quella facilitazione del rapporto che va sotto il nome di “empatia”.
È importante segnalare come questa manifestazione di empatia esiga una opportuna strutturazione del layout, tale da permettere di realizzare al meglio i vari punti citati. Ad esempio, il paziente non andrà collocato in una posizione che lo disturbi nel fronteggiare il dentista (ad esempio con la luce negli occhi).
Analogamente lo schermo del computer dovrà essere inclinabile verso il paziente, in modo che quest’ultimo possa vederne la superficie, insieme al dentista. Un’alternativa valida consiste nel dettagliare, ad alta voce, quanto si sta scrivendo, rassicurando il paziente sul fatto che, terminato lo scritto, ne verrà data al paziente la copia stampata.
È nozione comune
che si indichi nella “empatia” il comportamento ideale per avvicinare un medico, in generale, ed un dentista, in particolare, a qualsiasi paziente.
Una formula valida a familiarizzare il primo rapporto con il paziente può anche essere quella di iniziare il primo contatto andando a riceverlo personalmente in sala d’attesa (o, meglio, di ricevimento); lo si inviterà, successivamente, ad entrare in sala operatoria, o in studio privato, per completare il dialogo empatico nei successivi punti 6, 7 ed 8.
Purtroppo si può facilmente comprendere, esaminando gli otto punti citati, come spessissimo tali comportamenti vengano tradìti, in modo che si possa quasi parlare di un “come fare per non essere empatici”.
Alcuni dei punti “tradìti” sono dovuti alla inadeguata scenografia nella quale si inseriscono medico e paziente per iniziare il loro rapporto, scenografia che non facilita lo svolgimento di un corretto comportamento. Ad esempio, partendo dai punti di seguito descritti.
- Se il dentista fa parte di un gruppo, ospedaliero o, comunque, di una sede poliambulatoriale, è difficile che il primo contatto sia costituito da un diretto ed esclusivo eye-contact. Al generico saluto iniziale sarà dedicata poca riservatezza, in modo da non dare al paziente, com’è indispensabile, la sensazione di una totale ed esclusiva “dedizione”. Conseguentemente è facile che venga trascurato il punto…
- Perché il dentista dà per scontato che si conosca il suo nome e cognome. La mancanza di una (chiara!) etichetta nominativa sul camice del dentista aumenterà la sensazione di anonimato con cui si inizia il rapporto, che dovrebbe impostarsi subito sulla “alleanza”, secondo quanto prescrive l’articolo 20 del nostro Codice Deontologico.
- Stringere la mano al paziente è un doveroso segno di riguardo, che andrà compiuto in modo energico e risoluto, senza eccessivo vigore, ma dando la sensazione che sta iniziando un rapporto personale molto stretto.
- Rimanere con il corpo orientato verso il paziente significa che il linguaggio del corpo, con una postura “dedicata”, accentua la personalizzazione del dialogo, sia per quanto il dentista deve dire sia, soprattutto, per poter sottolineare quanto ascolta, mettendo in atto il cosiddetto “ascolto attivo”. Facendo mostra di distrarsi o, peggio ancora, sistemando la scrivania, manipolando penne o matite, guardando “altrove” è grave segno di disattenzione, una vera e propria colpevolezza professionale.
- Ascolto attivo significa non interrompere mai il paziente, lasciandolo parlare quanto più è disposto a fare: è tuttavia importante che gli si faccia comprendere come lo stiamo ascoltando attentamente annuendo energicamente a qualche passaggio importante, oppure ripetendo ad alta voce qualche parola che abbia avuto peso nel discorso.
- Nel testo ho scritto più volte come non si debba avere paura delle parole, come, ad esempio, dire che dobbiamo imparare a “recitare” il nostro comportamento in modo naturale e funzionale. Un elemento che può dimostrare al paziente la nostra partecipazione è quello di prendere appunti su un block-notes tenuto in grembo. Alla fine della parte preliminare del colloquio mostreremo di ripassare alcuni punti che abbiamo trascritto in modo che il paziente ci possa chiarire qualche dubbio rimasto in sospeso.
- Uno dei momenti più indisponenti per il paziente è quello in cui il dentista si mette a scrivere sul computer, tanto peggio se il paziente non è messo in condizione di vedere lo schermo. In questo caso la procedura deve essere articolata nei punti seguenti:
cercare di mostrare lo schermo al paziente;
(se non è possibile) compitare ad alta voce quanto si sta scrivendo;
dire al paziente che alla fine dell’appuntamento gli verrà data la stampata di quanto scritto.
Per accentuare la sensazione di empatia che si deve aver provocato, alla fine dell’appuntamento è utile chiedere al paziente di riassumere gli elementi diagnostici, prognostici e terapeutici che il dentista ha descritto durante il dialogo.
Altra premura di grande valore empatico è quella di telefonare al paziente il giorno successivo all’appuntamento, in modo da mettersi a sua disposizione per aiutarlo a ricordare o ad approfondire i temi trattati.
È molto importante tener presente come tutto questo colloquio vada articolato in modo particolare quando si debba presentare un piano terapeutico accompagnato da un preventivo e dal cosiddetto “consenso informato”.
Specie per quest’ultimo è fondamentale che il paziente sia messo in condizione di leggere il modulo del consenso in tutta tranquillità, magari leggendolo ad alta voce davanti al dentista e chiedendo i necessari chiarimenti.
Sono, al riguardo, da considerare estremamente negativi i moduli dati al paziente in modo frettoloso, cosicché il paziente debba leggerli, comprenderli e firmarli in modo concitato: tutto ciò si svolge in modo del tutto contrario allo spirito del principio relativo al consenso informato.
Altra premura di grande valore empatico è quella di telefonare al paziente il giorno successivo all’appuntamento, in modo da mettersi a sua disposizione per aiutarlo a ricordare o ad approfondire i temi trattati.
È appena il caso di ricordare come tutta questa serie di comportamenti esiga un tempo dedicato.
Il tempo è il primo strumento non solo per creare e dimostrare empatia, ma anche per dimostrare al paziente l’unicità del rapporto personalizzato che si vuole concretare con lui: se manca il tempo significa che non ci siamo approntati a fare la nostra professione nel miglior modo possibile, e qui comincia la vera e propria colpevolezza “tecnica”.