Richiamando una nota frase di A.M. Harvey (*), dove si afferma che
“…Le azioni legali, o la loro minaccia in seguito ad errori medici, stanno aumentando e non vi è alcuna ragione per ritenere che in futuro possano diminuire …. Se è vero che solo 1/5 delle proteste di errore riflette una reale responsabilità, dobbiamo domandarci che cosa faccia credere agli altri 4/5 di avere subito un danno per imperizia del clinico…”
riteniamo opportuno ben distinguere la differenza di significato tra errore e complicanza.
Se infatti, ad esempio, essendo, in un caso clinico, indicata l’amputazione dell’arto inferiore sinistro, il chirurgo in sala operatoria provvede all’amputazione dell’arto inferiore destro, come recentemente accaduto in una circostanza che ha provocato grande risonanza mediatica, così un intervento su una gangrena dell’arto inferiore, ove esiti in amputazione completa dell’arto stesso, ipotizziamo anche in questo caso l’inferiore destro, si determina la medesima condizione: paziente con arto inferiore destro amputato. Nel primo caso è evidente l’errore, nel secondo caso è evidente la complicanza.
In ambedue i casi il paziente riporta un danno, il medesimo, corrispondente alla perdita dell’arto amputato, nel secondo caso evento previsto ma non prevenibile, nel primo caso non previsto e prevenibile (con maggiore attenzione, leggi diligenza) e quindi danno ingiusto.
Non ci dilunghiamo in questa trattazione sulla questione del consenso alle cure che certamente, nell’ipotesi di scambio dell’arto non prevedeva tale scambio come complicanza, mentre nel caso dell’intervento sulla gangrena certo avrebbe previsto “anche” la complicanza dell’amputazione completa dell’arto.
Questa differenziazione è sempre possibile ed applicabile ad ogni circostanza e spesso il problema non è tanto nell’intervento eseguito o da eseguire quanto nelle modalità di erogazione dell’informazione preliminare all’intervento stesso. Ma questo aspetto, come detto, è altra questione di cui ci occuperemo in altra occasione affrontando la questione del consenso/assenso, ovvero del mancato dissenso.
Tornando all’errore o complicanza, riportiamo delle definizioni scolastiche ed universali.
L’errore è, dal vocabolario della lingua italiana Treccani:
“Ogni giudizio o valutazione che contravvenga al criterio ammesso come valido nel campo a cui il giudizio si riferisce o ai limiti di applicabilità del criterio stesso (filosofia…). Ogni tipo di malfunzionamento (informatica…). Uscire dalla retta via, errare …”.
La complicanza è invece definita come:
“Il sopraggiungere di una manifestazione morbosa nel corso di una malattia già dichiarata, di cui costituisce un aggravamento”.
In medicina legale ed in diritto si definisce la complicanza come un evento dannoso, insorto nel corso dell’iter terapeutico, “che pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe evitabile e che, come tale, esclude la sussistenza della responsabilità …” (Corte di Cassazione – n. 13328 del 30.06.2015).
“… Quando, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la sua conclusione si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”; – ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile: ed in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze …”.
Dal punto di vista giuridico è quindi rilevante non il fatto che l’evento rientri, o meno, nella casistica delle complicanze ma se integri o meno causa “non imputabile”. L’accertamento di tale circostanza dovrà essere svolto in concreto ovvero con riferimento specifico al caso in valutazione. Il richiamato articolo 1218 del Codice civile, afferma che:
“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Concludiamo citando un autore, Augusto Murri (“Se potete curare, curate; se non potete curare, calmate; se non potete calmare, consolate”), medico italiano vissuto a cavallo tra il 1800 ed il 1900, che, laureatosi a 22 anni in Medicina all’Università di Camerino, subì, nei suoi soggiorni all’estero, influenze francesi e tedesche, per poi rientrare in Italia ed esercitare la clinica medica tra Firenze, Roma e Bologna, ove concluse la propria carriera come rettore dell’università. Murri, sull’errore scrisse:
“Errare, sì! È una parola che fa spavento al pubblico. Errare a nostre spese? Errare a costo della nostra vita? La meraviglia pare giustissima, l'accusa pare grave! Eppure, o avventurarsi al pericolo d'un errore o rinunziare ai benefizi del sapere. Non c'è altra strada. L'uomo, che non erra, non c'è!”
Prendendo spunto da questa massima pensiamo che il confine tra errore e complicanza sia labile, che errare faccia parte del bagaglio di ogni medico impegnato nel tentativo di “risolvere” una malattia, che debba sempre porsi massima attenzione nel proprio operato e sempre valutare prima (diagnosi) l’intervento da eseguirsi dopo, cercando di commisurare la difficoltà tecnica di quell’intervento ai propri limiti di capacità e competenza; ma il non escludere la possibilità di errore aiuta a meglio analizzare i percorsi eseguiti ed a migliorare la propria professionalità. Applicare questo concetto alla professione tutta non può che favorire, alla lunga, la crescita ed il miglioramento della compliance e del rapporto fiduciario tra medico e paziente.
*“HARVEY A.M.-JOHNS R.J. Et al. Clinica Medica - I principi e la pratica della medicina interna - Il pensiero scientifico, Roma, 1975